In un tweet del 26 ottobre Emma Bonino segnala che l’associazione Radicali italiani (da non confondere con il Partito Radicale) sul suo sito avrebbe “raccolto in un dossier una cronologia di episodi di aggressione o discriminazione su base razziale avvenuti in Italia da inizio giugno ad oggi”. “Senza pretese statistiche o scientifiche”, conclude, “l’elenco mostra la deriva socio-culturale del nostro Paese”. Incuriositi, siamo andati a dare un’occhiata.
Ebbene, nella maggior parte di questi episodi il movente razziale deve ancora essere accertato dal punto di vista penale, in alcuni casi è stato già esplicitamente escluso dagli inquirenti e dai fatti accertati, e in altri ancora le indagini sono ancora in corso non solo per stabilire il movente, ma persino per ricostruire l’accaduto e/o individuare i responsabili. E infatti il “report” è pieno di “si presume”.
A prescindere dalle indagini, in alcuni casi il resoconto riportato dai radicali è esso stesso talmente generico e scarno da non poterne desumere alcuna conclusione, né sul movente né addirittura sugli esecutori dell’aggressione. In genere si riportano sinteticamente, in due/tre righe, ricostruzioni dei giornali e, soprattutto, le versioni delle vittime o presunte tali.
Insomma, l’unico comune denominatore degli episodi riportati è il colore della pelle delle vittime. Se la vittima è di colore, il dossier dà per scontato che il movente sia razziale. Se a generare una lite è il posto in un parcheggio e ci scappano una spinta e qualche insulto a sfondo razziale (“tornatene al tuo paese”), ci troviamo di fronte certamente a un maleducato e violento, ma non basta per catalogare l’episodio come “aggressione o discriminazione su base razziale”. Altri episodi sembrano essere riconducibili a vendette mafiose e a probabili regolamenti di conti tra bande rivali di spacciatori, o addirittura a “ragazzate”.
Basti pensare che scorrendo l’elenco viene riportato come “razzista” anche il noto episodio del lancio di uova ai danni dell’atleta italiana Daisy Osakue. Una probabile bufala anche l’episodio di razzismo denunciato su un pullman Flixbus a Trento. Viene riportata anche la denuncia di una ragazza italiana di origini haitiane respinta ad un colloquio di lavoro “perché nera”. È la sua versione, la ragazza non sa indicare nome e numero di telefono della persona incontrata (il suo iPhone l’ha cancellato dopo pochi giorni…), né il nome del ristorante per cui avrebbe dovuto lavorare.
Citato naturalmente il controverso caso di Lodi, che a prescindere da come si valuti, è semplicistico liquidare con il sindaco “taglia fuori dal servizio mensa e scuolabus” i bambini figli di stranieri. La questione è un po’ più complicata.
Insomma, che in Italia sia in atto una “deriva socio-culturale” di stampo razzista è discutibile. Se ne può parlare, ma nel caso le responsabilità dell’aumento di sentimenti xenofobi sono da individuare anche nei governi e nelle forze politiche che hanno sostenuto, favorito e incoraggiato un’immigrazione incontrollata, anzi non una “immigrazione”, ma una tratta di esseri umani. In ogni caso, non è con elenchi e fake-dossier come quello dei radicali che si può “mostrare”. Anzi, rischiano di mostrare solo il pregiudizio e la faziosità di chi li compila che, così facendo, non contribuisce a un dibattito pubblico civile e basato sui fatti su un tema così importante, e in ultima analisi danneggia la sua stessa causa.