Il voto di domenica prossima in Emilia-Romagna si è caricato via via di un valore diverso da quello di una semplice tornata elettorale regionale, specialmente dopo la schiacciante vittoria di Matteo Salvini in Umbria. Era, sostanzialmente, quello che il leader della Lega voleva, per due motivi: il primo, quello di trasformare il voto emiliano-romagnolo in un referendum sul governo; il secondo, quello di riaffermare nuovamente il suo ruolo dominus della politica italiana, come peraltro evidente a (quasi) tutti dal 4 marzo 2018.
Sarebbe ingeneroso però sottovalutare – o, peggio ancora, sminuire – il coraggio e lo spirito di sacrificio con cui la candidata alla presidenza della Lega, Lucia Borgonzoni, si è lanciata nella campagna elettorale. Offesa e fatta oggetto di insulti sessisti e discriminatori dai suoi avversari, la Borgonzoni non si è adagiata sul vittimismo ma ha anzi fatto campagna su tutto il territorio, girando in lungo e in largo la regione ed esponendo i problemi che, secondo lei, andrebbero affrontati una volta sfrattato Bonaccini da Bologna. Se la stampa l’ha relegata a un ruolo di secondo piano è stato solo per favorire il candidato del Pd, presentato sempre come il più adatto a ricoprire quel ruolo.
Peraltro, nazionalizzando la campagna e polarizzando il confronto sulla figura di Salvini gli Oi Strategoi della sinistra hanno commesso un errore marchiano, da matita rossa, dando al leader leghista la centralità che andava cercando: se l’elezione è un referendum su base nazionale per vedere se il popolo è pro o contro Salvini il rischio per il governo giallorosso è quello di perdere nettamente anche in presenza magari di una vittoria risicata da attribuire più che altro al fatto che Stefano Bonaccini ha cercato in tutti i modi di distanziarsi dai partiti delle maggioranza e, in particolare, dal suo. Il presidente dell’Emilia-Romagna si è infatti presentato senza mai fare apparire il simbolo del Partito democratico sui suoi manifesti, nelle sue uscite pubbliche e nei suoi discorsi, tutti incentrati sulla continuità e sul suo buongoverno. Se vincerà sarà una vittoria tutta sua, che i giallorossi non potranno definire tale.
La nazionalizzazione della campagna è stata favorita dalla centralità mediatica assunta da Salvini sin dal giorno dopo la vittoria della Lega in Umbria. Avendo capito che la “Battaglia di Bologna” è decisiva per dare lo sfratto a Conte e soci, il leader della Lega ha riversato tutte le sue energie sulle regionali ribadendo il consueto schema comunicativo che finora ha portato straordinari consensi: campagna vecchio stile sul territorio con ripetuti incontri giornalieri con i cittadini-elettori di città, piccoli comuni e borghi locali rilanciati con grande puntualità e a getto continuo sui social – specie nel loro aspetto più folkloristico e quindi di immediata presa su più fette dell’elettorato – e presenza sui vecchi media, dalla tv ai giornali, per ribadire la sua offerta politica. Un attacco a tre punte (territorio, social, media tradizionali) che la sinistra non è in grado di replicare con la stessa penetrazione e la stessa incisività.
Il governo giallorosso non ha ancora stabilito il da farsi in caso di sconfitta. Alcuni vorrebbero proseguire l’infausta strada dell’alleanza Pd-M5S che continua a erodere i consensi di entrambi i partiti. Altri vorrebbero affidare il futuro del governo a una riflessione più attenta e a bocce ferme sul suo operato. La portata storica della perdita di un territorio che la sinistra si sente sulla pelle ancora prima della nascita delle regioni nel 1970 sarebbe il colpo di grazia per un Pd in cerca di autore e un M5S che ha sempre avuto nelle elezioni regionali il suo tallone d’Achille più evidente. Anche il futuro delle Sardine è appeso al voto in Emilia: nate per sintetizzare il populismo-pop grillopiddino in una chiave falsamente nuovista, Santori e i suoi sono partiti proprio da Bologna per lanciare la loro scalata nazionale: ma se il tanto detestato Salvini – contro cui maturano ogni tipo di scelta politica e metapolitica – dovesse vincere, che fine farebbero le Sardine? Il caso Gregoretti ha dato al leader leghista la possibilità di dominare il discorso pubblico nella settimana del voto. Il Capitano sente il profumo della vittoria e ha capito che gli ultimi giorni saranno decisivi per orientare i consensi, nazionalizzando la contesa. Tutti aspettano il 26 gennaio come l’ora X per il governo e per le sorti politiche del paese. A sinistra tremano, a destra trepidano: in fondo, anche questo è già il primo esito della “Battaglia di Bologna”.