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L’elezione dei presidenti delle nuove Camere un “giochino”: nuovi leader, solita demagogia

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Anche la due-giorni di elezione dei presidenti di Senato e Camera – rispettivamente la seconda e terza carica dello stato – non poteva sfuggire alla diretta televisiva e social 24 ore 7 giorni su 7, con i giornalisti intenti a inseguire monosillabi di uomini politici che non vedevano l’ora di fingere di contare qualcosa.

Voglio essere ottimista: peggio di così non poteva andare. Anche perché i giorni che hanno preceduto la prima seduta del nuovo Parlamento già ci avevano dato il tono di come la Seconda Prima Repubblica avrebbe approcciato un momento politicamente e istituzionalmente tra i più delicati della legislatura.

“Abbiamo vinto quindi una presidenza spetta a noi”, era la frase più ricorrente tra i grillini e nella rissosa coalizione di centrodestra. Questo sfoggio di muscoli e l’appropriazione (indebita) di cariche, mal si concilia con lo spirito che ha sempre contrassegnato la ricerca di figure che garantiscono imparzialità e competenza nel dirigere i lavori delle due Aule. D’altronde, vista la campagna elettorale non ci si poteva aspettare molto di più.

I presidenti delle due Aule non devono essere eletti in rappresentanza del consenso ottenuto dai partiti, ma in rappresentanza del ceto politico-parlamentare di cui sono garanti.

Così abbiamo assistito a una partita interamente giocata dai partiti usciti vincitori dalle urne, quasi che in passato la Camera non abbia avuto al suo vertice per lungo tempo la comunista Jotti senza che il Pci abbia mai vinto le elezioni, o Fausto Bertinotti e Laura Boldrini, entrambi presidenti nonostante i partiti di cui erano tra gli esponenti di spicco non siano mai andati oltre il 6 per cento. E che dire di Giovanni Spadolini, il repubblicano che guidò Palazzo Madama per 7 anni con un’Edera mai sopra il 5 per cento? Altri tempi, altre storie. Ma per fare capire la cifra politica della vicenda tutto questo non basta. Nossignori. Si potrebbero citare i 418 franchi tiratori di se stessi che hanno votato Fico come
terza carica dello stato, ma neppure questo darebbe l’idea.

E allora pensiamo alla segretaria di quel partito che, su La7, una volta partoriti i nomi di Casellati e del summenzionato Fico, ha detto: “Bene che abbiamo fatto in fretta, non potevamo dare l’immagine di essere chiusi qui dentro a fare i soliti giochini quando fuori c’è il paese che soffre”. Accipicchia! Eleggere i vertici del Parlamento è un giochino per chi è stato eletto! Che grande valore danno i nuovi parlamentari – a se stessi – e alle istituzioni! Ah, demagogia! Tutti i politici – alla fine – te li porti via!