Nelle ultime 48 ore è andato in scena in esclusiva sui media italiani una sorta di botta-e-risposta a distanza tra il segretario della Nato Jens Stoltenberg e il presidente ucraino Zelensky, con quest’ultimo che si sarebbe detto pronto a cedere la Crimea alla Russia per arrivare alla pace e il primo che lo avrebbe contraddetto e smentito, avvertendo che i Paesi Nato non riconoscerebbero mai la Crimea russa. Zelensky apre, la Nato chiude; Zelensky offre la Crimea, la Nato lo gela. E così via.
Una totale invenzione, una rappresentazione falsa e tendenziosa. Ad alimentare e anzi a fabbricare, come vedremo dal nulla, tale mistificazione non i social o qualche sito filo-russo, ma i media mainstream, dalle agenzie di stampa a giornali e tv, dal Fatto Quotidiano (Nato contro Zelensky: “La Crimea è nostra”) all’iper “atlantista” La Stampa (La Nato corregge Zelensky: “La Crimea è incedibile”). Un caso di scuola, tra tanti, che dimostra come la disinformazione più insidiosa sia quella diffusa dai media “ufficiali”, le cui bufale trovano abbassate le “difese” del pubblico proprio perché generalmente ritenuti più autorevoli e affidabili. Sono questi i veri fake news media, che poi pretendono di ergersi a paladini della lotta alle fake news, ma che in realtà si battono per avere il monopolio delle fake news e della disinformazione.
Alla base di questa mistificazione una premessa falsa (che Zelensky avesse detto di essere pronto a cedere la Crimea) e il taglia e cuci di una intervista di Stoltenberg a Die Welt.
Stoltenberg non poteva aver “corretto” Zelensky sulla Crimea, non foss’altro che per la semplice ragione che il presidente ucraino non aveva affatto parlato di Crimea.
Rispondendo ad una domanda durante un evento organizzato venerdì sera da Chatham House, Zelensky ha detto che la condizione “minima” per fermare la guerra e iniziare a parlare è “ristabilire la situazione del 23 febbraio”, cioè precedente l’invasione russa. Ora, siccome la Crimea è stata annessa dalla Russia nel 2014, molti l’hanno letta come una rinuncia alla regione. Ma Zelensky ha detto una cosa ben diversa, ha posto come prerequisito per un cessate-il-fuoco e per qualsiasi trattativa il ritiro delle forze russe da tutti i territori occupati dopo l’invasione iniziata il 24 febbraio. Altro che “apertura” (persino il ministro degli esteri Di Maio ha parlato di “un’apertura importantissima”). Al contrario, una linea intransigente, essendo obiettivamente inverosimile che Mosca rinunci a mantenere il controllo dei territori conquistati durante il negoziato.
Dall’intervista di Stoltenberg a Die Welt uscita sabato è stato estrapolato un passaggio e presentato come risposta a Zelensky: “I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea”. Peccato che, come abbiamo visto, il presidente ucraino non avesse affatto parlato di Crimea e che, in ogni caso, sia stato omesso il passaggio successivo del segretario Nato: “Alla fine, però, il governo e il popolo ucraino devono decidere in maniera sovrana su una possibile soluzione di pace. Non possiamo farlo noi”. Queste le frasi esatte:
“L’Ucraina deve vincere questa guerra perché sta difendendo il proprio Paese. I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Sosterremo l’Ucraina fino a quando il presidente Putin porterà avanti questa guerra. Alla fine, però, il governo e il popolo ucraino devono decidere in maniera sovrana su una possibile soluzione di pace. Non possiamo farlo noi”.
Vale la pena anche ricordare quale fosse la domanda: “Dal punto di vista dei Paesi Nato come si può mettere fine a questa guerra?”. Così il senso della risposta di Stoltenberg diventa inequivocabile: non sarà la Nato a mettere fine a questa guerra, facendo mancare il proprio sostegno all’Ucraina e riconoscendo l’annessione della Crimea e il controllo russo del Donbass. Saranno Putin e il governo e popolo ucraini. Devono decidere gli ucraini se cedere la Crimea, non dobbiamo decidere noi.
Ed altrettanto chiaro che il segretario Stoltenberg stava parlando dell’annessione “illegale” della Crimea da parte della Russia, quella del 2014, che i Paesi Nato non riconobbero (nemmeno la Cina la riconobbe) e non riconosceranno mai, ma non di una eventuale cessione della Crimea a Mosca come decisione sovrana di Kiev nell’ambito della citata “possibile soluzione di pace”, su cui però devono essere gli ucraini, “non noi”, a decidere.
Ma non è un caso che questa falsa rappresentazione di una Nato che si opporrebbe alle presunte aperture di Zelensky sia stata diffusa così trasversalmente dai media mainstream italiani. Si sposa in pieno, infatti, con la narrazione spinta dal Cremlino secondo cui il presidente ucraino sarebbe un mero burattino nelle mani di Biden e gli ucraini sarebbero costretti a combattere una “guerra per procura”.
Una rappresentazione che ha trovato terreno fertile nel riflesso antiamericano delle redazioni mainstream – ripetiamo: anche le più insospettabili di essere filorusse – alle quali non è sembrato vero di poter dare in pasto all’opinione pubblica la “prova” del cinismo Usa: vedete, il presidente ucraino vuole la pace, sono i cattivoni Usa e Nato che ostacolano le trattative, perché vogliono prolungare la guerra per i loro loschi interessi. Una narrazione che ha il pregio di combinare la solidarietà nei confronti del popolo ucraino con il viscerale antiamericanismo che abita nelle redazioni italiane, rimasto spiazzato dalla guerra di aggressione di Putin.
D’altra parte, in questi giorni è ben visibile un generale riposizionamento della politica e di settori dell’establishment italiano, da cui come sappiamo i grandi giornali dipendono.
Si intravede uno sforzo sempre più intenso e diffuso per raccontare la guerra in Ucraina come la guerra di Biden e Johnson alla Russia, che in quanto tale confliggerebbe con gli interessi dell’Europa (ma quale Europa? Polonia e Baltici, o Germania e Italia?), mentre si allarga il fronte “pacifista”, contrario all’invio di armi a Kiev, che con sempre maggiore insistenza critica le posizioni Usa e Nato e spinge per una soluzione diplomatica (richiesta che andrebbe inoltrata, semmai, a Putin), che ad oggi non potrebbe che consistere in una resa anticipata di Kiev.
Basti pensare all’intervista a Carlo De Benedetti uscita sul Corriere della Sera:
“Gli interessi degli Usa e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo”.
E assurdità del tipo: la Nato “non ha più senso”, “gli Stati Uniti escano dalla Nato”, la resistenza ucraina è “un danno per il mondo”.
“Se l’America vuol fare la guerra a Putin, la faccia; ma non è l’interesse dell’Europa”, taglia corto De Benedetti, premurandosi di farci sapere che non è una sua opinione personale, “è quello che pensano in Germania” – e forse su questo ha ragione.
Altra intervista, quella al cattodem Graziano Delrio su La Stampa: “Ora l’Italia dica agli Usa di abbassare i toni”. L’esponente Pd arriva a definire “irresponsabili” Washington e Londra e chiede al premier Draghi di farsi “promotore di una mediazione europea” (come se Macron in questi mesi non ci abbia già provato…), trovando la sponda di Salvini.
Un segnale al fronte “pacifista” è arrivato ieri dal premier Draghi, alla vigilia della sua visita a Washington: intervenendo alla videoconferenza del G7 allargata al presidente Zelensky ha sottolineato la necessità di “continuare a sostenere” Kiev, di “andare avanti con il sesto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia” ma, “allo stesso tempo”, di fare “ogni sforzo per aiutare a raggiungere quanto prima un cessate-il-fuoco e per dare nuovo slancio ai negoziati”.
Insomma, la priorità di pezzi di maggioranza – da Conte a Salvini, passando per Leu e ora anche esponenti Pd – sembra essere marcare la distanza da Stati Uniti e Regno Unito. Vedremo come queste spinte verranno assorbite dal premier Draghi in visita a Washington.