Tutto è cominciato nel 2015 quando, in Argentina, il candidato liberale e di centrodestra Mauricio Macri, nonché ex presidente del Boca Juniors, ha sconfitto il candidato peronista Daniel Scioli, risultando il primo presidente argentino, dal 1916, a non essere espressione del mondo peronista o radicale.
Nel 2017, è arrivata la volta del Cile con il liberalconservatore Sebastian Pinera eletto per la seconda volta presidente della Repubblica, sconfiggendo il candidato di centrosinistra Alejandro Guiller.
È stato infine, nel 2018, il turno del Brasile con il conservatore Jair Bolsonaro che ha trionfato contro il delfino di Lula e della Rousseff Fernando Haddad.
Un altro passo importante verso la svolta è stato compiuto venerdì 22 febbraio, a Santiago del Cile, presso il Palacio de La Moneda. Qui sette presidenti sud americani (tra i quali Bolsonaro, Macri e il padrone di casa Pinera) si sono ritrovati per dichiarare ufficialmente la fine dell’UNASUR (Union de Naciones Suramericanas) ed istituire il PROSUR (Foro para el Progreso y Desarollo de America Latina). I primi otto sottoscrittori dell’accordo costitutivo della nuova organizzazione sono Cile, Argentina, Brasile, Paraguay, Colombia, Ecuador, Perù e Guyana. Il PROSUR, ufficialmente, ha la finalità di attuare politiche comuni tra gli stati membri per quanto concerne settori come infrastrutture, energia, sicurezza, salute, difesa, lotta alla criminalità e gestione dei disastri naturali.
Un punto assai importante sta proprio nei requisiti per accedere a questo nuovo blocco, che impongono ai potenziali stati membri standard ben precisi sulla democraticità delle proprie istituzioni e sul rispetto dei diritti umani al proprio interno. E qui emerge l’importanza del PROSUR. Da una parte, è chiaro lo scopo riavvicinare il Sud America agli Stati Uniti, come testimonia anche il primo incontro di Jair Bolsonaro con il presidente statunitense Donald Trump, avvenuto due settimane fa presso la Casa Bianca (in questa occasione i due capi di stato si sono simpaticamente scambiati le magliette delle nazionali calcistiche dei rispettivi paesi). Dall’altra, quello di isolare i regimi socialisti ancora presenti in America Latina, in primis quello venezuelano ed i suoi principali alleati nella regione ovvero Bolivia e Uruguay.
Sebastian Pinera, Mauricio Macri e Jair Bolsonaro (il triumvirato dei padri fondatori del PROSUR) sono stati tra i principali capi di stato latinoamericani a riconoscere Juan Guaido’ (a cui è stata recentemente revocata dal presidente venezuelano Nicolas Maduro la carica di presidente dell’Assemblea Nazionale) come legittimo presidente del Venezuela, inoltre la delegazione di rappresentanti inviata da Maduro è stata rifiutata ed il Venezuela non è stato invitato a partecipare, sono invece stati invitati rappresentanti diplomatici di Urugay e Bolivia, paesi ai quali però non è stato permesso di entrare a far parte del blocco.
Per capire meglio questa svolta occorre, però, fare un salto indietro nel tempo fino al 23 maggio 2008, data della fondazione dell’UNASUR. Ci troviamo di fronte ad un triumvirato ben diverso: l’allora presidente venezuelano Hugo Chavez, l’allora presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ed il presidente boliviano Evo Morales. Lo scopo dell’organizzazione è quello di contrapporsi agli Stati Uniti e di limitare l’influenza di Washighton all’interno della regione attraverso un’organizzazione intergovernativa di paesi sudamericani.
Il blocco si rivela da subito un gigante con i piedi d’argilla e comincia a scricchiolare a partire dal 2013, con la morte di Chavez. Da lì in poi una serie di conflitti interni al blocco che vede contrapporsi l’asse Caracas- Sucre-Montevideo e dall’altra il cosiddetto Gruppo di Lima (formato da Perù, Argentina, Brasile, Colombia, Cile e Paraguay) condurrà gradualmente al suo sfaldamento.
Nel 2017 Venezuela e Bolivia bloccano la nomina del diplomatico argentino José Octavio Bordon a segretario generale. Nel 2018 arriva la risposta del Gruppo di Lima, che attacca la presidenza di Nicolas Maduro in Venezuela, dichiarandola antidemocratica. Nello stesso anno il Venezuela viene anche respinto dall’ottavo summit delle Americhe (tenutosi a Lima, capitale del Perù); un atto che provoca la reazione della Bolivia che convoca una “riunione d’emergenza” per esprimere la propria solidarietà a Maduro. Nell’aprile del 2018 il Gruppo di Lima decide di autosospendersi dal blocco in segno di protesta contro l’assegnazione della presidenza protempore dell’organizzazione, andata proprio a Evo Morales. Il 28 agosto la Colombia annuncia ufficialmente il suo ritiro. Arriviamo così al 22 marzo 2019, lo scioglimento ufficiale dell’organizzazione.
Un evento geopoliticamente fondamentale che, con ogni probabilità, porterà al “crollo del muro di Berlino” anche in America latina.