Di Maio è un fenomeno: del “nientismo”

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Il dialogo è di quelli belli in un contesto intrigante: Lucia Annunziata e Luigi di Maio da Bianca Berlinguer a Carta Bianca. All’improvviso, così, dal nulla, spunta un noi, un plurale maiestatis, un senso di appartenenza. A cosa? Al Paese? Alla sinistra? Al Governo? Al fantastico mondo del fare, dell’entrare a gamba tesa nella situazione campana con l’esercito (e la Protezione civile, ma solo perché andava detto). Alla buon’ora.

Peccato che qui non si giochi a calcio, ma con la vita di milioni di persone che non sono i pupazzetti del calcio Balilla (e sempre che Balilla di questi tempi si possa ancora dire, ma questa è un’altra storia).

Insomma, stiamo assistendo ad una trasformazione da bruco a farfalla dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle, e nuovo leader in pectore di un’ipotetica scissione del partito del vaffa, che potrebbe dare vita ad un piccolo Frankenstein tra grillini e chissà chi: è diventato decisionista, si è ringalluzzito, è diventato l’uomo forte, quello che dirige, quello tutto d’un pezzo che “io ho chiesto al Governo di intervenire”. Tutto questo accade dopo che al governo c’è stato anche lui per nove mesi, dove il massimo che ha sostenuto è stato il silenzio tombale in cui si era praticamente ritirato, senza neanche raccogliere gli stracci del sequestro dei pescatori mazaresi, lasciato cadere con tutta la nonchalance che gli appartiene. Ricordiamoci sempre, e magari erigiamo una stele, che dobbiamo a lui l’abolizione della povertà…

Ma diciamolo, a parte la mia personale simpatia per l’uomo, va ammirato se non altro per questa capacità di mantenere la stessa imperturbabile attitudine al “far finta di nientismo” che lo vede indiscusso protagonista, come il mio compagno delle medie, tal Giacomo, che in seconda ebbe il coraggio di presentarsi con il quaderno mangiato dal cane per giustificare di non aver fatto i compiti.

E quindi eccolo, che subito dopo si lancia a petto nudo sul tema della settimana, quel papocchiaccio brutto della nomina del commissario alla sanità calabrese.

“C’è un’urgenza e bisogna nominare il commissario il prima possibile. Tutto il mondo ci invidia Gino Strada. Il suo nome andrebbe protetto. Prima si fanno le nomine e poi si dicono i nomi. Non possiamo più permetterci dubbi”.

Ah, c’è un urgenza, qualcuno dovrebbe dirgli che in Calabria c’è un’urgenza già da quando era ministro della salute Beatrice Lorenzin, se lo sapesse non si sconvolgerebbe più di tanto di tre candidati bruciati in pochi giorni, anche se la vicenda è triste e non fa ridere affatto. Ma, forse, il punto è proprio questo, Di Maio non sa e non sa molte cose – e non torniamo sulla geografia – ma se lo abbiamo mandato per ben due volte a fare il ministro avrà delle altre qualità che ci devono essere sfuggite, visto che è candidato a fare addirittura anche il capo politico bis.

Di Maio è un fenomeno, dobbiamo ammetterlo una volta per tutte.

Il sospetto poi che da qualche parte sia arrivato un’ordine di scuderia che suona molto simile a un “ piazzate Gino Strada” è venuto a molti, ma d’altronde torniamo sempre lì, al proporre persone famose e in quanto famose per ruoli amministrativi, la politica in stile Grande Fratello stenta a lasciare il campo ad una visione più manageriale e meno mediatica della gestione della res publica.

Infine, Di Maio, sempre seguendo un basso profilo e per niente propagandistico, annuncia la lieta novella del giorno: “Con il decreto Dignità abbiamo scongiurato circa 2 milioni di licenziamenti” e “abbiamo convertito il 300 per cento di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato”. Salvo poi correggere il tiro con un meno napoleonico “il decreto Dignità ha spinto di un +300 per cento la conversione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato”.

La differenza è sottile, chissà in quanti di quel 33 per cento che li votarono la capirà al punto di non rivotarli.

Ebbene, confrontando i dati da fonte Inps come ha fatto il sito Pagella Politica.it, gratta gratta ad un confronto con il periodo precedente al decreto Dignità, tra agosto 2016 e luglio 2018 le trasformazioni da contratti di lavoro a tempo determinato a rapporti a tempo indeterminato sono state poco più di 773 mila, con un incremento, al luglio 2020, del 63 per cento circa e non del 300 per cento.

Ecco quindi che la matematica, scienza evidentemente inesatta, cambia ad uso e consumo del ministro Di Maio. La faccia tosta però, siamo abbastanza certi, rimarrà la stessa.

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