Uno scenario alla Molière, una buffa baruffa con personaggi tipici di una Comédie à la française. Un weekend di follia in Francia, Paese in piena crisi pandemica con un governo che decide che il primo turno delle elezioni municipali deve comunque avere luogo, costi quel che costi (e non è il whatever it takes di Mario Draghi): giù milioni di persone in fila alle urne senza rispettare la distanza di sicurezza tra persone, in barba alle misure di sicurezza sanitaria che medici e addetti ai lavori cercano vanamente di imporre ad una popolazione che sembra vivere sulle nuvole. Cosa provocherà questo scriteriato calcolo politico? Lo sapremo nelle prossime settimane. Ma se l’esercizio del voto avrebbe potuto in un mondo perfetto giustificare il rischio di allargare il contagio – il civismo dell’espletazione del voto proviene da battaglie illuministe e qui in Francia sono sepolti i padri – o da un bieco calcolo politico (arraffo i voti prima che i cittadini ci rimettano le penne), quello che è avvenuto in questo fine settimana di strafottenza à la crème, lascia basiti tutti i partner europei ed anche molti cittadini francesi più lucidi (sociologi, medici, scienziati). In piena emergenza pandemica i parigini si sono cimentati nel classico struscio sugli Champs Elysées poi nelle aperi-passeggiate sulla Senna, infine con il concerto in stile Woodstock nei parchi della capitale: tutti insieme appassionatamente nel segno del coronavirus in un dionisiaco “continuons à vivre” di zingarettiana memoria. E ora?
C’è voluto il presidente della Repubblica Emmanuel Macron per mettere in riga le peuple fino ad oggi leggero, puerile e festaiolo. E non c’è più il cattivo esempio dell’Italia da additare: stanno chiudendo tutti, solo la Francia resta balordamente “aperta”. Così, nel suo discorso presidenziale alla nazione, Macron si trasforma nel padre che torna stanco la sera e trova una casa in subbuglio con i propri marmocchi a festeggiare sui residui di marmellata. Così, tra una sculacciata ed un cazziatone, il presidente ha annunciato il giro di vite sugli spostamenti nel Paese per almeno quindici giorni. Niente assembramenti, contatti minimi, spostamenti solo per acquistare beni di necessità, ragioni sanitarie o imperativi di lavoro, persino la chiusura delle frontiere con la sospensione di Schengen.
Improvvisamente è calato il sipario sul teatro delle marionette: l’Italia che sembrava così lontana ora è così vicina, non solo geograficamente. Dopo i dovuti ringraziamenti alle istituzioni per il corretto andamento delle municipali, noblesse oblige, Macron ha redarguito quegli irresponsabili che nel fine settimana più stupido della storia di Francia si sono ammassati nei parchi, nei bar, nei caffè per godere del solettino primaverile mentre negli ospedali della capitale si lottava tra la vita e la morte. E così al citoyen, svanito il sogno, si è materializzato l’incubo dei blindati, del pattugliamento poliziesco, della fine delle libertà. Eppure, la parola magica non è venuta fuori dalle labbra presidenziali: confinamento. Ci penserà il fido Re Edouard Philippe a pronunciarla tra qualche giorno, tra un croissant ed un’allerta meteo. La festa è finita. Pure in Francia.