Ieri, il presidente del Consiglio Draghi è andato in Algeria (pur avendola confusa con l’Argentina). Paese con riserve accertate di gas grandi dieci volte meno quelle della Russia ma tre volte più quelle della Libia. Da lì parte un tubo, che passa dalla Tunisia ed arriva a Mazara del Vallo, il Transmed. Ha una portata di 32 miliardi di metri cubi e ne ha trasportati 22 nel 2021, contro una media di 15 negli ultimi 10 anni. C’è, quindi, una capacità residua di 9 miliardi di metri cubi , e questo è diventato il “numero magico” fatto circolare da Palazzo Chigi: “come un traguardo a portata di mano”, critica saggiamente L’Espresso.
L’Algeria ha pure una sottoutilizzata capacità di esportazione via LNG. Che potrebbe forse servire per la Sardegna, dove esiste il piccolo rigassificatore di Oristano (attivo da maggio 2021 e rifornito dal lontano hub LNG di Veglia-Krk in Croazia), cui se ne sta aggiungendo un secondo anch’esso piccolo, sempre ad Oristano. Per il resto, gli LNG algerini sarebbero solo un rischio di concorrenza per noi che importiamo via gasdotto.
Ma, per fare la differenza, occorrerà prima intendersi sugli investimenti, in sette capitoli: on-shore, off-shore, gas da fracking, gasdotto trans-sahariano, rinnovabili, idrogeno, Galsi. Vediamoli:
(1) On-Shore significa aumentare la produzione nel medio-termine perché, oggi, le esportazioni potrebbero salire sì, ma di 2 o 3 miliardi di metri cubi, rispetto ad un già abbondante 2021. Giacché negli anni passati Algeri ha molto sofferto del basso prezzo del gas e sotto-investito. Eni certamente è stata a lungo distratta dai propri investimenti in Russia, ma mai del tutto: in Algeria ha sempre lavorato, facendo pure il lavoro che altre compagnie non volevano più fare e registrando anche recenti successi. Ma non sono cose che si correggono al volo.
(2) Off-Shore significa delimitazione delle rispettive ZEE italiana ed algerina, sotto le quali giacciono le riserve inesplorate del bacino Alghero-Provenzale, da svilupparsi nel lungo-termine. Parte di esse sarebbero italiane e parte potrebbero venir esportate in Italia.
(3) Gas da fracking significa, in Algeria, enormi riserve … ma non ancora sviluppate, perché caratterizzate da un metodo di produzione con sostanze chimiche parecchio inquinanti e che pare abbia provocato proteste violente degli abitanti.
(4) Il gasdotto trans-sahariano sarebbe un tubo dalla Nigeria attraverso il Niger, che porterebbe altri 30 miliardi di metri cubi (nigeriani e nigerini) sino ad Algeri. Del progetto si parla dal 2009, ma è stato riattivato nel 2022 e la Nigeria comincerà quest’anno a costruire il primo tronco. Passa per aree turbolente, ha attirato l’attenzione russa … ma il gas c’è e pare sia stato offerto a Roma.
(5) Rinnovabili significa investimenti importanti in solare ed eolico. Nessuno sa ancora se per sostituire i consumi algerini di gas e renderne una parte maggiore disponibile all’esportazione, ovvero per convertirla in idrogeno ed esportarla attraverso questo vettore: che sia da gas da fracking con cattura della CO2 (idrogeno blu) e da energie rinnovabili (idrogeno verde).
(6) Idrogeno significa modernizzare il Transmed che va in Italia e le dorsali interne algerine, per far loro trasportare un blend al 75 per cento di gas poi, in qualche anno, trasformarlo in un vero e proprio idrogenodotto. Magari incrementandone pure la portata, da 30 a 40 miliardi di metri cubi. Eni si è portata avanti col lavoro già a novembre, quando ha in parte girata la quota italiana del gasdotto a Snam, la quale già vede il Nord Africa trasformarsi in “un hub per la produzione di energia solare e idrogeno verde”.
(7) Galsi, è il progetto di un secondo gasdotto, che andrebbe stavolta in Sardegna e di lì sino in Lazio: bloccato nel 2013, potrebbe essere ripescato se mai arriverà più gas on-shore o nigeriano, oppure modificato se mai arriverà il gas off-shore.
Queste le necessità algerine. Ecco perché si è parlato di un “patto sull’energia”, o “dichiarazione politica”, o “memorandum d’intesa che possa fornire un quadro strutturato per la collaborazione”. Che ieri Draghi ha definito “dichiarazione di intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia”, con la quale l’Italia si è detta pronta a collaborare con l’Algeria, “per sviluppare energie rinnovabili e idrogeno verde”, ma pure “in altri settori”. In tal modo, il parallelo “accordo fra Eni e Sonatrach per aumentare l’esportazione di gas verso l’Italia” ha assunto il ruolo che gli spetta: importante, ma non centrale. Perché, non stiamo parlando di gas oggi … che oggi di gas algerino non ce n’è abbastanza. Ma di gas domani o dopodomani, quando sarà stato scovato e messo in produzione.
La parte più intrigante della faccenda è che da lì avevano fatto sapere di considerare il nostro come il proprio cliente più importante, ma pure come “un emissario dei Paesi europei”, nel senso che “cercherà di garantire un aumento delle forniture per soddisfare le esigenze dei Paesi europei”. Ciò che non può che significare, per noi, altro che divenire quel famoso hub del gas mediterraneo in Europa … del quale tanto si era parlato, finché Putin e Merkel non pattuirono di costruire il gasdotto Nord Stream 2. In altre parole, stiamo parlando di un impegno a lungo-termine … che richiede una collaborazione reciproca a lungo-termine.
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Orbene, una collaborazione reciproca a lungo-termine fra Italia e Algeria c’è fin dalla guerra di indipendenza dalla Francia. Come ripetono continuamente fonti algerine e italiane e come scrivono persino in Francia, qui con un naturale aggrottamento di ciglia.
Qualche problema ha la Spagna. Lì va un secondo gasdotto per sotto il mare, grande 4 volte meno il nostro Transmed e con gli stessi problemi di conversione, il Medgaz. Un terzo gasdotto va in Spagna attraverso il Marocco, il Meg … ma Algeri non ha rinnovato il contratto, a causa dell’eterna lite sul Sahara Occidentale: lite che sta coinvolgendo pure la Spagna, dopo che quest’ultima ha sostenuto apertamente un piano marocchino di autonomia per la propria ex colonia africana. Piano cui si contrappone il piano dell’Onu gestito dal diplomatico italiano Staffan de Mistura, già viceministro nel governo Monti. Oltre a chiudere il gasdotto, Algeri ha pure richiamato il proprio ambasciatore a Madrid, ventilato un ricalcolo dei prezzi del gas e fatto gli occhi dolci a Roma.
Un secondo Paese in ottimi rapporti con Algeri è la Russia, anche di collaborazione militare. Perciò sarebbe bene che il ministro Di Maio la smettesse con le dichiarazioni inutilmente provocatorie. Ma si può immaginare Mosca resti piuttosto assorbita dalle parti di Kiev, per gli anni a venire. Lasciando un relativo vuoto, che altri sono ben disposti a riempire.
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E chi se non gli Usa? Il 25 gennaio 2022, la Casa Bianca faceva sapere di star “discutendo con i principali produttori di gas naturale in tutto il mondo, per comprendere la loro capacità e volontà di aumentare temporaneamente la produzione di gas naturale e di destinare questi volumi agli acquirenti europei”. Il 9 febbraio 2022, Reuters avvertiva che i risultati erano piuttosto deludenti perché, con “le scorte globali di gas scarse e i produttori LNG che stanno già sfornando quanto più possibile, c’è poca disponibilità per compensare i grandi volumi dalla Russia”. Specificava poi che, nell’ambito di quegli incontri, “il governo Usa ha chiesto di incontrare Eni, TotalEnergies e altre società energetiche operanti in Algeria, per vedere se è possibile procurare più gas da quel Paese” e che “Eni, Occidental e Total si sono incontrate per coordinarsi sul gas algerino”.
Da notare che, a quel tempo, Washington stava ancora cercando di rimpiazzare solo il gas russo che passa per l’Ucraina e non tutte le forniture russe; che, nell’ambito di questi colloqui, chiese ad Israele se potesse mandare più gas LNG tramite l’Egitto in Europa e che la risposta fu negativa. Mentre oggi Nuland (come abbiamo visto su Atlantico Quotidiano) promette questo stesso gas israeliano alla Turchia, la quale non riceve gas attraverso l’Ucraina. Quindi, da febbraio ad oggi, qualcosa deve essere successo.
Cosa? Un insieme di cose. Intanto, deve essersi ridotta la percezione del rischio di una interruzione dei flussi di gas russo attraverso l’Ucraina … lasciando a tutti il tempo di pianificare per il medio-lungo termine. Ma un ruolo lo ha giocato pure l’Algeria. Infatti, qui era giunta il vice segretario di Stato Wendy Sherman, il 10 marzo, seguita dal segretario di Stato Blinken in persona, il 30 marzo. Come attentamente sottolineato dalla ufficialissima Algérie Presse Service. Egli portava una patente di rispettabilità energetica: “è stato inoltre osservato che l’Algeria ha sempre onorato i propri impegni nel quadro della cooperazione energetica”. Patente che gli consentiva di benedire “maggiori investimenti nell’upstream petrolifero” (cioè anche gasiero). Con una specifica per Algeri essenziale: Blinken “non ha mai menzionato la riapertura del gasdotto Meg, contrariamente alle eccentriche speculazioni diffuse da certa stampa marocchina”. Coerentemente, il terzo dono era il sostegno americano al piano dell’Onu per il Sahara Occidentale. Un pacchetto decisamente soddisfacente per Algeri, talché non stupisce che gli incontri siano stati definiti “cordiali e costruttivi”.
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Così il viaggio fatto da Draghi ieri ad Algeri, nel contesto di uno schema nel quale Washington avrebbe assegnato ai turchi il gas del Levante, a noi quello del Ponente. Potrebbe andarci bene, anche molto bene e se son rose fioriranno. Ma ci sarà da lavorare e qualunque successo non sarà per domani mattina.