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Tutte le fake news dei cinquestelle che pretendono di salvare l’Africa dal giogo francese

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I grillini hanno deciso di salvare l’Africa dal giogo della Francia. Incominceranno liberandola dal franco CFA, la valuta adottata da 14 stati, che secondo loro alimenta la povertà e spinge gli africani a emigrare illegalmente. Il 2 febbraio il M5S ha annunciato la nascita degli Stati generali per l’uscita dal franco CFA.
Il progetto nasce da una richiesta di aiuto pervenuta dall’Unione africana? Da colloqui con ambasciatori africani a Roma? Da incontri con ministri africani che hanno sollecitato l’intervento dell’Italia?

Niente affatto. La decisione è maturata parlando con qualche africano che vive in Italia: soprattutto con Mohamed Konare, leader del movimento panafricanista, un organismo di cui in verità si sa poco – missione, membri, attività…? – perché non ha una pagina web e neanche un profilo Facebook. Konare la scorsa estate aveva annunciato una manifestazione di giovani africani a Roma, davanti all’ambasciata francese, a metà settembre. Ma anche di questa iniziativa chi scrive non è riuscita a trovare immagini e resoconti.

La prima e forse la più importante considerazione, riflettendo sull’iniziativa degli Stati generali e sul modo in cui ne è nata l’idea, è che i 5stelle stanno commettendo un errore enorme, purtroppo molto frequente in certi ambienti: quello di pensare che una associazione, una organizzazione non governativa, un qualsiasi gruppo di persone riunite sotto una sigla meritino sempre credito incondizionato, per forza lodevoli, condivisibili i loro intenti e giusti i mezzi per realizzarli. Non solo ci si fida di loro, ma li si promuove a portavoce, a rappresentanti delle categorie e dei gruppi sociali che dicono di voler tutelare, senza domandarsi, senza verificare se davvero hanno ricevuto deleghe da parte dei “tutelati”… e, anzi, siccome spesso chi subisce ingiustizie non ne è consapevole, chi si incarica spontaneamente di difenderne i diritti è ancora più encomiabile.

La legittimazione a oltranza di organizzazioni, associazioni, cooperative, purché espressione della “società civile”, spiega oggi la sfida delle ong ai governi europei, le loro navi nel Mediterraneo a trasbordare emigranti illegali dai gommoni degli scafisti. Molto si deve alle Nazioni Unite se osano violare leggi nazionali e internazionali e agire pretendendo che il loro modo di operare non venga discusso né tanto meno ostacolato. Negli anni Novanta del secolo scorso il segretario generale Kofi Annan, durante i suoi due mandati, ha portato da centinaia a migliaia il numero delle ong e delle associazioni con status consultivo all’Onu conferendo loro funzioni e ruoli sempre più importanti. Per l’Onu e per molti, da allora, ong e associazioni sono diventate, per usare le parole di Kofi Annan, “i veri guardiani della democrazia e del buon governo ovunque, interpreti dei bisogni umani negati, unica, autentica espressione di democrazia e voce delle minoranze, degli emarginati, dei deboli, dei soggetti discriminati”.

L’altro grosso errore, altrettanto comune, è la presunzione di sostituirsi agli africani, definire che cosa è bene o male per loro senza neanche consultarli, e prendere l’iniziativa. “Aiutiamoli a casa loro”… e tutti si attivano, ognuno decidendo come aiutare in funzione di ciò che ritiene essere la causa prima della povertà, del mancato sviluppo: multinazionali, neocolonialismo, imperialismo, boom demografico, riscaldamento globale, mercato delle armi… quasi sempre cause esterne: persino la corruzione c’è chi la attribuisce al neocolonialismo invece che, come sarebbe corretto, al tribalismo.

Per i grillini è il franco CFA che impoverisce e toglie dignità agli africani e l’Italia deve intervenire perché ormai è l’euro non il franco la valuta di riferimento. Ad affermarlo è un ex ministro del Togo ora residente in Francia, Kako Nubukpo: “Dunque per noi quello che sorprende – ha detto, intervistato dall’eurodeputato 5stelle Piernicola Pedicini – è che un Paese come l’Italia abbia impiegato così tanto tempo a sollevare la questione del franco CFA perché è corresponsabile di quello che succede nell’Eurozona”. Quel che dovrebbe sorprendere nell’intervista, ma evidentemente non è così, è che l’ex ministro non accenni al fatto che nel suo Paese le istituzioni democratiche dissimulano la dittatura ereditaria che lo governa da decenni. Gnassigbe Eyadema, il padre dell’attuale presidente, aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1967 e lo ha conservato fino alla morte, avvenuta nel 2005. Il figlio Faure Gnassingbe è saldamente al potere da allora. “Quello che chiediamo alla Francia – conclude l’ex ministro – è di accompagnarci ad uscire dal franco CFA, altrimenti ne usciremo noi stessi”.

Posto che sia quel che vogliono gli abitanti dei 14 paesi CFA, come riuscirci se, come credono i 5stelle, il controllo di Parigi sulle ex colonie è totale? Un aiuto potrebbero chiederlo al Mali che dal franco CFA è uscito nel 1962 per poi rientrarci nel 1984. Dovrebbero anche, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, consultare i governi dei due Paesi che hanno aderito al franco CFA pur non essendo stati colonie francesi: la Guinea Equatoriale e la Guinea Bissau, quest’ultima entrata nel sistema monetario nel 1997. Farebbero bene inoltre a domandare al Camerun come ha fatto ad aggirare i vincoli della Francia tanto da poter entrare nel Commonwealth.

Devono inoltre mettere in conto, gli Stati generali, che non tutti i Paesi africani potrebbero aderire riconoscenti alla loro iniziativa. Il giogo della Francia sugli stati CFA non impedisce infatti che alcuni siano tra i Paesi con le migliori e più stabili performance economiche del continente: per citarne alcuni, il Senegal, con un Pil sempre in crescita (6,4 per cento nel 2015, 6,2 nel 2016, 7,2 nel 2017), la Costa d’Avorio (8,8 per cento nel 2015, 8,3 nel 2016, 7,8  nel 2017), la Guinea Bissau (6,1 per cento nel 2015, 6,3, nel 2016, 5,9, nel 2017), il Mali (6,2 per cento nel 2015, 5,8 nel 2016, 5,4 nel 2017).

Inoltre, devono affrettarsi. A scardinare il dominio neo coloniale francese in Africa ci stanno già pensando da anni e con risultati clamorosi Cina, India, Russia, tre dei paesi emergenti del Brics, altri stati e innumerevoli multinazionali. La Cina, ad esempio, dal 2017 è il primo partner economico del Senegal: gli investimenti diretti cinesi nel paese sono passati da 100 milioni di dollari nel 2015 a 1,6 miliardi di dollari nel 2017. Lo scorso settembre, a Pechino, al 7° Forum sulla cooperazione Cina-Africa, evento che si tiene ogni tre anni dal 2000, erano presenti tutte le ex colonie francesi.

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