La protesta di sabato scorso dei “gilet arancioni” nelle piazze di diverse città è il primo segnale di malcontento che dall’inizio della crisi Covid-19 arriva forte e chiaro al governo Conte. È la prima manifestazione evidente che nei prossimi mesi la situazione è destinata a deteriorarsi. A prescindere dal generale Pappalardo e dalle sue velleità, inizia ad affiorare e a crescere la rabbia di coloro che sono stati dimenticati nel corso del lockdown. Certo, il mancato rispetto del distanziamento sociale e l’assenza di mascherine nel corso delle manifestazioni non possono che preoccupare, per via di una ancora possibile crescita dei contagi, soprattutto alla luce dei numeri lombardi. Anche le richieste dei manifestanti (ritorno alla “lira italica”) e le loro assurde teorie complottistiche sull’origine dell’emergenza coronavirus possono destare preoccupazione.
Non si può tuttavia non rilevare che presto o tardi, con una contrazione del Pil attorno al 10 per cento, ma presumibilmente ben oltre, la protesta di piazza potrebbe diventare una realtà quasi quotidiana. Finora gli italiani sono più o meno riusciti a cavarsela intaccando i loro risparmi. Ma quando le risorse inizieranno a scarseggiare, i miliardi promessi sulla carta dall’Ue tarderanno ad arrivare, e i disoccupati cominceranno ad aumentare, la tensione salirà ulteriormente e non si potrà liquidare la protesta di molti per qualche presenza neofascista, o irriderla per le tesi complottiste. Forse potrà passare l’estate, ma con l’autunno tutti i nodi verranno al pettine.
E allora, che i gilet arancioni non indossino mascherine, potrebbe essere l’ultimo dei problemi. Non sono organici né alla sinistra come le Sardine (che si sono afflosciate nonostante una copertura mediatica complice), né alle opposizioni “sovraniste”, evidentemente nemmeno loro in grado di intercettare tutta la rabbia dei “dimenticati del lockdown”. Nessuno (stampa e politica) ha voluto vederli in questi mesi, ma ora eccoli qui…
E non è affatto casuale che il neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, non proprio un gilet arancione o un neofascista, abbia attaccato frontalmente il governo Conte, sostenendo che “la politica dello struzzo alla lunga non paga e può fare peggio del Covid. Lo si vedrà quando scopriremo che il Pil è caduto di 10 punti, allora dovremo far tutti i conti con la realtà”. E ancora:
“Servono i fatti. Ci sono stati già tre decreti per affrontare l’emergenza: soldi a pioggia, senza mai guardare al futuro. Il decreto liquidità non ha messo liquidità nelle casse delle aziende, mentre la cassa integrazione la stanno anticipando le aziende. Le stesse che non hanno liquidità perché sono in crisi. È una follia. Bisognerebbe cambiare passo perché ho la sensazione che il governo, e la politica in generale, tendano a comprare tempo, a prendere a calci la lattina e spostarla un po’ più in là”.
Una presa di posizione forte e priva di ambiguità che segnala lo stato d’animo del presidente di Confindustria e di buona parte del ceto imprenditoriale. A chi perderà il lavoro, e a chi non riuscirà a far ripartire la propria attività, si potrebbero poi aggiungere anche i giovani, che l’Esecutivo ha colpevolmente dimenticato durante tutta la crisi sanitaria. Con scuole e università chiuse da febbraio, senza seri progetti in cantiere per ripartire, non è da escludere che i giovani possano scendere in piazza per far sentire la loro voce. Del resto, il trattamento che hanno subito in queste settimane, una vera e propria criminalizzazione, è stato particolarmente pesante e odioso.
Quello che si preannuncia è dunque un mix piuttosto esplosivo. Soprattutto se si pensa alle mosse di Conte, che sta cercando di prolungare con ogni tipo di espediente la sua permanenza alla guida del governo. Chiudersi nel palazzo sperando che tutto possa decantare non pare la migliore delle strategie.