L’equivoco sui decreti sicurezza: Salvini non si è occupato di migranti e rifugiati, ma di ingressi illegali

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“Riscriviamo le politiche migratorie in Parlamento” (Rossella Muroni, deputato di Liberi e Uguali). “Inizia un nuovo percorso che dovrà rivedere in profondità le politiche migratorie” (Aldo Penna, deputato M5S). “Governo. Migranti, attesa la correzione di rotta” (Avvenire). “Un ‘Governo di svolta’, anche sulle politiche migratorie?” (il Sussidiario)… Leggendo i titoli dei mass media in questi giorni si direbbe che gli italiani non vedano l’ora di sapere che politiche migratorie adotterà il nuovo governo e quasi non pensino ad altro: cosa che, se vera, sarebbe assai sorprendente considerando che di politiche migratorie da anni in Italia si parla di rado e che l’argomento è assente nei discorsi della maggior parte della gente.

E difatti poi si scopre che dichiarazioni e titoli – quelli riportati e centinaia di altri – introducono in realtà considerazioni non sulle norme in materia di immigrazione bensì sulle due leggi Sicurezza varate dal governo uscente, parlano di “porti chiusi” e di accoglienza, si interrogano su che cosa farà il ministro dell’interno Lamorgese che sostituisce il ministro Salvini. Da “riscrivere” e “rivedere in profondità” sono le due leggi adottate per impedire gli ingressi illegali in Italia, assicurare che solo i richiedenti asilo effettivamente profughi – perseguitati, in fuga da minacce alla vita e alla libertà – ottengano lo status di rifugiato lasciando tuttavia aperta la possibilità di concedere protezione internazionale e permessi di soggiorno temporanei a chi, se respinto, correrebbe dei rischi rientrando in patria e a chi per motivi ad esempio di salute ha bisogno di assistenza immediata e per questo non deve essere rimandato subito indietro.

L’ex ministro Salvini, sembra impossibile che si debba chiarire un simile equivoco, con le sue iniziative non è intervenuto sulle politiche migratorie italiane. Si è occupato di un grave problema di sicurezza nazionale e ordine pubblico originato dall’incessante arrivo in Italia di persone prive di visti e documenti e dalla loro permanenza prolungata, con o senza protezione internazionale, in condizioni rese critiche dal fatto che, per oggettive e insormontabili difficoltà di integrazione, la maggior parte degli stranieri extracomunitari per sopravvivere accetta di lavorare in nero, svolge attività illegali, viene arruolata da organizzazioni criminali.

Di politiche migratorie il ministro Salvini non si è occupato perché ovviamente sono di pertinenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il quale ne affida la gestione alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, le cui competenze sono definite all’articolo 10 del Regolamento di organizzazione del Ministero suddetto, in vigore dal 2017.

La Direzione generale, articolata in tre uffici, programma i flussi, gestisce e monitora le quote di ingresso dei lavoratori stranieri (per il 2019 la quota è di 30.850 lavoratori non comunitari, 12.850 per lavori autonomi, subordinati non stagionali e conversioni e 18.000 per lavori stagionali), monitora il mercato del lavoro con riferimento ai flussi dei lavoratori stranieri, cura il registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività in favore degli immigrati, vigila sui flussi di entrata dei lavoratori stranieri comunitari ed extracomunitari.

Le altre sue funzioni sono illustrate nella pagina web del ministero del lavoro. Altrettanto ovviamente, tra queste non rientra l’accoglienza ai profughi, all’interno e all’esterno dei confini nazionali. I rifugiati sono circa 20 milioni, i richiedenti asilo 3,5 milioni: solo poche decine di migliaia residenti in Italia, ma tutti protetti e assistiti anche con il contributo del nostro paese che, insieme agli altri stati europei, agli Stati Uniti e all’Unione europea, provvede all’87 per cento dei fondi di cui dispone l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, con in quali provvede anche ai circa 40 milioni di sfollati sotto suo mandato.

L’equivoco di cui si diceva, nasce dal fatto che si dice “migranti” e persino “rifugiati” mentre si tratta di ingressi illegali di persone che per lasciare il loro paese e arrivare a destinazione si servono quasi sempre di organizzazioni criminali di contrabbandieri di uomini. Si teorizza inoltre che chiunque lasci il proprio paese lo fa per necessità e disagio e quindi, equiparato a un profugo, deve essere accolto ovunque voglia stabilirsi e qualunque sia il modo impiegato per arrivarci. Il progressivo azzeramento della distinzione tra emigranti e profughi ha il solo fine di consentire, legalizzare e di fatto incentivare espatri irregolari di persone non motivate da minacce alla vita e alla libertà. Scambiare per “politiche migratorie” degli interventi in materia di ordine pubblico e sicurezza nazionale serve allo scopo.

Pochi considerano o sembrano dare peso al fatto che in questo modo si danneggiano, in certi casi irreparabilmente, emigranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati privandoli di risorse e opportunità già spesso drammaticamente limitate.

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