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Dopo il Covid un’altra minaccia dalla Cina: la bolla immobiliare spaventa i mercati e il Partito comunista

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Molti osservatori non comprendono che un’eventuale crisi economica e finanziaria della Repubblica Popolare Cinese avrebbe effetti deleteri nel mondo intero. Non è difficile capire il perché.

La globalizzazione cui abbiamo assistito negli ultimi decenni porta, essenzialmente, il marchio cinese (e non americano come si credeva). Pechino ha dimostrato una notevole abilità legando al suo carro le economie di tantissimi Paesi. E non si tratta solo di Africa, Asia e America Latina.

Infatti ne è pienamente coinvolta anche l’Europa. La Germania, per esempio, è estremamente cauta nel gestire i suoi rapporti col Dragone poiché sa che una crisi cinese danneggerebbe la sua stessa economia, che ha proprio in Cina un fondamentale sbocco per il suo export.

Proprio per questo sta destando grande preoccupazione ovunque la crisi (che sembra strutturale) del colosso cinese delle costruzioni Evergrande. Per capirci, stiamo parlando di un’azienda gigantesca (200.000 dipendenti che, con l’indotto, salgono a 3,8 milioni).

Tuttavia si è scoperto che Evergrande porta pure sulle spalle 305 miliardi di dollari di debiti che, attualmente, non sa come ripagare. Ha 1300 progetti edilizi sparsi in 280 città cinesi.

Il problema è che un alto numero di famiglie ha comperato, e già pagato, appartamenti che, però, non esistono perché mai costruiti. Si è quindi scatenata una violenta protesta dei cittadini sui social network.

Ma molti acquirenti delusi non hanno esitato a scendere in piazza per protestare di persona contro l’azienda e le autorità comuniste, colpevoli di non aver saputo controllare con attenzione le attività e i bilanci del colosso immobiliare. Si parla, inoltre, di casi di corruzione diffusa.

Le proteste in piazza sono, dal punto di vista cinese, una grande novità. Nella Repubblica Popolare, infatti, le manifestazioni pubbliche sono severamente vietate, tranne quelle autorizzate dal Partito comunista. Tutti rammentano come sono state stroncate le dimostrazioni degli abitanti di Hong Kong (che avevano, tuttavia, motivazioni ben diverse).

Gli acquirenti delle case inesistenti pretendono, giustamente, di recuperare le somme investite. Ed è difficile che ciò accada, visto il pesante indebitamento di un colosso che per decenni ha dominato il mercato immobiliare cinese.

A ciò va aggiunto un malcontento di segno diverso. Il Partito comunista si è più volte vantato di essere riuscito a sconfiggere in modo definitivo la pandemia dovuta al coronavirus.

Si tratta però di una fake news diffusa per motivi propagandistici. In realtà focolai più o meno grandi continuano a manifestarsi. Lo si è visto alcune settimane orsono quando il grande porto di Ningbo nello Zhejiang, il terzo scalo merci più grande della Cina e base fondamentale dell’export globale che la Repubblica Popolare conduce da decenni, si è improvvisamente bloccato proprio a causa della scoperta di nuovi focolai del virus.

Tornando al caso di Evergrande, l’opacità del sistema informativo cinese non ha finora consentito di capire come Xi Jinping e il suo gruppo dirigente intendano affrontare il problema. Si noti che il fondatore del gruppo, il cantonese Xu Jiayin, è uno dei tanti tycoons della Repubblica Popolare arricchitisi a dismisura negli ultimi decenni, e come tutti gli altri ha la tessera del Partito in tasca.

Possiede anche la squadra di calcio Guangzhou Evergrande, vincitrice di molti campionati negli ultimi anni. Finora era allenata dall’italiano Fabio Cannavaro il quale, però, fiutato il vento, ha subito deciso di dimettersi.

La politica neo-maoista di Xi, gli attacchi sempre più virulenti ai tycoons come Jack Ma, il fondatore di Alibaba ora emarginato, e il nuovo statalismo promosso dal Partito, indurrebbero a credere che il governo interverrà con una ristrutturazione del debito di Evergrande.

Si tratterebbe però di un’operazione assai difficile dal punto di vista finanziario, i cui costi ricadrebbero inevitabilmente sulle spalle dei contribuenti. L’alternativa è lasciare che il colosso immobiliare fallisca, adottando la stessa strategia utilizzata nel celebre caso del crac di Lehman Brothers nel 2008.

Si tratta di capire se Xi Jinping, che intende farsi eleggere “presidente a vita”, può permettersi una simile via d’uscita. Chi scrive non lo crede. In fondo la Repubblica Popolare ha continuato a prosperare grazie a una sorta di “patto sociale” che promette ai cittadini una crescita continua in cambio della rinuncia ad alcune libertà fondamentali, e tale soluzione segnerebbe per l’appunto la fine del patto di cui sopra.

Nel frattempo il caso Evergrande ha creato timori in tutte le Borse mondiali, che guardano agli eventi col fiato sospeso. E l’agenzia di rating Fitch ha già stimato che lo scandalo porterà a un rallentamento del Pil cinese, che dovrebbe passare dall’8,4 all’8,1 per cento. A dimostrazione del fatto che, come molti rilevano da tempo, quella cinese non è una vera economia di mercato, bensì uno strano sistema – privo di trasparenza – dominato totalmente dal Partito-Stato, al quale sono legati a filo doppio anche i tanti miliardari spuntati come funghi dopo le riforme nominalmente privatistiche promosse da Deng Xiaoping.

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