Dieci anni fa, l’8 maggio 2009, moriva don Gianni Baget Bozzo. Per ricordarlo il centro studi che porta il suo nome ha organizzato il 6 maggio al Palazzo Ducale di Genova un convegno dal titolo “Don Gianni Baget Bozzo tra mistica e politica”. Remo Viazzi, del comitato organizzatore, ha inoltre raccolto una scelta di scritti di don Gianni, sul tema dell’Islam e dell’immigrazione, in un volume dal titolo “Don Baget Bozzo di fronte all’Islam” (De Ferrari).
Riproporre gli scritti di don Gianni è rendere omaggio a un grande cattolico, un grande intellettuale, rinnovarne il ricordo. Si scopre nel farlo quanto straordinariamente attuale sia il suo pensiero e quanto utili le sue analisi per portare su un terreno concreto e proficuo il dibattito su temi oggi così centrali.
Molti anni prima che il fenomeno dell’emigrazione illegale assumesse le proporzioni insostenibili degli anni 2014-2018, don Gianni ne aveva percepito la minaccia, prevedendo che si concentrasse sull’Italia a causa delle “debolezze dello stato in Italia, causate dall’influenza della cultura cattolica e di sinistra, che sembra intendere come un dovere quello di accogliere immigrati unicamente perché immigrati. Sembra – scriveva nell’estate del 2004 – che l’Italia debba diventare, attraverso Pantelleria e Lampedusa, una casa di accoglienza per chi sfugge alla propria terra attratto dal miraggio dell’Occidente”. E ancora: “L’ethos di chi fa opinione in Italia è dominato dal terzomondismo comunista e dal mondialismo cattolico. Ne viene la tesi dell’esistenza di un diritto naturale all’immigrazione e ogni posizione diversa è qualificata come etnicismo e razzismo”.
Profetici i brani in cui analizza le ragioni dell’ideologia immigrazionista spiegando come l’amore per la patria sia stato sostituito dal principio di compassione. Rivolgendosi ai cattolici, ricorda il loro dovere di difendere l’identità culturale e la legalità, mentre invece condividono un concetto distorto di carità “in cui l’altro deve essere più considerato di se stesso, in cui l’alienarsi dimenticandosi è la perfezione cristiana. La carità non supera in questa concezione soltanto la giustizia, ma la abolisce. Non vedo un cattolico che difende, in quanto tale, i diritti della nazione a conservare la sua cultura, la sua convivenza, la sua legalità, come valore cristiano. Ritengo che ciò dipenda da una perdita del concetto di Dio creatore e legislatore e di un Gesù diventato l’assoluto amore come nell’idiota di Dostoevskij e di Nietzsche”.
Il primo criterio della responsabilità politica di un paese, scriveva ancora don Gianni, è la compatibilità degli immigrati con la cultura del paese e più in generale l’interesse del paese ospitante. Invece in Italia le ideologie impongono l’accoglienza come un dovere e portano a considerare l’Italia come un territorio in cui “ciascun abitante del pianeta ha il diritto di cercare la sua residenza”.
Quanto all’Islam, don Gianni Baget Bozzo riteneva che alle soglie del terzo millennio l’umanità, lungi dal condividere un modello unico come esito di un processo di globalizzazione già avviato, si preparava invece a sostenere uno scontro estremo, quello tra Occidente e Islam. Don Gianni dissentiva dalla teoria della “fine della storia” del politologo Francis Fukuyama che prevedeva, dopo la fine della Guerra Fredda, l’avvento della globalizzazione governata dalle liberaldemocrazie occidentali. Con Samuel Huntington riteneva al contrario che, terminato l’antagonismo politico e ideologico che aveva contrapposto il modello occidentale, democratico e capitalista, e quello comunista, totalitario e socialista, le diverse civiltà si sarebbero sfidate, scontrandosi nei punti e lungo le linee di faglia. Per lui lo “scontro di civiltà”, negato e biasimato da tanti politici e intellettuali, non solo era reale, ma inevitabile e necessario, a causa dell’esistenza nelle diverse civiltà di principi cardinali inconciliabili che andavano difesi.
Ma a questo scontro l’Occidente si appresta indebolito, diceva, a causa della scristianizzazione, del rifiuto delle radici cristiane, indifeso di fronte agli attacchi dei suoi nemici interni ed esterni.
I nemici interni: una quinta colonna, un fronte interno armato di ideologie avverse all’Occidente, germinate al suo interno, tutte convergenti sull’obiettivo di demoralizzarlo, diffamarlo, delegittimarne i principi, rileggerne la storia in chiave negativa, accusandolo di essere un pessimo modello di società, il peggiore mai concepito.
“L’Occidente – scriveva don Gianni per il Giornale nel giugno del 2006 – è visto come distrutto dal consumismo, dall’individualismo e dal materialismo, dalla sua incapacità di motivare sia il senso della vita individuale che il significato della vita collettiva. Non sa dare giustificazione alla vita delle persone e alla vita dell’Occidente come comunità, perché ha perso la dimensione dell’Eterno e quindi vive soltanto della frammentarietà del tempo, che rende impossibile di percepire in modo unitario sia l’unità della persona, sia il significato della comunità”.
L’Occidente – rifletteva nel marzo del 2004 – deve ritrovare “il suo valore di civiltà, di cultura e di libertà e incontrare nello stesso tempo i motivi per difendere la sua esistenza storica” e può farlo solo grazie alle sue radici cristiane, le sole “che possono dare forza all’Occidente di difendersi da un attacco alla sua più radicale conquista: la libertà civile”. Quella dei jihadisti all’Occidente, spiegava, è una provocazione radicale che riguarda l’essenza delle due civiltà, quella cristiana occidentale e quella islamica. L’obiettivo del jihad è “costituire di fronte alla globalizzazione occidentale una globalizzazione islamica, forte della propria identità spirituale e della qualità ideale delle proprie motivazioni”. Osama bin Laden e i suoi “discendenti” mirano a “sconfiggere l’Occidente sul terreno della tenuta spirituale e morale. Non sono le macerie e i cadaveri che interessano i terroristi islamici, la loro vittima designata è la coscienza dell’Occidente di essere una civiltà e di sapere per questo affrontare la prova di una civiltà: la sfida della vita”.