Non solo il battaglione Azov, per il Cremlino è nazista l’idea stessa di un popolo ucraino separato da quello russo, la sua “occidentalizzazione”
Nella trasmissione di Paolo del Debbio Diritto e rovescio, su Rete4, l’altra sera Aleksandr Dugin ha ripetuto molto chiaramente il tema dominante con il quale la Russia giustifica la sua guerra in Ucraina: la “denazificazione”.
L’intervento di Dugin è stato utile per comprendere come dal punto di vista russo il problema non sia rappresentato solo dal battaglione Azov o da altre organizzazioni filo-naziste. Dugin ha detto: “In Ucraina il nazismo è stato usato per creare una identità artificiale”. Affermazione carica di significato: l’idea di un popolo ucraino separato da quello russo è ciò che nel linguaggio di Mosca si intende per “nazismo”. La conseguenza è che tutti coloro che in questo momento si oppongono alla “operazione speciale” russa in Ucraina sono “nazisti”.
Questa concezione così estrema si accompagna alla percezione russa del fatto che otto anni fa l’Ucraina sia stata occidentalizzata con la forza da un colpo di Stato i cui mandanti sono in Occidente. Se “l’Ucraina è parte integrante della nostra storia”, come ha affermato Putin, la sua occidentalizzazione rappresenta una artificiosa alienazione: “identità artificiale” come ha detto Dugin alla televisione italiana.
Quando questa terribile guerra apparterrà al passato toccherà agli storici rigorosi documentare se nei primi giorni di guerra davvero Putin si sia illuso che la facilità della “operazione speciale” fosse garantita dal fatto che gli ucraini bramassero di tornare nell’orbita di Mosca dopo essere stati separati dal “colpo di Stato” di Euromaidan. Intanto però i carri armati russi non sono stati accolti a Kiev con mazzi di fiori, ma ad essi si contrappongono gli ucraini con una resistenza forse disperata, ma sicuramente tenace: quegli ucraini che appunto Dugin bolla, interpretando il verbo di Stato, come nazisti.
Settori della società ucraina ovviamente offrono il destro per questa accusa: effettivamente alcuni partiti (che non arrivano al 10 per cento) e alcuni corpi paramilitari (che sono una parte infima della Ucraina in armi) ostentano simboli e spalline di estrema destra, ma la generalizzazione di questo dato particolare indica chiaramente un abuso della ragione. Si sono visti in questi giorni blindati della Federazione Russa avanzare sventolando la bandiera dell’Unione Sovietica, dovremmo dedurre allora che la Russia è ancora una dittatura comunista? Sarebbe ridicolo affermarlo, anche se è vero che a Mosca ben più che a Kiev le autorità pubbliche in maniera ufficiale invocano la continuità storica con l’Unione Sovietica nelle cerimonie più importanti, tipo quelle del 9 maggio. Ma sarebbe pur sempre un cialtrone chi affermasse che Putin è “un dittatore comunista”.
La verità è che in questa parte di mondo che si estende tra l’Europa e l’immensa Asia, là dove il liberalismo viene ancora visto come un animale esotico, la contrapposizione politica è sempre stata all’insegna delle temperature ideologiche estreme.
Si sperava che col passare del tempo queste temperature divenissero più miti e anche che il piccolo benessere scaturito da una immensa rendita energetica alimentasse riflessioni più pragmatiche. Invece negli ultimi anni si è assistito a una estremizzazione, di cui la guerra all’Ucraina rischia di essere un salto di livello quantico.
Si prenda il caso di Dugin: già nel 2014 il filosofo esortava a marciare su Kiev, il Cremlino assunse invece una postura più prudente. Dugin stesso fu allontanato dalla Università di Mosca per alcune sue “intemperanze verbali”. Ora invece l’ideologia del pensatore dell’Eurasia e la prassi militare del Cremlino coincidono. Il punto di convergenza è la negazione che l’Ucraina possa avere una identità autonoma: per Dugin, ripetiamolo, “Ucraina” è una identità artificiale e chi la afferma è nazista.
Ma ci sono settori della società russa che si pongono il problema di come questo teorema contribuisca ad allargare il solco non solo tra Russia e Occidente, ma anzitutto tra Russia e Ucraina? E il problema di quanto sia dannoso per la Russia riproporsi con lo stesso volto aggressivo e repressivo di Budapest 1956, Praga 1968? Ottimisticamente, pensiamo di sì.