Perché la Turchia non può entrare in Europa? Se ne disquisisce da anni e, a seconda della campana politica di risonanza, ogni volta la risposta è la stessa, dichiarata o meno, da tutte le parti politiche: perché non è una nazione veramente democratica. E dopo lo pseudo colpo di stato di Erdogan, lo è ancor meno.
Rinfreschiamo la memoria ai più pigri: era il marzo del 2016 quando il presidente Erdogan, nell’impossibilità di una modifica costituzionale, si è fatto eleggere capo dello Stato, e da allora è iniziata una corsa ad una sultanizzazione del Paese, con annesso silenziamento della stampa, rimozione di magistrati e poliziotti a lui ostili per “problemi” che vanno dalla corruzione al sostegno alle opposizioni, o al fondamentalismo islamico.
La Turchia ha poi ricevuto una pioggia di soldi dall’Europa per tenersi un po’ di migranti, che a molti sembra più un ricatto permanente che una reale collaborazione geopolitica, e la cosa ha influito non poco sulla ricchezza personale del presidente in termini che non ci è dato sapere, ma che sono almeno intuibili. Poi, la vendita di armi in Siria prima della guerra e l’acquisizione di un potere personale esponenziale del leader turco, anche attraverso l’uso di propaganda mediatica, come d’altronde si confà a tutti i regimi, e per la quale sono state reclutate in stanza stabile anche moglie e figlia che, nel pieno rispetto dei canoni coranici, si occupano di promuovere la donna come moglie e madre ovviamente velata e remissiva.
Remissiva al punto di tentare di far tornare in auge il matrimonio riparatore con la campagna “sposa il tuo stupratore” ,o di ritenere lecito il fatto che poiché sono i mariti che portano i soldi a casa, allora è corretto che alle donne spetti una quota di eredità minore. Insomma: oltre che un salto sociale indietro di decenni, se non millenni, per la Turchia, un tonfo nel baratro del sessismo e della mancanza di libertà che l’Europa attuale – dove in alcuni Paesi si può ordinare comodamente a casa un thermos di sperma surgelato per auto-inseminarsi da sole, per non parlare di droghe o matrimoni fra persone dello stesso perfettamente legalizzati – non potrebbe in alcun modo accettare.
Il fatto che i turchi siano per il 98 per cento musulmani è un problema secondario? Perché le sinistre europee, da sempre nemiche del cristianesimo, da sempre si sono schierate a favore dell’avanzata della cultura islamica nel vecchio continente, di cui, guarda casa, la porta d’ingresso privilegiata è il nostro stivale? Perché sono nemiche della crescita economica dell’Italia, che dalla caduta di Craxi in poi hanno tentato e ancora tentano di non far decollare come dovrebbe?
Siamo noi infatti, e nessun altro Paese, oggi come mille anni fa, l’oggetto del contendere, al centro non di un tira e molla, non solo per la penetrazione della mezzaluna, ma di una lotta per l’egemonia politica che a qualcuno fa comodo tenere ad un livello di para ininfluenza. Ma la percezione dell’islam come terrore ormai si è fatta strada e certo non grazie all’integrazione, ma a colpi di attentati terroristici di matrice jihadista, frutto, come abbiamo visto – e da anni annunciato – anche di un’accoglienza illogica e incontrollata.
“I musulmani come gli ebrei al tempo del nazismo”, povere vittime del sistema, ghettizzati, rifiutati, tuona allora Erdogan contro i leader europei, con un fare che ricorda quello di Saddam, di Gheddafi e finanche di qualche leader del Califfato.
Era il 2009 quando Alexandre del Valle ci spiegava nel suo libro intitolato proprio “Perché la Turchia non può entrare in Europa”, che oltre al fatto che la Turchia è un mercato grandissimo di potenziali consumatori – e per questo i magnati ne auspicano l’ingresso nell’Unione – nel 2020 la popolazione turca sarebbe stata di 90 milioni e, per le attuali norme, avrebbe avuto il maggior numero di seggi al Parlamento, trasformando, di fatto, l’istituzione europea in un consesso a prevalenza musulmana. E sappiamo tutti che nessuno stato musulmano è uno stato laico.
Ebbene, non ci è andato poi tanto lontano: oggi la Turchia è popolosissima, siamo a 82 milioni di persone. Ottantadue milioni di persone che avrebbero libertà di movimento e di intrapresa e che di fatto, per la sola superiorità numerica, colonizzerebbero le istituzioni e la società civile portando con sé i loro usi e costumi di matrice suddetta.
Altro dettaglio che pochi conoscono è che in caso di ingresso della Turchia nell’Ue, oltre agli 82 milioni di cittadini turchi, anche 85 milioni di turcofoni – Azeri, Kazaki, Uzbeki, etc., residenti nelle repubbliche dell’ex URSS, che sono equiparati ai cittadini turchi dalla Costituzione di Ankara – potrebbero rivendicare pieni diritti come cittadini europei. Il punto quindi è molto semplice: se si vuole mantenere la storia, la cultura europea di stampo occidentale, derivata dal diritto romano, giudaico-cristiana o anglosassone e germanica, e non perdere la libertà religiosa e i livelli di libertà individuale raggiunti, la Turchia non può, e non deve entrare in Europa.