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Ecco perché il lockdown serve più a salvaguardare la classe politica che la nostra salute

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A un anno di distanza dalla prima dichiarazione dello stato d’emergenza adottata per contrastare la diffusione del coronavirus, ho maturato il convincimento che il ceto politico italiano abbia deliberatamente deciso per proprio tornaconto di non volere accettare la sfida di convivere con la pandemia.

L’adozione reiterata di numerosi lockdown è stata presentata da Governo, Parlamento e presidenti di Regione, come l’unico strumento in grado di  mettere al sicuro la vita e la salute di milioni di cittadini. Ritengo, invece, che tale scelta nasconda, in realtà, il timore della classe dirigente di mostrare incapacità e inettitudine a ripensare e riorganizzare la pubblica amministrazione al fine di coniugare lotta alla pandemia e salvaguardia della civiltà umana nelle forme in cui l’abbiamo sin qui conosciuta.

Non servono molti giri di parole per dimostrare come l’imposizione del lockdown metta al riparo politici e dirigenti pubblici dall’obbligo di continuare a fornire beni e servizi in condizioni meno confortevoli di quelle ordinarie e dalla necessità di dimostrare inventiva, determinazione, coraggio e capacità gestionale particolarmente elevate.

Affrontare la pandemia senza sospendere “il respiro della civiltà” richiederebbe, infatti, un’organizzazione efficiente guidata da persone competenti e responsabili, le quali, in tutti i settori più rilevanti, dalla sanità ai trasporti, dalla pubblica istruzione ai servizi sociali, dovrebbero riuscire a garantire diritti e libertà individuali senza esporre la popolazione al rischio di subire le conseguenze più nefaste del contagio virale.

Il lockdown rappresenta, invece, la soluzione più comoda, quella che consente al ceto politico di non fare alcunché e di salvaguardare la salute della popolazione, solo apparentemente, con un semplice provvedimento amministrativo.

Se si scartasse la possibilità di adottare il confinamento di massa, il sistema sanitario, ad esempio, dovrebbe essere abbastanza flessibile da riuscire a garantire pari livelli di efficienza all’aumentare dei carichi di lavoro. Una sfida impegnativa che richiederebbe uno sforzo organizzativo e gestionale dal quale dipenderebbe però la libertà di 60 milioni di abitanti. Si è preferito fino adesso, invece, evitare qualsiasi sforzo che assicurasse la moltiplicazione dei posti disponibili negli ospedali e abbracciare la soluzione più comoda, quella che fa scattare la soglia d’allarme (e il lockdown) non appena raggiunto il limite esiguo del 30 per cento di posti di terapia intensiva occupati da malati Covid. È stata data priorità alla necessità di non stressare il sistema sanitario per il semplice fatto di avere rinunciato di pretendere che anche sotto stress la sanità eroghi servizi efficienti.

L’imposizione del lockdown, poi, infonde tranquillità anche nei responsabili della campagna di vaccinazione; finché sarà possibile costringere la popolazione a rimanere a casa, al sicuro dall’esposizione del contagio, ci saranno sempre tempi e modi, infatti, per organizzare la distribuzione e la somministrazione del vaccino. Gli effetti sulla diffusione del virus, dei ritardi, delle disfunzioni e dei macroscopici errori emersi nella distribuzione e somministrazione del vaccino saranno attenuati dalla possibilità di abbattere la curva dei contagi grazie al lockdown.

Se si accettasse la sfida di convivere con la pandemia la classe dirigente dovrebbe farsi carico, ancora, di ripensare l’organizzazione dei trasporti pubblici, dalla quale dipenderebbe, poi, la possibilità di assicurare la continuità del servizio scolastico e di tanta parte dell’efficienza del sistema produttivo. Sarebbe richiesta la capacità di moltiplicare le potenzialità dell’intero sistema dei trasporti pubblici e di ripensare l’esercizio di quelli privati. Una scommessa, anche questa, che è stata scartata a priori a fronte della possibilità di imporre con un tratto di penna l’isolamento domestico di milioni di esseri umani privati del lavoro e di ogni altra libertà fondamentale.

Anche i tentativi di procedere al tracciamento dei contagiati o di isolare (e proteggere) i soggetti che l’esperienza ha oramai dimostrato essere i più esposti al rischio delle conseguenze nefaste del contagio sono stati considerati alla stregua di una boutade passeggera da megalomani dei social network. Il lockdown è sempre a portata di mano e non vi è alcuna necessità di mettere in campo risorse e soluzioni organizzative innovative per assicurare la sopravvivenza della società e il contrasto della pandemia.

Ad attutire le conseguenze drammatiche dovute alla paralisi di un intero sistema produttivo ci pensa, infine, il debito pubblico; anch’esso strumento di facile utilizzo e pronta reperibilità che pone la classe dirigente italiana al riparo dalla preoccupazione di trovare un modo per consentire a milioni di individui di sopravvivere autonomamente nonostante il virus.

La classe politica italiana ha deliberatamente rinunciato ad affrontare tutte le sfide poste dalla pandemia. Ha preferito rifugiarsi dietro il lockdown, per scansare ogni  responsabilità, per evitare ogni rischio, per salvaguardare se stessa.

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