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Emergenza sanitaria ed economica che ci coglie nel momento peggiore: governo posticcio e Paese già stremato

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Ad impressionare del bollettino di ieri della Protezione civile sullo stato del contagio da coronavirus in Italia non è tanto il numero dei casi positivi, che ormai è alle soglie dei 4 mila, per la precisione 3.858 (+769), anche perché ormai abbiamo tutti più o meno presente che si tratta dei casi scoperti, che quelli reali potrebbero essere molti di più. È un denominatore che serve per le percentuali, ma potrebbe non essere così attendibile. No, a impressionare sicuramente di più, dell’andamento dell’epidemia nel nostro Paese nel confronto con i nostri vicini, ma anche con i Paesi asiatici duramente colpiti come la Corea del Sud, è il numero assoluto di decessi, terapie intensive e ricoveri: 148 morti (+41 nelle ultime 24 ore), 351 malati in terapia intensiva e 1.790 ricoverati, su 3.296 pazienti ancora positivi.

Il timore è che l’alto numero di decessi (con un tasso di letalità che ha superato anche quello stimato dall’Oms) sia già dovuto allo stress a cui sono sottoposte le strutture sanitarie: da tenere presente, infatti, che nonostante l’abnegazione e il valore di medici e infermieri, un conto è avere 3-4 persone in terapia intensiva, tutt’altro averne 30, da curare – ricordiamolo – per una malattia che si conosce ancora pochissimo sotto la costante minaccia di infettarsi. Speriamo ovviamente di sbagliarci e che la soglia del collasso del sistema sanitario, peraltro nelle tre Regioni ritenute d’eccellenza, sia ancora lontana. Fa tremare la sola ipotesi che i servizi sanitari del Centro-Sud possano tra pochi giorni trovarsi di fronte a numeri simili. Il nostro sistema sanitario ha indubbiamente delle eccellenze, ma diciamoci la verità, come attestano le classifiche internazionali è lungi dall’essere il migliore preso nel suo insieme.

Dobbiamo sperare che abbiano ragione Ilaria Capua e Anthony Fauci, secondo cui i contagiati sono molti di più di quelli ufficiali (“forse anche oltre 100 volte tanto”), perché vorrebbe dire tassi di letalità e di terapia intensiva molto inferiori e, soprattutto, molte persone già con anticorpi che possono rallentare la diffusione del contagio. Una ipotesi fondata, anche se il capo missione dell’Oms in Cina, Bruce Aylward (da prendere con le molle per le implicazioni delle sue parole per Pechino), non la pensa così:

“People keep saying [the cases are the] tip of the iceberg. But we couldn’t find that. We found there’s a lot of people who are cases, a lot of close contacts – but not a lot of asymptomatic circulation of this virus in the bigger population. And that’s different from flu”.

Ma a leggere questi dati un altro sospetto si fa avanti, e cioè che stiamo rincorrendo affannosamente il contagio senza mai acciuffarlo, il virus è sempre qualche passo avanti a noi, le misure che via via adottiamo, senza non pochi tentennamenti, sono in ritardo di 2-3 settimane rispetto al momento in cui avrebbero potuto massimizzare la loro efficacia. Avremmo dovuto disporre a fine gennaio la quarantena per chiunque tornasse dalla Cina (sarebbe servito certamente a contenere il contagio, nonostante sia ormai acquisito che il virus circola in Europa almeno dalla metà di gennaio), e invece c’era chi mangiava involtini primavera, come Formigli, che invece ieri sera trasmetteva scene da “Virus letale”; ancora non è chiaro quali misure siano in vigore nei confronti di chi arriva dall’Iran, dove la situazione è chiaramente fuori controllo, come denuncia il nostro Dorian Gray; avremmo forse dovuto eseguire più test prima dell’esplosione dei focolai, in modo da intercettare più casi di importazione, come probabilmente è riuscito ad altri Paesi. Certe “raccomandazioni” andavano fornite fin dall’inizio, evitando di parlare di “influenza un po’ più aggressiva” e buttarla sul razzismo. Il rischio è che misure parziali, scomposte e tardive, e irrealistici appelli a non fermarsi, sortiscano l’effetto di allungare l’agonia, allontanando il momento in cui ci sarà da far davvero ripartire l’economia, mentre provvedimenti più drastici fin da subito sarebbero stati sì più costosi e dolorosi in un primo momento, ma ci avrebbero forse permesso di accorciare i tempi della ripresa.

Ma l’attuale governo è attrezzato per prendere simili decisioni? La sensazione è che non credano nemmeno loro di esserne all’altezza, di godere della autorevolezza e della credibilità necessarie. Oltre a mancare di competenza, carisma e doti di leadership, si percepisce – e lo percepiscono anche i cittadini – nelle incertezze e nei passi falsi di questo governo, negli sguardi assenti e nei discorsi poco convinti dei suoi esponenti, tutta l’insicurezza che deriva dalla profonda consapevolezza di non avere un vero mandato politico, una legittimazione democratica forte, di non godere del favore della maggioranza dei cittadini. Una debolezza che, non lo ammetteranno mai, ha pesato e peserà negativamente sulla loro capacità di adottare misure drastiche, coraggiose, necessarie nel momento opportuno.

Dobbiamo anche cominciare ad essere realistici sulle cause dell’impietoso confronto con gli altri Paesi a noi più vicini, geograficamente ma anche come demografia e organizzazione sanitaria. Su tutti, Francia e Germania. Intendiamoci, può ben darsi che tra dieci giorni o due settimane si troveranno esattamente dove ci troviamo noi oggi, ma dobbiamo cominciare a fare i conti con una realtà: se il virus colpisce tutti con la stessa virulenza, l’efficacia della risposta può variare da Paese a Paese, in funzione non solo del suo sistema sanitario, ma anche della coesione, solidità e credibilità dei suoi vertici istituzionali.

Quello che stiamo vivendo è un evento dalla forza dirompente, tale da mettere a nudo e allargare tutte le crepe di un Paese… E non illudiamoci: l’Italia arriva a questa prova, alla peggiore emergenza degli ultimi 40 anni (almeno) non solo con il peggiore governo possibile, come abbiamo già osservato, ma con una economia in declino da decenni, privata dei principali strumenti di politica economica, con la sfiducia nelle istituzioni al suo apice, forze politiche logorate da quasi tre decenni di guerra civile, il sentimento nazionale demonizzato, una classe dirigente estraniata, sprezzante nei confronti della “common people”, famiglie e imprese già messe a dura prova, tartassate, depresse e rassegnate. Un Paese reale che lontano dalla retorica che risuona nei Palazzi del potere appare stremato, esausto, sfilacciato. Non illudiamoci che tutto questo non giochi contro le nostre chance di superare questa enorme sfida. Anche se fosse solo “un’influenza più aggressiva”, potrebbe metterci al tappeto.

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