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Diritti sospesi e libertà condizionate: un punto di non ritorno per il nostro ordinamento

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“Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”. Controllare il tempo per controllare le menti: la profezia orwelliana si sta realizzando anche oltre le sue più “ottimistiche” previsioni. La cosa più incredibile è che il nostro passato recente, seppure imperfetto e problematico, è stato a più riprese denigrato, vilipeso, rinnegato; un passato che ora è solo un ricordo sbiadito visto che siamo condannati a barcamenarci come umanoidi in questa alienante lotta per la sopravvivenza. 

Non a caso, una delle tante frasette con cui hanno tentato di rabbonirci fin dall’inizio di questa nuova era all’insegna dell’oscurantismo è stata: “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”. Adesso, a questi sofisti del nichilismo andrebbe chiesto quale sarebbe il rapporto di causa ed effetto tra la “normalità” e il morbo cinese che si è palesato non solo in termini di criticità sanitaria ma anche come infezione anti-democratica.

Come al solito, si rifugeranno nelle tergiversazioni e nelle divagazioni moralistiche. O, al massimo, si limiteranno a spiegarci che “siamo in piena pandemia” e quindi tutti questi discorsi sono superflui, bisogna dar retta agli scienziati accreditati dall’informazione mainstream e accompagnare i recalcitranti in qualche centro di riabilitazione ispirato a “L’isola del silenzio” raccontata da Verbitsky o indurli ad abiurare le proprie idee con conseguente pentimento e conversione. Insomma, siamo prigionieri di dogmi e integralismi sanitari che silenziano le opinioni contrarie e sterilizzano il pensiero razionale. 

La prospettiva poco incoraggiante in un Paese intellettualmente pigro e culturalmente conformista è che, prolungando questa emergenza sine die, non esisteranno più diritti naturali ma solo diritti condizionati e soggetti a preventiva autorizzazione. E interrogarsi sulla compatibilità tra la miriade di norme sanitarie prodotte a gettito continuo e i principi di una democrazia moderna diventerà un esercizio di stile, riservato a pochi irriducibili dissidenti che ancora non si rassegnano alla perdita della libertà.  

Per questo, non deve stupire la sostanziale assenza di dibattito sul punto. Eppure di criticità se ne registrano tante, a partire dallo strumento usato per imporre un obbligo formale agli over 50 e di fatto al resto della popolazione con le pesanti sanzioni derivanti dal mancato possesso del Green Pass; un obbligo, per di più, indefinito nella sua durata e nel numero di somministrazioni. L’art. 32 della Costituzione, infatti, prevede una riserva di legge “rafforzata” cioè si può incidere su diritti e libertà dei cittadini solo attraverso una legge parlamentare e non per decreto. Almeno questa era la ratio a cui si erano ispirati i padri costituenti seguendo un paradigma di natura garantista. Sul piano pratico, è semplice osservare che procedere con il decreto legge significa produrre effetti irreversibili ancor prima della conversione delle aule parlamentari. Senza considerare che le conseguenze di un’eventuale elusione possono, al massimo, essere di carattere pecuniario lasciando al soggetto la possibilità di sottrarsi all’obbligo con il pagamento di una multa, proprio per evitare che l’imposizione si trasformi in un trattamento sanitario obbligatorio e superi i limiti del “rispetto della persona umana”. Sintetizzando: non si può imporre la puntura attraverso la forza pubblica o il codice penale come pure proposto in qualche talk-show.

Invece, attraverso lo strumento del Green Pass, si aggirano i paletti dell’art. 32 e si fissano limiti molto più stringenti, come la perdita del lavoro o l’esclusione dalla vita sociale, che condizionano pesantemente la volontà dell’individuo coartata in maniera surrettizia. Tutto questo, peraltro, non è conforme né al regolamento europeo, fonte gerarchicamente prevalente rispetto alla norma interna, che aveva introdotto la certificazione verde per la libera circolazione in ambito continentale individuando due principi invalicabili: nessun obbligo e nessuna discriminazione per i renitenti all’iniezione. In più, esistono trattati internazionali, tipo la Convenzione di Oviedo, che tutelano la posizione del singolo e la sua libera autodeterminazione. Invece, nell’ottica del legislatore italiano, non vi è stato bilanciamento tra valori in conflitto. È stata sancita la prevalenza del generico e collettivo diritto alla salute su tutte le altre norme di rango costituzionale arrivando al paradosso che un obbligo formale (seppur assai discutibile sotto altri aspetti, in particolare quello della libera adesione) sarebbe stato più rispettoso delle regole generali dell’ordinamento rispetto all’imposizione del Green Pass. Anche perché, come da giurisprudenza della Consulta, sarebbe stato accompagnato dalla previsione di uno specifico indennizzo in caso di reazioni avverse con conseguente abolizione del consenso informato (che tanto informato non è).

Così stando le cose e guardandole in una dimensione orwelliana, si ribalta completamente il rapporto tra Stato e cittadino con il secondo ritenuto presunto colpevole (o presunto positivo) a prescindere e il primo esente da qualsiasi responsabilità. Si inverte l’onere della prova e si altera quello che è il principio cardine di ogni democrazia moderna: il rispetto delle norme anche da parte dello Stato. Invece, in quest’epoca così buia per i diritti, lo Stato comanda e il cittadino ubbidisce con una malinconica metamorfosi in suddito, sottoposto a castighi e punizioni se non si adegua al diktat pandemico.

Per cui, al punto di non ritorno in cui siamo giunti, non vi è in ballo più alcuna questione sanitaria ma il modello di società che ci accompagnerà nei prossimi decenni. L’alternativa è tra una società aperta, tollerante, perfino liberale (per quanto questa ideologia sia considerata alla stregua di un’eresia nel nostro Paese) e una società ottusa, rancorosa e biologicamente selezionata in cui a trionfare saranno i presunti progressisti di ieri, diventati i sacerdoti del fronte regressista di oggi. Parafrasando Orwell: chi controlla questo presente distopico controllerà anche il prossimo futuro. Un futuro molto simile a un passato che credevamo superato dal tempo e sconfitto dagli eventi.