È sufficiente un confronto fra il 2015 e il 2020 circa la suddivisione delle Regioni fra destra e sinistra, per capire l’esistenza di un trend, con 13 per la prima e 6 per la seconda. Il che non viene affatto invertito dalle ultime regionali appena tenute, perché è vero che in Emilia Romagna la sinistra ha tenuto, ma senza poter evitare una competizione assai stretta, tanto che alla fine ha superato di soli 2-3 punti in percentuale la coalizione di liste della destra; è altresì vero che in Calabria la destra ha vinto nettamente, nonché, dato ancor più importante, a Nord e a Sud, i 5 Stelle si sono completamente liquefatti. C’è per lo meno da dubitare che l’obiettivo principale del governo giallo-rosso, più o meno occultato col blocco dell’Iva, fosse fondato; cioè di un contenimento di Salvini, con il suo consenso che andasse evaporando col trascorrere del tempo, quasi fosse un temporale estivo, prossimo a lasciare il passo al sereno.
Il governo ne è uscito oggettivamente indebolito, perché il Pd ha tenuto, sì, ma a tutto svantaggio dei 5 Stelle, che rimangono detentori della maggioranza relativa dei parlamentari, ma con una inversione del rapporto sostanziale di forze, reso evidente dal compromesso raggiunto sul tema della prescrizione.
L’insistenza con cui ci si ostina a ribadire che la legislatura si chiuderà solo nel 2023 testimonia la disperata voglia di durare, all’insegna dell’ha da passà ‘a nuttata, la quale, peraltro si prospetta abbastanza lunga. C’è da scontare le dinamiche interne ai due alleati maggiori, Pd e 5 Stelle, con a recitare il ruolo di Ghino di Tacco, una volta attribuito a Craxi, Italia Viva; l’usura del governare, accresciuta dalla necessaria ricerca di identità da parte di forze in crisi di legittimazione, 5 Stelle e Italia Viva; la via crucis della sequenza delle consultazioni regionali. Fino a quando la coalizione giallo-rossa abuserà della crescente impazienza della gente. Fino, si dice, all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, nel 2022, per evitare la “sciagura” di un presidente sovranista, in verità per poterlo esprimere dal milieu di sinistra.
Già oggi il sistema è deteriorato, ma è destinato a diventarlo ancora di più. Mi sia permesso, con una immagine tratta dalla realtà, parlare di un effetto Vajont, dove una frana di terra sul bacino artificiale provocò un’onda enorme, che saltando la diga piombò sul paese di Longarone, distruggendolo integralmente. Che cosa sta succedendo? L’onda è la crescita impetuosa del centrodestra, che non riesce a infrangere una diga costruita da un sistema che si è chiuso compatto: il presidente della Repubblica vara una maggioranza giallo-rossa, raffazzonata in un pugno di giorni, reduce da una rissa feroce; la Corte costituzionale boccia la richiesta di un referendum per abolire la quota proporzionale nel Rosatellum, del tutto sintonico rispetto al precedente referendum del 1993, così aprendo la via ad un Germanicum, che priva l’elettorato del diritto di scegliere chi la deve governare; la maggioranza parlamentare anticipa, ancor prima di vedere le carte, il via libera all’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il caso Gregoretti, per poi disertare la Giunta delle immunità, con una chiara preoccupazione elettorale; il Tribunale di Palermo presenta al Senato una nuova richiesta di autorizzazione a procedere sempre nei rispetti di Salvini, per il caso Open Arms, all’insegna del vecchio adagio che non c’è due senza tre; la coppia Pd e 5 Stelle conferma lo stop alla prescrizione, con una distinzione di dubbia costituzionalità fra sentenza di assoluzione e condanna in primo grado, bloccandola in quest’ultima; la Cassazione riabilita la “Capitana”, la tedesca Carola.
Tutto questo sullo sfondo di una massiccia campagna, con a bersaglio privilegiato la Lega di Salvini, ma tale da investire tutta la destra, Fratelli d’Italia e Forza Italia, come del tutto delegittimata a costituire, oggi, una opposizione democratica e, tanto meno, domani, una maggioranza conforme alla carta fondamentale. Si evoca un ritorno del fascismo o, comunque, di un regime autoritario, contrario al lascito del movimento partigiano e allo spirito costituzionale, un antisemitismo e un razzismo riabilitati, un odio diffuso a piene mani. Ma così la deriva verso la destra ne viene radicalizzata, perché quanto più violenta è una contrapposizione, tanto più è alimentata una reazione uguale e contraria, che non trovando una uscita nel sistema in atto, tende a squilibrarlo ancora di più. L’onda così provocata non sfonda la diga di un sistema tutto chiuso sulla difensiva, ma la salta, con un impatto molto forte. Che vuol dire? Che la gente normale, quella che non accetta di essere colpevolizzata per credere nella patria e nella famiglia – che un giornalista di Repubblica, in un livido libretto, considera parole “fascistizzate”, sì da dover essere escluse da un linguaggio politically correct – e che rappresenta una larga maggioranza, ne risulta come vaccinata, col diventare indifferente anche rispetto a episodi meritevoli di una attenzione che non sia parossistica; e col coltivare la voglia di un po’ di quiete, quale gliela può garantire un “uomo forte”, espressione di una maggioranza parlamentare sufficientemente omogenea, che, nei limiti di una Costituzione garantita dai contrappesi e condivisa dai più, dia l’impressione di tenere la barra dritta su una politica chiara e trasparente, fatta propria dal popolo sovrano.
Col senno di poi, se non oggi, certo in un giorno troppo lontano, si dirà che sarebbe stato meglio votare nell’autunno del 2019, senza trincerarsi dietro la favola di dover bloccare l’aumento dell’Iva, con la conseguenza di non poterla nemmeno modulare, sì da recuperare risorse per altre esigenze pressanti; chiunque l’avrebbe fatto. Meglio votare per soddisfare un elettorato in movimento, sì da stabilizzarlo nell’unico modo peculiare ad un sistema democratico, cioè il voto, senza farne uno spauracchio, perché chi ferisce la democrazia, di democrazia perisce.