È di domenica, purtroppo, la notizia di un attentato contro i corpi speciali italiani impegnati in Iraq. Un ordigno rudimentale è scoppiato a Kirkuk, durante il passaggio dei militari del Col Moschin e del Comsubin, ferendone gravemente cinque (ora ricoverati a Baghdad, non in pericolo di vita, anche se ad un militare è stata amputata una gamba).
Superato lo shock iniziale della notizia, è importante capire la matrice dell’attentato, ovvero chi sono i mandanti. Le prime analisi, ovviamente, come quella del generale Bertolini sul Corriere della Sera di ieri, si concentrano sull’Isis, soprattutto dopo la rivendicazione arrivata ieri e alla luce dell’uccisione di al-Baghadi.
La pista di Isis, però, non deve far sottovalutare altre piste, altrettanto pericolose. Una di queste è quella che porta direttamente a Teheran. In questo periodo, infatti, il regime iraniano è molto preoccupato per quanto sta accadendo in Iraq e anche in Libano. L’Iran è il soggetto principale contro cui manifestano i cittadini iracheni e libanesi scesi in piazza in queste settimane. Non soltanto dimostranti sunniti, ma soprattutto sciiti, arrabbiati per l’interferenza politica e religiosa iraniana, incapace alla fine di portare stabilità e pane sulla tavola, ma responsabile unicamente di diffondere terrore, mafia e corruzione.
Khamenei, parlando pubblicamente, ha ufficialmente rigettato le richieste popolari degli iracheni e dei libanesi, bollando le proteste come finanziate dalle ambasciate dei Paesi occidentali e utili unicamente al “Piccolo e Grande Satana” (Israele e Stati Uniti). Dunque, nessuna concessione ai manifestanti e reazione alle proteste con violenza, per tenere forte il controllo di Teheran nel corridoio mediterraneo.
A questo punto, per Teheran scatta il piano B, quello che deve portare ancora la Repubblica Islamica a giustificare la sua presenza fuori dai confini iraniani. Per antonomasia, quindi, la destabilizzazione è una delle strategie seguite da Teheran. A tal fine, non a caso, gli iraniani non finanziano solamente gruppi terroristici sciiti, ma anche sunniti, primo fra tutti Hamas e la Jihad Islamica, ma anche la stessa al-Qaeda.
Colpire l’Iraq – e (speriamo di no) anche il Libano – con una serie di attentati, anche contro le forze militari occidentali presenti nel Paese, può quindi essere utile come diversivo per spostare l’attenzione dell’area delle proteste, come strategia per incutere terrore e anche come reazione di Teheran contro la presenza occidentale in Iraq, oggi particolarmente sotto attenzione da parte iraniana dopo l’annunciato ritiro (parziale) americano dalla Siria.
Ecco perché è fondamentale seguire anche la possibile pista iraniana per cercare di trovare i mandanti dell’attentato alle forze speciali italiane nel Kurdistan iracheno. Una matrice che va approfondita, quindi, nonostante la rivendicazione dell’Isis (che, tra l’altro, avrebbe comunque interesse a prendersene il merito, anche se non fosse “suo”…). Come suddetto, la Repubblica Islamica, quando si tratta di terrorismo, è purtroppo maestra del travestimento…