Credo si debba all’antica sapienza della gente italica che la campagna terroristica condotta dalla gran parte dei mass media di professata fede liberale, non si sia tradotta in una autentica caccia alle streghe condotta di piazza in piazza, di porta in porta. Con una semplificazione tipica di ogni dittatura massmediale, la etichetta infamante no-vax è stata estesa a coprire qualsiasi manifestazione dissenziente rispetto alla politica sanitaria governativa. Cioè, non con una proporzionata restrizione della libertà personale vis-a-vis della salute pubblica, ma con una assolutizzazione di quest’ultima, fino alla paradossale affermazione che anche la misura più coattiva sarebbe giustificata se idonea a impedire una sola morte. Si continua ossessivamente a dilatare i no-vax , fino a ricomprendervi più o meno esplicitamente pure i no-green pass, base o super, così come attuati, per poi negargli la tribuna televisiva o peggio ancora dileggiarli con interviste volanti a personaggi pittoreschi scelti a proposito. Così facendo, però, si entra in una insanabile contraddizione. Nel mentre si afferma trattarsi della minoranza di una minoranza, essendosi vaccinata con doppia dose un buon 84 per cento della popolazione al di sopra dei 12 anni, dando per scontata che questa percentuale quasi totalitaria sia tutta schierata dietro la politica governativa; poi i sondaggi, ultimo quello del Censis, ci ritornano che una parte notevole di quell’84 per cento resta più o meno critica rispetto al green-pass. Sottoporsi alla vaccinazione, per convinzione o costrizione, non significa ipso facto aderire corpo e anima a tale politica.
Eppure, la strategia seguita risulta tutt’oggi una navigazione a vista. Sotto la falsa sicurezza – pubblicizzata dall’alto, con la paterna benedizione dello stesso presidente della Repubblica e la compiaciuta adesione della compagnia dei virologi televisivi – cerca di occultare incertezze se non evidenti contraddizioni. Certo c’è stata una progressiva ritirata, così come esplicitata anche dopo la salvifica campagna vaccinale: non ci sarebbe stata alcuna possibilità di contrarre l’infezione; ci sarebbe stata, ma, prima, solo da non vaccinati e, poi, anche da vaccinati; comunque, una volta contratta, avrebbe evitato, prima, la ospedalizzazione, poi, la intubazione e la morte; infine non avrebbe evitato né l’una né l’altra, peraltro in una percentuale assai più ridotta.
A far precipitare la situazione è stata la scoperta della durata calante della copertura vaccinale, con un decrescendo via via accelerato – 12, 9, 6, 5, 3 mesi – sì da scompaginare la programmazione iniziale sui 12 mesi. Vi si è fatto fronte con una misura scopertamente ipocrita, per cui la durata del green-pass cala a 9 mesi, come se veramente questa costituisse l’effettiva piena efficacia della doppia vaccinazione, ma al tempo stesso è partita la campagna della terza, a partire da 6 poi 5 mesi dalla seconda. Misura ipocrita, per occultare la vera ragione: la partenza in ritardo della terza dose, per cui sarebbe stato impossibile tornare a coprire tutta quella percentuale dell’85 per cento prima della scadenza della seconda, se ridotta all’effettiva durata di 6 mesi.
Così, per sviare l’attenzione dal ritardo nella somministrazione della terza dose, di cui si ignora la efficacia temporale , che qual genietto della disciplina favoleggia sui 5-10 anni, se pur in Israele si sta pensando alla quarta, si è scatenata una guerra contro i no-vax, condannati alla sottile tortura di una progressiva espulsione della vita sociale, tacciati e trattati alla stregua di untori, con l’argomentazione, questa sì propria di ogni dittatura di una maggioranza, di attentare alla saluta pubblica. Così, ora, come ultima misura adottata, ecco il super-green pass, che dovrebbe assicurarci un Natale “normale”, peraltro con un eccesso fideistico. Tenuto conto dell’attuale rapporto fra tamponi e infettati, sì che, se, con riferimento alla Germania, il primo si elevasse a livello di quello lì praticato, il secondo non risulterebbe troppo diverso, non ci si dovrebbe attendere nulla di meglio allo scadere delle due settimane decorrenti dal 6 dicembre, tenuto conto che più o meno tale è il periodo di incubazione della epidemia.
Tramontata ogni illusione di una percentuale idonea a garantire una immunità di gregge – che, se anche fosse prossima al 100 per cento la copertura con due dosi, resterebbe sempre la concreta possibilità di una persistenza della pandemia fra i vaccinati, senza alcuna sicurezza che una terza dose riesca di lunga durata – la prospettiva realistica resta quella di una campagna vaccinale annuale o addirittura semestrale. Prospettiva, questa, aggravata dalla consapevolezza che fino a quando l’intera popolazione mondiale non sarà vaccinata ci sarà sempre la possibilità di varianti, alcune tali da richiedere aggiornamenti dei vaccini esistenti. Il che, se fosse veramente tenuto presente, senza essere solo agitato come uno spauracchio, dovrebbe comportare una politica sanitaria di convivenza con la pandemia, senza nessuna illusione circa la data di una uscita definitiva.
Ne deriverebbe una duplice necessità, a cominciare da quella relativa ad una preparazione psicologica ed organizzativa ad una campagna di vaccinazione almeno annuale, senza farsi ingannare dalla relativa facilità di quella anti-influenzale, con la consapevole finalità non di eliminare, ma di mitigare la ricaduta della diffusione del virus in termini di ammissione in terapia intensiva e di morte. Ma, proprio per evitare che questa “mitigazione” si traduca comunque in una pesante ospedalizzazione, si dovrebbe spostare l’attenzione sulla possibilità di una cura domiciliare, rafforzando quella medicina territoriale di cui si è lamentata l’assenza, peraltro facendosene carico solo a parole. Già si può contare su una terapia ad hoc, una volta insorta l’infezione è praticabile l’assunzione domiciliare di anticorpi monoclonali.
Questo già a tutt’oggi, ma avendo fiducia nella incredibile capacità della scienza di accelerare in presenza di urgenze impreviste sì da rendere tutt’altro che futuribile la predisposizione di un vaccino in pillole – sì da rendere la campagna vaccinale assai più semplice nei paesi sviluppati e assai più praticabile nei paesi sottosviluppati. Parlo della scienza con la s maiuscola, quella delle Big Pharma anglosassoni, benedette e maledette, ma le sole capaci di tener testa al virus con una strumentazione finalizzata non ad inseguire ma ad anticiparlo.
C’è stato detto che un giorno il Covid-19 sarà addomesticato come ora il coronavirus del raffreddore, che si manifesta ad ogni colpo di freddo con un paio di starnuti. In attesa di quel giorno sarà bene adottare una strategia di una durata non programmabile a priori, che punti ad una convivenza via via più mitigata, ma senza farsi della malattia … una malattia ossessiva che si illuda di estirparla col bando rigoroso dalla vita sociale di quella esigua minoranza non vaccinata, mettendole metaforicamente al piede la campanella destinata a segnalarne la presenza come toccava ai lebbrosi ai tempi andati.
Credo che neppure la terza dose avrà per sé una percentuale totalitaria, neppure la quarta e via seguendo, se pur se si introdurrà l’obbligo, perché ogni volta portare a termine la campagna divenuta almeno annuale risulterà estremamente difficile di per sé, per la gigantesca fatica organizzativa, tale da sfinire letteralmente l’intero Paese. Non sarà che proprio questa consapevolezza frustrante – perché tale da smentire ogni facile via di uscita, quale quella di esorcizzare i pochi untori – ne accresca l’isterica caccia da parte dei mass media, debitamente supportata da una schiera di virologi, proiettati dalla totale oscurità alla ribalta in piena luce? Non sembra preoccupare minimamente il vulnus provocato non solo al diritto di libertà personale ma alla stessa regola base democratica, che dà per scontato che ad una minoranza si deve chiedere di non essere violenta, non certo di condividere l’opinione della maggioranza. Il buon Voltaire si rivolterà nella tomba.