PoliticaQuotidiano

Dei delitti e dei panini: Cassazione Soviet Supremo

4.8k
Politica / Quotidiano

Prima o poi doveva accadere. Prima o poi, la Cassazione, anche detta amichevolmente “cazzazione” dal mio indimenticato amico, avvocato, pubblico ministero e giudice popolare più amato dagli italiani Santi Licheri, è diventata foodie expert, nutrizionista, gestore di mense e ha decretato, dopo decenni di glorioso servizio, la fine del panierino.

Avete presente il panierino? Quell’oggetto meraviglioso, spesso di vimini o di legno, che anche io nonostante la giovane età (si fa per dire) ricordo perché mia madre ne conservava uno bellissimo, di legno, degli anni cinquanta, decorato a smalto con delle felici apette svolazzanti e perfettamente laccato, a significare lo status abbiente o meno della famiglia in un tempo lontano, quando le differenze di censo o di professione dei genitori, la ricchezza ma anche la povertà, non erano motivo di vergogna ma si stava tutti serenamente al proprio posto nel mondo e serenamente si poteva ambire al meglio senza essere insultati se il mio grembiulino o, appunto, il mio panierino era più bello del tuo.

Non saprei dire se la cosa più grave sia che qualche famiglia sia dovuta ricorrere alla magistratura, in un Paese che ormai ha la chiara tendenza all’iper normazione e al dirigismo per rincoglioniti, per far valere il proprio diritto di dare da mangiare ai propri figli quello che vuole portandoselo da casa, o che un istituto torinese sia dovuto arrivare fino in Cassazione per farci dire che non esiste un diritto soggettivo a mangiare un panino portato da casa in orario scolastico e che la gestione del servizio è rimessa all’autonomia organizzativa delle scuole.

Addio panino con la mortadella, pizza bianca, pizza rossa, cotolettina, risottino, pappa al pomodoro amorevolmente preparati dalla mamma prima di uscire di casa.

La “refezione”, parola che già da sola per onomatopea fa venire i brividi e ricorda gli stanzoni dei gulag siberiani all’ora di pranzo, dove tutti vestiti uguali, tutti con la tazza di smalto e il piatto di alluminio si stava in silenzio a sorbire la sbobba del giorno, è da ieri letteralmente “cassata” come fatto esclusivo di autonomia della singola scuola, le modalità di gestione del servizio mensa sono affare degli istituti.

Istituti… tetri edifici retti da altrettanto minacciosi “dirigenti scolastici” perché “presidi” non andava bene e l’hanno cambiato. Anche le parole ormai nel gergo della burocrazia devono echeggiare lo statalismo, la dirigenza suprema, incarnare la decisione dei gruppi operativi, dei collettivi che dagli scantinati dei provveditorati o dagli scranni canuti della Cassazione decidono che l’uguaglianza va tutelata, anche attraverso l’omologazione anche dei pasti.

Sopprimiamo il diritto soggettivo di dare da mangiare ai nostri figli quello che vogliamo, preoccupiamoci delle regole igienico sanitarie impedendo anche di portare una torta di compleanno fatta in casa in classe, dotiamo le massaie di un patentino Haccp obbligatorio, non facciamo sentire tristi quei bambini che la torta non gliela fa nessuno o che da casa si portano l’hamburger o il cous cous d’agnello, e obblighiamoli a mangiare sempre la solita minestra che spesso, quasi sempre, nemmeno gli piace e quindi restano digiuni, motivo principe della protesa finita al Palazzaccio.

“L’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individualità devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità”.

Cioè, tradotto, i genitori che pagano fior di rette non hanno un rapporto di tipo contrattuale con la mensa che la scuola dà in appalto a cooperative o società, e tu, che paghi per un servizio, non sei un utente, non sei un contraente, non hai voce in capitolo, devi pagare e zitto, perché è la scuola che è titolare del rapporto e quindi il comune, quindi lo stato. Di cui, in sostanza, non sei un cittadino ma un pagatore sottomesso, non mandi tuoi rappresentati tramite il tuo voto per portare le tue istanze, non hai più diritto di scegliere nemmeno che panino preparare a tuo figlio o che sugo deve servire la scuola. Scuola che paghi con le tasse, mensa che paghi con una retta.

E poi, quali sono questi limiti di compatibilità? Qui l’unica compatibilità è quella col Soviet Supremo ed è evidente.

La ristorazione, dice l’assessora torinese coinvolta, Antonietta Di Martino, è principalmente a tutela del diritto di tutti i bambini e le bambine ad avere pari opportunità in una scuola che, con grande lungimiranza, ha inserito il pasto come elemento integrante dell’offerta formativa e dell’educazione.

L’unica pari opportunità che si dovrebbe avere, esimie avvocature, egregi giudici, onorevoli assessore (plurale di assessora, che fa tanto pari opportunità), dovrebbe essere quella ad essere prima di tutto individui, e gli individui hanno diritto a pensare, a desiderare anche un panino portato da casa.

Parlano poi, anzi sentenziano, i giudici, sulla valorizzazione delle diverse “individualità”. Quello stesso individuo a cui negate un diritto dell’individuo, soggettivo, appunto. Qualcuno sul web direbbe: il genio all’improvviso.

Diritto soggettivo, senza entrare troppo nel tecnico, anche se potrei, è qualcosa di attivo, che la Cassazione qui nega, ma anche solamente un potere o una facoltà, anche se il concetto da investigare avrebbe, forse, dovuto essere quello di “pretesa”, che anche il diritto soggettivo ricomprende. Non è quindi del tutto peregrino, senza sentirci dire che siamo tutti cassazionisti, sostenere che qui invece si debba essere passivi e subire e non c’è bisogno di volgari evocazioni figurative, anche se vengono spontanee.

Direi che in quel di Cassazione non ci siamo, non ci siamo proprio: chiedetevelo perché si invoca da più parti una riforma urgente della giustizia, magari scoprite che i diritti della personalità sono assoluti, cioè possono essere fatti valere nei confronti di chiunque e di più personale di quello che ai nostri figli piace mangiare credo ci sia molto poco. Cosa che invece per i giudici della Cassazione, ma non per quelli dell’Appello, deve essere stato considerato un diritto relativo. Giustizia relativa, è tutto così.