Il signor Draghi sta cercando di bissare il colpo del 2020, facendo dell’Ucraina lo stesso uso che si fece del Covid, come allora con l’appoggio francese e in più, stavolta, pure americano. Martedì, è andato a Bruxelles, dove si sta fabbricando una cosa chiamata REPowerEU, inteso ad affrontare la crisi energetica. Lì, avrebbe chiesto “alcune compensazioni”, rectius soldi.
Le immagina a fronte dei costi dall’Italia sostenuti per le sanzioni e per i rifugiati, costi che lui immagina superiori a quelli degli altri Stati membri, in quanto “non tutti sono toccati da questa crisi nello stesso modo. Occorre che l’Europa si organizzi per aiutare i Paesi più colpiti” cioè l’Italia, secondo lui. Ha fatto l’esempio del vigore col quale pratica i sequestri ai cd oligarchi. Gentiloni ne ha fatto un altro: riaccendere le centrali a carbone “per la Germania è più facile, ma per l’Italia no”. Ma avrebbe potuto aggiungere lo stesso per le tre centrali nucleari ancora attive e chissà quanti altri esempi di contorno.
Di tali compensazioni Draghi vuole discutere giovedì e venerdì a Versailles. Ma cosa ha in mente?
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Primo, un tetto ai prezzi del gas. Apparentemente, “un’ipotesi che dovrebbe vedere tutti i Paesi della Ue concordare un prezzo unico e calmierato del gas importato da Mosca”. Va bene, ma che accade se il prezzo del gas russo sale oltre tale prezzo unico e calmierato? I casi sono tre: o la Russia accetta lo sconto … ma chi ha voglia di rischiare? Oppure, tutti i Paesi della Ue rifiutano di comprare … ma chi ha voglia di restare al buio? Oppure ancora, qualcuno si fa carico della differenza … e questo qualcuno non può essere che la Ue con alle spalle una garanzia finanziaria tedesca. La terza è l’unica opzione possibile e, come si vede, il concetto è: dateci i soldi.
Secondo, nuovi Eurobond. Lo spiega Gentiloni: (1) Premessa, l’invasione dell’Ucraina “ci impone un salto, un secondo momento costituente dopo il successo del primo … in campo energetico e in quello della difesa”, perché sull’efficacia delle sanzioni “non abbiamo alcuna certezza … dunque bisogna attrezzarsi per un periodo più lungo”. Si tratterebbe di “650 miliardi l’anno solo per la transizione ecologica e digitale, alcune decine di miliardi per quelli nella difesa” … ripetiamolo: all’anno. (2) Al REPowerEU “si potrebbero aggiungere meccanismi di compensazione finanziati in comune”. (3) Di più, “bisogna trovare un equilibrio per tenere sotto controllo i conti, specie nei Paesi ad alto debito, senza intaccare la necessità di investimenti” e il modo sarebbe o un nuovo Ngeu o un nuovo Sure. Per tutto ciò, “il vertice di Versailles sarà fondamentale”. (3) Ma manco questo gli basta, vuole pure che Bce consideri la forte inflazione in atto come “un’inflazione che non deriva da un surriscaldamento dell’economia, ma da un incremento dei prezzi dell’energia” … cioè come se non fosse inflazione.
Sin qui, le richieste di Draghi.
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Il tentativo di Draghi è, manifestamente, di impossessarsi del tema della guerra economica permanente con la Russia – che abbiamo visto servire alla Nato per organizzare l’ordine in Europa principalmente in termini militari, cioè a detrimento della Ue. La Ue non deve sparire, però. Bensì fornire i soldi per finanziare quanto la Nato comanda. D’altronde, Washington già provvede fondi enormi alla difesa militare dell’Europa. Fa ciò che può: interviene sui grandi mercati delle materie prime, come sta provando a fare con Arabia ed Emirati, Iran, Venezuela. Ma non può certo finanziare lei le spese di Draghi (o della Slovacchia, o della Grecia). A queste deve pensare la Ue, cioè i tedeschi.
Così la pensano gli americani. E Draghi al seguito, particolarmente zelante. Non solo si è detto favorevole alla richiesta di Kiev di ingresso nell’Ue, pur sapendo che per Mosca è kriptonite. Ma pure, nel corso della visita a Bruxelles in un – per lui – inconsueto momento stampa, ha tenuto a sottolineare che “altre sanzioni non sono escluse”. E, si è fatto vanto di star applicando le sanzioni con particolare vigore ed ha fatto l’esempio dei sequestri ai cd oligarchi, come abbiamo visto. Già prima di quella visita, Draghi si era allineato alla posizione di Parigi, lucidamente espressa par Monsieur Fubinì: “bloccare il petrolio russo e limitare gli affari sul gas”. In particolare, da Chigi avevano fatto sapere di non essere contrari alla richiesta americana di imporre un embargo sul petrolio russo, bensì ad un embargo sul gas … ma quello manco Washington e Parigi lo chiedono.
Germano Dottori attribuisce tale zelo di Draghi nei confronti degli americani, al tentativo di recuperare rispetto ad una precedente posizione troppo comprensiva nei confronti della Russia: con particolare riferimento alla visita a Mosca annunciata il 17 febbraio, colpita a morte dall’annuncio del riconoscimento delle due repubbliche del Donbass il 21, infine annullata il 23 con grande delusione di Lavrov. A suo carico, cita i tweet sarcastici di Ian Bremmer e Zelensky. Ma non cita a discarico la visita di Macron a Mosca il 10 ed i 14 contatti di quest’ultimo con Putin, l’ultimo suo e di Scholz ieri.
D’altronde, Draghi ha immediatamente negato di volersi sottrarre alla imposizione delle sanzioni; anzi, in materia di sanzioni finanziarie ha fatto proposte parecchio pesanti (come abbiamo visto). Atteggiamento coerente con il resto della Ue, ma non con quello della Nato dove troneggia il rifiuto turco. Nonché, più in là, il rifiuto di un alleato di ferro degli Usa: Israele.
Sì, nei giorni successivi abbiamo assistito all’esclusione di Draghi dal mini-vertice di Biden-Johnson-Macron con Scholz. Ma nemmeno possiamo trascurare che, proprio quel giorno e come abbiamo visto, Draghi visitava la Von der Leyen. In entrambe gli incontri, si trattava dello stesso obiettivo: convincere i tedeschi a finanziare le sanzioni ed il riarmo del resto d’Europa, oltre che i propri. In altri termini, a farci fare gli americani coi soldi dei tedeschi.
Sicché, ci viene da pensare che Washington non abbia “costretto l’Italia ad allinearsi … malgrado … spingessero al dialogo con Mosca interessi nazionali non trascurabili”, come propone Dottori. Ma, semmai, che la abbia indotta ad allinearsi, perlomeno promettendo una adeguata copertura finanziaria. Con soldi tedeschi – via Ue e Bce – naturalmente.
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Purtroppissimo, i tedeschi paiono tutt’altro che disposti. Delle proposte suddette, la Commissione ha fatto tabula rasa. Mercoledì, annunciando il detto REPowerEU, ha dato mostra della solita futile verbosità: previsione di uno stoccaggio minimo, da imporsi agli Stati membri, ma con comodo (“entro aprile una proposta legislativa”); “un nuovo quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato atteso per data da destinarsi; “ulteriori orientamenti, che confermano la possibilità di regolamentare i prezzi in circostanze eccezionali”, ma che la Commissione si riserva di valutare uno ad uno (cioè di tetto ai prezzi del gas non se ne parla proprio); un generico impegno a valutare “vantaggi e svantaggi dei meccanismi alternativi di tariffazione”.
La ciccia si limiterebbe a “due pilastri … diversificare gli approvvigionamenti di gas … ridurre più rapidamente l’uso dei combustibili fossili”, il che consentirebbe – secondo loro – di “ridurre di due terzi la domanda dell’Ue di gas russo entro la fine dell’anno”, cioè dal 45 per cento attuale al 15 per cento. Poi uno va a vedere le tabelle allegate e ci trova scritto che dei 100 miliardi di metri cubi di gas fossile che la Ue è sicura di poter non importare dalla Russia a partire da fine del 2022: 50 vengono da acquisto di gas liquido LNG, 14 dall’“abbassare di 1°C il termostato per il riscaldamento degli edifici”, 20 da nuovi impianti eolici e solari … a partire da fine del 2022. Il mitico pagliaccio olandese detto Timmermans c’ha pure lo slogan “passare alle fonti rinnovabili alla velocità della luce”. Sipario. Sicché non c’è nemmeno la ciccia: REPowerEU è un nulla, un niente, un villaggio Potëmkin, un monumento al facite ammuina.
E non manca la doppia beffa finale. Per l’Ucraina: “la Ue è pronta a dare sostegno per assicurare energia affidabile e sostenibile” … biogas sotto i bombardamenti. Per Draghi: si lavorerà “sulla base dell’ampio lavoro già svolto sui piani nazionali per la ripresa e la resilienza” … usa lo Ngeu che c’è già, se sei capace.
Né la bozza di quella che sarà pomposamente definita dichiarazione di Versailles contiene molto di più. Questa la pietanza principale che Draghi si troverà giovedì e venerdì, sul tavolo di Versailles.
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Per contorno, una serie di simpatici avvertimenti. Il nostro amico Lindner: “sosteniamo l’Ucraina. C’è anche uno sforzo europeo congiunto per continuare a sostenere l’Ucraina. Ma ciò è indipendente da un dibattito sugli strumenti di finanziamento. La responsabilità congiunta in Europa attraverso l’emissione di obbligazioni congiunte non è al momento in agenda” … cioè, un nein prestampato.
D’altronde, Berlino ha già annunciato nuovi piani di spesa propri (200 miliardi sino al 2026 per l’energia, 100 miliardi sino al 2026 per la difesa), che Lindner ha già accettato di finanziare a debito. Ma per il proprio Paese, giustamente. Chiosa Daniel Gros: “non tutti i Paesi – per esempio Spagna e Italia – hanno deciso di aumentare le spese per la difesa” … abbiamo già dato.
La ministra olandese delle finanze Sigrid Kaag: l’Ue dovrebbe “come primo passo” utilizzare i fondi esistenti e, comunque, “dobbiamo capire meglio quali Paesi e quali settori sono interessati” … cioè, per sanzioni e profughi paghiamo pure noi a casa nostra. Il tutto, nel simpatico contesto dell’unica chiesa protestante della città di Maastricht e con la solita promessa di mandare a noi la Troika, così la Kaag: niente scomputo degli investimenti nemmeno quelli verdi dal deficit … figurarsi quelli militari; e “i Paesi fortemente indebitati devono concentrarsi sulla riduzione del loro debito … attenersi a un programma rafforzato … sotto la supervisione di un organismo indipendente”. Scusi, bella signora, e la crisi energetica? E le sanzioni? “Dobbiamo parlare della nostra stabilità finanziaria”. Amen.
Di nuovo Timmermans: “non abbiamo piani del genere nella commissione … non so se potrebbero esserci in alcuni Stati membri”. Di dove trovare i soldi, di preferenza egli non ne parla proprio. Solo su domanda specifica, oltre ad un generico “non dovrebbero esserci tabù, anche in termini finanziari”, nel concreto ha rinviato al vecchio Ngeu (“molto di quello che stiamo facendo è già nei nostri piani nazionali di ripresa e resilienza”), nonché ad eventuali indicazioni che venissero mai da Versailles (anche se “dipende da cosa porterà al tavolo la presidenza francese”).
Gli piace vincere facile perché, in effetti, la lettera di invito a Versailles non ne fa cenno. Sì, “rafforzare le nostre capacità di difesa; ridurre la nostra dipendenza energetica, in particolare da gas, petrolio e carbone russi; e costruire una base economica più solida”. Sì, chiacchierare di “situazione in Ucraina, così come di difesa ed energia”. Ma con che soldi, non si sa. Già un funzionario Ue ha detto a Politico.eu “che sarebbe molto sorpreso se un piano per l’emissione di obbligazioni congiunte facesse parte della dichiarazione finale del vertice”.
Insomma, pare davvero difficile che Draghi riesca, a Versailles, nel proprio intento, di fare l’americano coi soldi dei tedeschi. Molto molto difficile.
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Oggi, ma ciò vale pure in prospettiva. Lo si intravede in certe dichiarazioni del cancelliere Scholz, per esempio quando subordina una bella fetta della nuova spesa militare ad una licenza americana a costruire gli F-35 in Germania ed in Francia: quanto tempo occorrerebbe per concludere un simile accordo?
Oppure ancora lo si intravede dietro certe dichiarazioni del vice primo ministro russo Alexander Novak il quale, mentre gli Usa chiedevano agli europei di unirsi all’embargo sul petrolio russo, rispondeva sottolineando il proprio diritto ad una risposta eguale e contraria sul gas. Ventilando, in particolare, la chiusura di Nord Stream 1: il fratello maggiore del Nord Stream 2 del quale su Atlantico Quotidiano si è tanto parlato e che sappiamo essere completato ma inattivo. Risultato? Gli americani l’embargo sul petrolio se lo sono fatto senza la Ue.
Ora, che accadrebbe se domani un incidente interrompesse il flusso di gas nel gasdotto che passa per la Bielorussia, o in quello che passa per l’Ucraina? Beh, accadrebbe che Mosca offrirebbe di farlo passare da Nord Stream 2. In un momento in cui la differenza strategica fra i tre sarà ormai svanita, se l’Ucraina sarà passata sotto il controllo di Putin. E come reagirebbero i tedeschi? Beh, nello stesso modo in cui hanno ceduto di fronte al vice primo ministro russo che ventilava la chiusura di Nord Stream 1: cederebbero.
Infine, il nuovo presidente di Bundesbank Nagel, sei giorni dopo l’invasione russa, precisava che la partecipazione della propria banca centrale alla questione ucraina consiste nell’implementare le sanzioni, poi denuncia alta inflazione e Target 2 salito a 1,3T, per concludere: “occorre manteniamo gli occhi puntati sulla normalizzazione della nostra politica monetaria”. E che Bce questa volta obbedisca a Berlino, lo abbiamo visto tutti ieri: “Bce il miglior alleato di Putin”, è già stato detto.
L’impegno tedesco nella guerra economica permanente alla Russia, insomma, è già relativo oggi e tanto più lo sarà domani, finita la guerra in Ucraina. Draghi, non solo oggi ma pure in prospettiva, di fare l’americano coi soldi dei tedeschi se lo può scordare.
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E con che soldi, allora, egli sostituirà il gas russo? Con che soldi riarmerà? Bel problema, giacché è lui stesso ad aver ripetuto, una volta di più, che “dal debito si esce con la maggiore crescita. Quindi, noi dobbiamo cercare di mantenere l’economia nell’ottimo stato con cui ha finito lo scorso anno”.
Mantenere, signor presidente? E come la manteniamo: con le “scorte esaurite” di grano-mangimi-sementi-nichel-rottami-palladio-neon-cobalto-alluminio ed affidandoci ai “produttori italiani di materie prime” [sic]? Abbattendo gli animali nelle stalle e lasciando incolti i campi? Chiudendo i pastifici? Spegnendo le cartiere, le acciaierie, la ceramica, i pescherecci? Razionando i consumi delle famiglie? Con un governo impegnato esclusivamente a “diversificare le forniture, aumentare il contributo delle fonti rinnovabili che (ripeto e continuo a ripetere) resta l’unica strategia fondamentale nel lungo periodo” perché “l’ambiente, la transizione ecologica è un po’ l’essenza stessa di questo governo”? Cioè, senza concedere né nuove trivellazioni, né la riattivazione delle centrali a carbone dismesse? Con un presidente del Consiglio che ammette candidamente che “c’è molto da fare ancora per analizzare le conseguenze” delle sanzioni che lui stesso ha imposto? Con Sua Eccellenza l’Illustrissimo Ministro Cingolani che vaneggia (“non fermeremmo le macchine”, “se stacchiamo la luce alle persone, a un certo punto anche le persone cominciano a dire che forse per un certo periodo è possibile procedere in contingenza”)? Lo stesso Cingolani che, per lei, “ha già fatto tantissimo”? Ah Mario, ma che stai a di’?!
Pacatamente, serenamente: l’Italia precipita verso la recessione. Con la “politica di bilancio prudente” che Draghi afferma di voler mantenere (in palese contraddizione con le promesse a vanvera su un’impossibile grande riforma del patto di stabilità e, infatti, insistendo sull’aumento delle tasse sulla casa), l’Italia subirà pure una stretta fiscale. Con la normalizzazione della politica monetaria andrà pure in crisi finanziaria. Un 1973 dentro un 2011. Pensavamo fosse l’Iceberg, era l’Antartide. Che fare? Fossimo in Draghi, faremmo un discorsetto agli amici americani, questo:
“Cari, voi da noi volete sanzioni e riarmo. Benissimo, pure noi. Però … eh beh però la guerra economica permanente alla Russia dobbiamo pure pagarla. Anzi, dopo l’ultimo nein tedesco via Ue e Bce, pagarcela da soli. Sarebbe bello farlo nell’Euro ma, purtroppo, non è possibile. È possibile solo fuori. Quindi, cari, ora scegliete: o ci fate uscire e avrete la continuazione delle sanzioni e riarmo pagati in Lire, oppure ci lasciate dentro e avrete una rivoluzione di popolo francamente putiniana. Vostro, Mario”.
È impossibile? Forse. Ma, allora, ci si spieghi come sia accaduto che Draghi stia valutando un divieto all’esportazione di alcune materie prime. Divieto che sarebbe necessariamente conforme all’art. 36 Tfue: impregiudicati i divieti o restrizioni all’esportazione giustificati da motivi di ordine pubblico o pubblica sicurezza. Notava autorevolmente qualcuno che, “se sono arrivati a voler applicare l’art. 36 Tfue, non si vede perché non dovrebbero applicare, a fortiori e per gli stessi motivi di ordine e sicurezza pubblica, il 65 Tfue”. L’art. 65, quello che consente agli Stati membri … di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”. C’è sempre una via di uscita. Basta venir fuori dalla fumeria d’oppio e prendere il coraggio a due mani.