“Disertori”. La metafora della guerra fa saltare i capisaldi della democrazia liberale

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E dietro una sottile patina di legalità nasconde una diffusa mentalità autoritaria

Le manifestazioni no-greenpass stanno facendo perdere il sonno a molti, a quanto pare. E così, dopo il sindacalista ed esponente di +Europa (dunque, teoricamente, un radicale) che invoca le cannonate di Bava Beccaris contro i manifestanti, abbiamo adesso chi equipara i no-greenpass ai disertori, da fucilare. Magari scegliendoli con il comodo metodo della decimazione, come si faceva dalle sue parti, al fronte, fino al 1918.

La sparata, inizialmente attribuita da diversi media, tra cui Repubblica e Tgcom, al sindaco forzista di Trieste Roberto Dipiazza, è stata in realtà pronunciata da Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico, durante una conferenza stampa istituzionale, alla presenza del sindaco e del prefetto di Trieste e del governatore del Friuli Venezia Giulia. Parole a tal punto gravi da non poter essere ridotte al rango di semplice boutade.

“La pazienza è finita. Spingeremo perché sia stabilito che il peso di eventuali nuove restrizioni gravi solo su coloro che non sono vaccinati, perché sono disertori. Se questa è una guerra, in una guerra c’è chi ha paura, non combatte, viene messo al muro e fucilato. Qui non fuciliamo nessuno, ma il peso di eventuali nuove restrizioni deve gravare esclusivamente su questi disertori, che mettono a rischio la salute di tutti. La pazienza è finita”.

Primo errore: accettare come scontata la politica del lockdown. Se c’è una lezione che dovrebbe essere stata appresa già dal 2020 è che le restrizioni della nostra libertà sono nocive alla nostra vita sociale ed economica, ma non servono a bloccare l’epidemia, né sono utili a salvare vite in numero tale da giustificare una privazione di libertà. Un presidente di Confindustria, che volesse realmente tutelare gli interessi dei suoi associati, dovrebbe opporsi alle misure restrittive, in ogni circostanza. Invece, nella sua dichiarazione, accetta implicitamente la logica tipica della gestione Speranza: “se fate i cattivi, vi chiudo in casa”, che invece non dovrebbe essere più accettata.

Parlando così della sua città, fa sua la narrazione mediatica martellante di questa settimana, secondo cui a Trieste, nel Friuli Venezia Giulia in generale, si starebbe creando un nuovo focolaio a causa delle manifestazioni no-greenpass e dello sciopero dei portuali. È una tesi talmente ridicola che non meriterebbe neppure un commento, al massimo una risata, se però non avesse ricadute immediate sulla nostra libertà. Se sono le manifestazioni e dunque gli assembramenti di portuali (metà dei quali vaccinati) ad avere creato un nuovo focolaio, qualcuno si è preso il disturbo di tracciare i contagi eventuali dopo la manifestazione di Cgil, Cisl, Uil a Roma (200 mila presenze in una piazza, secondo organizzatori e media)? Qualcuno ha iniziato a fare tracciamenti dopo i Fridays for Future e dopo le manifestazioni degli ecologisti a Roma, in occasione del G20? Qualcuno sta contando i contagi dopo le fiaccolate pro-ddl Zan a Milano, o dopo i rave party, che comunque continuano ad essere organizzati senza alcun controllo sanitario? A quanto pare il virus Sars-Cov-2 è intelligente e selettivo, colpisce solo bersagli umani politicamente scorretti. In piazza coi sindacati, a quanto pare, si guarisce.

Con la metafora “se questa è una guerra, in una guerra c’è chi ha paura, non combatte, viene messo al muro e fucilato”, si stanno affermando due concetti molto gravi. Prima di tutto sta facendo un paragone improprio fra uno stato di emergenza sanitaria e uno stato di guerra. Nello stato di emergenza sanitaria si cura la gente. In guerra si uccide la gente. Sono due condizioni agli antipodi che richiedono metodi emergenziali diametralmente opposti. Trattare la pandemia con i criteri di una guerra, fa venire in mente quella puntata di South Park sull’assedio di Wako (il ranch della setta dei davidiani assediato dall’Fbi per impedire un suicidio di massa) dove il commissario di polizia urlava al megafono agli assediati: “sono costretto a salvarvi la vita, a costo di uccidervi tutti”.

Purtroppo la metafora della lotta al virus come “guerra” sta prendendo la mano: buona come motivazionale per medici e infermieri impegnati nei reparti Covid, adesso sta diventando giustificazione per un regime. E il secondo concetto veramente pericoloso è proprio lo sdoganamento della fucilazione: sebbene sia un’esagerazione retorica, come ammette lo stesso Agrusti, veicola un messaggio illiberale gravissimo, quello di punire chi rifiuta un trattamento sanitario.

La giustificazione per questo atteggiamento autoritario è ancora più grottesca. Secondo il governo e anche secondo il sindaco e il prefetto di Trieste, non solo chi non si vaccina, ma anche chi protesta contro i nuovi obblighi e restrizioni alla libertà individuale, “mettono a rischio la salute di tutti”. Se un non vaccinato mette a rischio la salute dei vaccinati, allora vuol dire che il vaccino non funziona. Delle due l’una: o il vaccino è sicuro, quindi il vaccinato non ha più nulla da temere da chi non si è vaccinato e quindi non c’è alcun bisogno di imporre l’obbligo (l’incentivo dell’immunità è più che sufficiente), oppure il vaccino non è sicuro e, come dimostrano le statistiche, i vaccinati possono contagiare ed essere contagiati. Ma allora anche in questo caso l’obbligo sarebbe inefficace, perché anche con una copertura totale il contagio non verrebbe fermato. Al massimo sarebbe giustificata la vaccinazione per i più fragili ed esposti, per il loro esclusivo bene, per evitare sintomi gravi.

Ma la logica dello sforzo collettivo, da cui non si può disertare, non ha alcun senso, se non come argomento per intimidazione, usato spesso da medici che dimostrano di essere dotati di bollenti spiriti totalitari, ma di ben poca logica. (Ps per la solita obiezione: ridicolo anche l’argomento sulla nascita delle mutazioni nel popolo non vaccinato, perché la patria del virus è il mondo intero, non la sola Italia. Se anche gli italiani si vaccinassero al 100 per cento, il virus continuerebbe a circolare nel resto del mondo, fra miliardi di non vaccinati, muterebbe e metterebbe a rischio la copertura vaccinale).

Siccome alle parole seguono anche i fatti, ecco che sindaco e prefetto di Trieste annunciano di voler vietare ogni ulteriore manifestazione in Piazza Unità d’Italia, epicentro della protesta no-greenpass. Tutte le manifestazioni in quella piazza saranno vietate? Finora si è semplicemente chiesta l’autorizzazione e in determinate circostanze non è stata concessa, per motivi di ordine pubblico. Ma anche qui si rischia di sdoganare un concetto molto pericoloso: “Per me in questo momento prevale il diritto alla salute – dichiara il prefetto Valenti – e dobbiamo trovare forme per non reprimere il diritto alla libera manifestazione, ma quanto meno comprimerlo”. Alla faccia. La libertà di manifestare è uno dei capisaldi della democrazia liberale. Ora lo si “comprime” nel nome del diritto alla salute, sul cui altare abbiamo già sacrificato la nostra libertà di movimento e il nostro diritto di proprietà, per mesi e mesi.

Si capisce, dunque, come la situazione sia grave (anche se non necessariamente seria). Di fronte alla prima vera emergenza del millennio stanno saltando tutte le garanzie dei diritti che ritenevamo acquisite. A quanto pare si trattava solo di una sottile patina di legalità, dietro cui si nasconde una diffusa mentalità autoritaria. Prova ne è che un sindaco, per di più di Forza Italia, può decidere di vietare manifestazioni per due mesi, e nessuno, neppure nella sinistra più inviperita contro il berlusconismo, fa sentire la sua voce per protestare.

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