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È l’ora del presidenzialismo, italiani disgustati dal teatrino dei partiti

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Il dibattito politico, nell’ultima settimana, si è spostato sull’elezione del presidente della Repubblica. Questa potrebbe essere l’ultima decisa da deputati, senatori e 58 delegati regionali, i cosiddetti “grandi elettori”. Infatti, la modalità caratterizzata da intrighi di Palazzo, compromessi nascosti e veti incrociati potrebbe finire, per lasciare spazio ad una elezione diretta, alla scelta dei cittadini. Una riforma costituzionale per l’elezione diretta dell’inquilino del Colle, volta a trasformare il nostro sistema di governo in un presidenzialismo anche di diritto, non solo di fatto, potrebbe essere una soluzione valida per superare le difficoltà mostrate dai partiti nel trovare un nome adatto al ruolo di capo dello Stato.

La voglia di presidenzialismo in Italia è alta, come confermano gli ultimi sondaggi. Sette italiani su dieci vorrebbe eleggere direttamente il presidente della Repubblica e un italiano su due vorrebbe un politico sul Colle più alto di Roma. I motivi di questo orientamento sono chiari. I giochini di Palazzo, le conferenze segrete e gli accordi nascosti hanno smesso di appassionare gli italiani da tempo e quel che risulta evidente da quest’ultima settimana di votazioni è la loro inadeguatezza alla situazione politica odierna.

Le lunghe trattative hanno indebolito il Parlamento e per lo più hanno reso inagibile l’azione di governo, che rischia ora di bloccarsi. Mentre trent’anni fa il sistema politico poteva reggere numerosi giorni prima di eleggere la prima carica dello Stato, attualmente, guardando alla frammentazione del Parlamento e alle divisioni all’interno degli stessi partiti, la lunga attesa, l’incertezza, il caos, lo rendono ancora più instabile.

Il trasformismo, in questa legislatura, è diventato endemico, i cambi casacca sono aumentati e il gruppo Misto è uno dei più numerosi della storia repubblicana. I leader non controllano più i partiti e le correnti interne sono sempre più marcate. L’indecoroso scontro tra Di Maio e Giuseppe Conte per la leadership del Movimento 5 Stelle, i 71 franchi tiratori che hanno affossato la candidatura Casellati dividendo il centrodestra, hanno rivelato, se ancora non si fosse capito, la fragilità del filo che legava i partiti alle rispettive coalizioni.

Ciò che è mancato è la volontà, e forse la capacità dei leader politici di parlarsi in modo costruttivo e trovare rapidamente un compromesso. Essendo venuta a meno la capacità di mediazione tra avversari è riapparsa da sotto al tappeto tutta la polvere all’interno delle coalizioni. Le divisioni interne hanno reso impossibile per i segretari di partito controllare le proprie truppe di grandi elettori. A sconcertare è stato il percorso, un metodo dilettantesco, per cui le candidature venivano lanciate senza accordi con alleati e avversari politici.

Il teatrino degli intrighi della politica ha stancato l’opinione pubblica, per la quale la trasparenza è diventata una necessità. L’emergenza sanitaria, la pandemia, hanno sicuramente accelerato questo corso e le dichiarazioni a favore di una riforma costituzionale in senso presidenzialista nelle ultime settimane sono aumentate. L’opinione pubblica non ha apprezzato le giornate perse prima di risolvere la matassa Quirinale e non ha gradito gli scontri tra leader o presunti tali. I veti presentati assiduamente dal centrosinistra percepiti come inutili, se non finalizzati a ricattare o bruciare nomi della coalizione di centrodestra. Il susseguirsi di nomi ha portato solo confusione e la segretezza dell’urna ha chiuso il cerchio rendendo la situazione sempre più indecifrabile. Per non parlare dei nomi “simpatici” usciti fin dai primi scrutini, visti come una spregevole mancanza di rispetto per le istituzioni.

Questo rito bizantino non deve ripetersi e l’unico modo per superarlo è una riforma costituzionale per l’elezione diretta del capo dello Stato, dando importanza alla libera scelta dei cittadini.