È ormai ricorrente l’affermazione di un revival della classica contrapposizione fra sinistra e destra, che si era appannata col tramontare delle rispettive referenze a contrapposte classi sociali. Il che sembra trovare una precisa conferma nella crisi dei 5Stelle, nati all’insegna di una smentita di tale contrapposizione, dalla caratura nettamente populista di una rivolta contro l’establishment, con al suo epicentro lo stesso governo. Dal che sarebbe derivata quella sostanziale indifferenza rispetto alle alleanze, tanto da condividere in rapida successione una giallo-verde e ed una giallo-rossa, con la copertura di stare con chi ci sta a condividere il programma 5Stelle.
Ma alla prova dei fatti il movimento, diventato partito di governo, ha rivelato una spaccatura interna, dovuta alla forza gravitazionale esercitata rispettivamente dal Pd e dalla Lega, sì da costringerlo a compattarsi con continui rilanci di rivendicazioni identitarie, tali da metterlo in continue frizioni con il compagno di cordata di turno, Lega ieri, Pd oggi.
Comunque all’elettore l’immagine che gli viene trasmessa dall’attuale quadro politico è quella di una divisione tranchant fra due sole parti, il centro-sinistra e il centro-destra, con i 5Stelle alleati, se pur recalcitranti, del centro-sinistra. Ora, nonostante l’auto-battesimo, per cui sia sinistra che destra si fanno precedere dalla parola centro, entrambe non lo rappresentano a pieno titolo, perché spinte dalla stessa contrapposizione a radicalizzarsi sulle estreme. Sicché la ininterrotta battaglia all’insegna di una reciproca delegittimazione, enfatizzata al massimo dai mass-media, si presenta come una continua partita giocata sull’immedesimarsi identitario dell’elettore, che finisce per viverla da tifoso, schierato a priori dall’una o dall’altra parte.
Questo capita largamente in ragione dell’essere spesso l’oggetto di ciascuna partita, come esemplarmente mostrano il Trattato sul fondo salva-stati e la prescrizione, estremamente difficile da capire, per cui, in assenza di una pur elementare spiegazione, l’elettore si colloca automaticamente dalla parte preferita. In questa situazione in cui la politica si fa propaganda, alla fin fine affidata a slogan da curva di stadio, è la semplificazione a vincere, cioè nel senso di una individuazione diretta e facile della squadra del cuore. E qui la destra è grandemente favorita, per una scelta suicida della sinistra, che la facilita nella trasformazione della partita in una scelta affidata ad una alternativa secca pro o contro il segretario della Lega.
Certo, c’è sullo sfondo una personalizzazione del potere, che, però caratterizza tutta la politica soprattutto contemporanea, italiana e straniera, ma che di per sé non rappresenta l’anticamera di una rottura della continuità costituzionale. E se, come dice il recente rapporto Censis, prende la forma della domanda di un “uomo forte” , che non debba preoccuparsi di “Parlamento ed elezioni”, questo non vuol dire l’aspirazione ad una dittatura, ma solo una profonda stanchezza rispetto ad una sterile guerriglia quotidiana che ha caratterizzato in debita sequenza due alleanze, giallo-verde e giallo-rossa, con la conseguenza di penalizzare proprio la componente sociale più debole e marginale.
Non è detto a priori che quest’uomo “forte” debba provenire solo dalla destra e non anche dalla sinistra, se è vero che Renzi da premier raggiunse il 40 per cento nelle penultime elezioni europee, mentre, a sua volta, Salvini, da vice premier, raccolse il 34 per cento in quelle successive. E di per sé la richiesta non è sintomatica di alcuna involuzione autoritaria, ma di una esigenza della gente di riconoscersi oltre che in un programma, nella figura di un leader, cui si dà una delega sulla fiducia, sì da non essere coinvolti in una rissa quotidiana del tutto invasiva ed estranea rispetto alla propria quotidiana fatica. Né la configurazione dell’uomo “forte”, come di uno che non debba preoccuparsi di “Parlamento ed elezioni” va presa alla lettera, come una posizione ideologica, ma bensì come valutazione storica di elezioni inconcludenti e di un Parlamento delegittimato. A suo tempo la gente si espresse per il maggioritario, il quale bene o male, garantiva l’alternarsi delle maggioranze, se pur non senza crisi interne; ora abbiamo di fatto un proporzionale arlecchinesco, alleanze variabili sotto la guida dello stesso presidente del Consiglio, non solo non eletto, ma precedentemente del tutto sconosciuto.
Ora Salvini, lo si voglia o no, appare come un leader, che come tale si comporta, con il vantaggio che la sua parola ha per ciò stesso una maggior probabilità di essere ascoltata. Al contrario non appare più così per Renzi e Di Maio, né è mai apparso così per Zingaretti, handicap, questo, che viene enfatizzato dal contrasto tutto centrato sul segretario della Lega, così quanto più lo si condanna, con epiteti di fascista, razzista, etc…, rendendolo un nemico assoluto, tanto più lo si esalta agli occhi di chi ne apprezza la capacità di tenere banco. Peraltro tale condanna finisce per ricadere sulla gente che lo segue, la quale non si sente affatto fascista, razzista, etc…, sì da ritenersi offesa, reagendo con una identificazione ancor più forte col segretario della Lega.
Si può, al riguardo, ricordare la pioggia di critiche piombate addosso a Salvini per aver tolto la spina ad agosto, con l’evocazione di un suicidio perfetto; ma la giustificazione addotta allora di non poter governare coi 5Stelle trova ora una palmare evidenza nella sofferenza quotidiana del Pd, che più resiste alla tortura più perde consenso elettorale, rendendo sempre meno credibile la sua affermazione di essere pronto a ritornare alle urne. A suo tempo, scrissi che forse si trattava di un aiuto al suicidio del Pd, nel momento stesso in cui si arrendeva ad una alleanza con i 5Stelle; il che si sta puntualmente verificando, con uno sfrangiarsi della stessa area della sinistra, con la doppia sfida, di una fuga verso il centro-centro, da parte di Renzi e Calenda, e di una rivitalizzazione della sinistra-sinistra da parte del movimento delle “sardine”. Di fatto, come insegna il passato, la frammentazione è a somma zero, dato che, come insegnano i sondaggi, il bacino elettorale dove pescano tutti resta sempre lo stesso, con spostamenti tutti interni.