È probabile che la nomina di Vittorio Colao a capo della task force per la ricostruzione post-Coronavirus non faccia stare tranquillo Giuseppe Conte. A impensierirlo non sono i poteri (minimi) della compagine, né il prestigio (notevole) di Colao o gli appelli della stampa mainstream perché Colao abbia deleghe più ampie e sia messo in condizione di operare e non solo di vergare l’ennesimo Libro Bianco. C’è dell’altro.
Conte non ha solo paura che Colao innesti le marce corte e in men che non si dica, da cavallo di frisia per frenare lo spettro sferruzzante di Draghi, si trasformi in un cavallo di Troia in grado di espugnare Palazzo Chigi. Conte teme piuttosto che il mondo catto-dem, a cui proprio Conte deve moltissimo, sia ormai determinato a scaricarlo. L’ordine di scuderia, cioè, è di sacrificare Conte per salvare la legislatura, mettere in sicurezza la successione al Quirinale, evitare l’avvento delle destre.
Dietro a Colao, Conte intravvede le mani di Giovanni Bazoli, di Enrico Letta e, inevitabilmente, dello stesso Sergio Mattarella. Intuisce, Conte, che gli andreattiani proveranno a fare secco lui, Conte, ma a salvare molto del resto. Lo schema di fondo in realtà appare semplice, e fa come sempre leva sulla disperazione dei grillini. L’idea è che questi ultimi non intendano far saltare né la maggioranza né la legislatura, e siano pronti ad affidarsi sempre più al Pd. Per M5S, il prezzo sarebbe ovviamente elevato. Esso passerebbe anche dalla correzione di alcune tendenze molto accentuatesi durante la gestione Conte – si pensi solo alla drastica curvatura filo-cinese in politica estera.
Le angosce di Conte possono ovviamente apparire un tema minore, o comunque di stretto interesse dello stesso Conte. Il tema, tuttavia, è decisivo: è davvero possibile rimuovere Conte senza cambiare l’attuale equilibrio politico? Lo capiremo presto.