Qualche mese fa su Atlantico avevamo preannunciato che la demonizzazione di Salvini lo avrebbe rafforzato. Le elezioni europee hanno confermato questa tesi. Quel clamoroso 34,3 per cento deriva, oltre che da una strategia politica e comunicativa studiata nei dettagli, dall’antisalvinismo militante. Dai suoi odiatori ossessivo-compulsivi che hanno fatto di tutto per dipingerlo come un fascista, un razzista e un dittatore, nonostante fosse chiaro che quelle rappresentazioni fossero lontane dalla realtà.
L’effetto, probabilmente non previsto dai suoi detrattori, è stato quello di moltiplicare la pervasività del suo messaggio, che si è così imposto al centro dell’agenda politico-mediatica. Pur non avendo svolto una campagna elettorale innovativa (il “Vinci Salvini” era stata la grande trovata delle politiche del 2018), il leader leghista è riuscito a trionfare. Certo, i risultati sull’immigrazione clandestina, tema sentitissimo da molti italiani, sono stati un mezzo propagandistico formidabile, ma il Capitano non ha fatto più di tanto. Gli è bastato sfruttare la centralità mediatica ottenuta e gli sforzi degli antisalviniani di professione che, a ben vedere, gli hanno tirato la volata. Gli episodi delle lenzuolate, delle contestazioni antifasciste e antirazziste e dei selfie in cui veniva deriso hanno fatto il suo gioco.
In tal modo, sia per i propri meriti sia per volontà dei suoi contestatori, Salvini è stato sempre l’oggetto del dibattito. Anche gli attacchi di Di Maio e del Movimento 5 Stelle non hanno fatto altro che rafforzarlo. Potenziando ulteriormente la sua centralità. Non bisogna poi dimenticare che i “ceti medi riflessivi” che lo hanno costantemente demonizzato, a causa di una malcelata sicumera, sono rimasti inascoltati da molti italiani che hanno scelto Salvini non tanto perché lo gradivano, ma per l’antipatia nei confronti di tali maîtres à penser.
La dinamica umanizzante e polarizzante costruita dal leader della Lega ha ampliato ulteriormente la frattura che, seguendo le categorie da lui usate, potremmo definire popolo-élite. Infatti, fattosi percepire come un uomo comune grazie all’uso dei social media, ha trasformato tutti gli attacchi disumanizzanti nei suoi confronti in attacchi al “popolo”. Popolo che fotografa ciò che mangia, si fa selfie e posta su Instagram i luoghi che visita, proprio come Salvini. Questa identificazione prepolitica ha fatto sì che la demonizzazione, per l’irrealtà delle minacce paventate e per la distanza tra “popolo” e intellettuali di una certa sinistra, ne rafforzassero la narrazione e il messaggio. Quanto avvenuto ricorda da vicino la parabola dell’antiberlusconismo: l’odio viscerale nei confronti del Cavaliere gli permise di restare al centro della scena per quasi un ventennio. Visto il suo declino, Salvini potrebbe prenderne il posto. Sia come perno della destra, che come oggetto delle stilettate mediatiche di una sinistra che continua a commettere gli stessi errori da più di vent’anni.