È un vero peccato che il presidente francese Emmanuel Macron abbia voluto sfruttare l’occasione del centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale, celebrato lo scorso weekend a Parigi, per dare una lezione a un presidente americano – quando un secolo fa proprio l’entrata in guerra degli Stati Uniti spostò gli equilibri in campo a favore degli Alleati (un’altra generazione di americani sarebbe dovuta tornare di lì a poco in Europa per liberarla di nuovo) – e per cercare maldestramente di apparire, con la cancelliera Merkel ormai al tramonto, come il nuovo leader dell’Unione europea. Il futuro, quello che guarda avanti e prende per mano il Continente verso le nuove tappe dell’integrazione politica. Funzionali agli interessi francesi, naturalmente…
Il tutto, probabilmente, anche nel tentativo di recuperare terreno nel consenso interno, sceso ormai ai minimi.
Prima, alla vigilia delle celebrazioni, l’infelice sparata sulla necessità di avere un “vero esercito europeo”, specificando “per difendere i cittadini europei non solo rispetto a Cina e Russia, ma anche rispetto agli Stati Uniti”.
Non a caso, in questi mesi, l’idea di una difesa comune europea ha trovato nuovo slancio, soprattutto per iniziativa francese. Con il Regno Unito avviato ormai in un modo o nell’altro ad uscire dall’Ue, come unica potenza nucleare rimasta nell’Unione, Parigi non ha più rivali e può vantare buone ragioni per reclamare per sé la leadership di quell’esercito europeo di cui ha parlato Macron. Che la Germania lo accetti a cuor leggero, non è scontato, ma la prospettiva di una leadership tedesca nel campo dell’unione economico-finanziaria, e almeno in un primo momento francese nel campo della difesa europea, è nei fatti.
L’inclusione da parte di Macron degli Stati Uniti tra gli avversari dell’Europa, se non tra le potenziali minacce, da cui un esercito europeo dovrebbe difenderci, non deve sorprendere più di tanto, è coerente con l’idea che non da oggi si coltiva a Parigi di una difesa comune europea non complementare ma alternativa alla Nato, nell’ottica di un suo progressivo superamento e di un’Europa finalmente emancipata dagli Usa e a guida francese. Angela Merkel ieri ha in parte corretto il tiro, precisando che “bisogna lavorare affinché un giorno l’Europa possa avere un vero esercito europeo”, “non contro la Nato” ma complementare ad essa, anzi “all’interno della Nato” e “senza mettere in dubbio i rapporti transatlantici”. Parlando a Strasburgo, al Parlamento europeo, la cancelliera tedesca ha aggiunto però che “i tempi in cui ci potevamo affidare ad altri sono finiti, come europei dobbiamo prendere in mano il nostro destino”, ripetendo un concetto espresso non molto tempo fa, quando aveva avvertito come fosse arrivato il momento per l’Europa di “fare da sola”, non potendo più fidarsi dell’alleato americano e nemmeno di quello britannico. Insomma, la Merkel dà prova della sua proverbiale prudenza rispetto alla spavalderia di Macron, ma sembra affermarsi a Parigi come a Berlino – e la Brexit sembra abbia impresso un’accelerazione – l’idea di una equidistanza dell’Europa tra Washington da una parte e Mosca e Pechino dall’altra – anche se, come detto, l’approccio tedesco sembra più pragmatico, consapevole della imprescindibilità, ancora per molti anni a venire, dell’alleato americano, a giudicare dalle precisazioni di ieri della Merkel e dalle sue recenti concessioni a Trump su gas e commercio.
È comunque significativo, e dovrebbe allarmare anche gli europeisti, che a incoraggiare questo processo di sganciamento dell’Europa (e della Germania) dagli Usa, iniziato già negli anni Novanta, subito dopo la riunificazione tedesca, sia proprio la Russia. Basta osservare le reazioni all’uscita del presidente francese. Stizzita quella del presidente americano Trump, che l’ha definita “offensiva” (“forse l’Europa dovrebbe prima pagare la sua giusta quota della Nato, in gran parte finanziata dagli Usa”), compiaciuta quella del presidente russo Putin, che l’ha definita “positiva” per un mondo multipolare. Non solo è “comprensibile”, ha spiegato a Russia Today: “L’Europa è una potente unione economica ed è abbastanza logico che voglia essere indipendente, autosufficiente e sovrana nel settore della difesa e della sicurezza”. Ricordando che l’idea non è nuova, e di averne sentito parlare anche dall’ex presidente francese Chirac, Putin ha quindi aggiunto che “nel complesso è positiva dal punto di vista del rafforzamento di un mondo multipolare”.
Dividere l’Occidente, separare dal punto di vista strategico l’Europa dagli Stati Uniti, il che significherebbe decretare la fine o l’irrilevanza della Nato, è da sempre il sogno proibito di Mosca, che in questo modo accrescerebbe enormemente la sua influenza sul Vecchio Continente fino ad attrarlo, grazie soprattutto alla forza di gravità cinese, in uno spazio euroasiatico. Grazie a una generazione di leader europei miopi e presuntuosi, sopravvalutati, e all’arroganza dell’ideologia europeista, questo sogno rischia di realizzarsi, o per lo meno di essere incoraggiato. Qualche domanda se la dovrebbero porre i nostri macroniani italiani, se “Più Europa” rischia di tradursi in “Forza Putin”…
Quella dell’equidistanza europea tra Washington da una parte e Mosca e Pechino dall’altra è una pericolosa illusione. Infatti, nel mondo multipolare immaginato da Putin non ci sarebbe spazio per un “polo” Europa a sé stante, davvero indipendente e sovrano, a meno che gli europei non siano pronti a disfarsi di buona parte dei loro generosi sistemi di welfare per finanziare un apparato militare in grado di tenere il passo di Usa e Cina: altro che 2 per cento del Pil, come da impegni Nato, servirebbe almeno il 4 per cento e la Germania, il Paese più ricco, è ancora poco sopra l’uno.
Come se non bastasse l’uscita di Macron, anche quella del ministro francese dell’economia e delle finanze, Bruno Le Maire, mostra le alti dosi di testosterone bonapartista che si consumano a Parigi: in un’intervista al giornale tedesco Handelsblatt non solo ha appoggiato l’appello del suo presidente per un “vero esercito europeo”, ma ha rilanciato, dopo la reazione del presidente Trump, suggerendo che l’Ue dovrebbe andare oltre e diventare un impero per competere con Stati Uniti e Cina: “It’s about Europe having to become a kind of Empire, as China is. And how the US is”. “Non fraintendetemi – ha aggiunto – sto parlando di un impero pacifico, basato sui principi dello stato di diritto”. Vi lascio immaginare come possa essere presa dalle parti di Trafalgar Square la battuta di un ministro francese che parla di fare dell’Europa un impero…
In uno degli slanci d’ipocrisia a cui ci ha ormai abituati (sui migranti, per esempio, basti pensare ai porti e alle frontiere francesi sigillate), il presidente Macron ha inoltre voluto impartire lezioni in occasione delle celebrazioni per il centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Nel suo discorso ufficiale davanti ai leader, con il presidente americano Trump seduto davanti a lui, ha detto che “il patriottismo è l’esatto opposto del nazionalismo”, anzi che “il nazionalismo è un tradimento del patriottismo”, che “dicendo prima i nostri interessi, cancelliamo ciò che una nazione ha di più caro, i suoi valori morali”. Da che pulpito! Proprio la Francia, occorre riconoscerlo, è il Paese europeo che meglio degli altri, forse anche dei tedeschi, riesce da sempre ad anteporre i propri interessi in ambito comunitario. Da sempre, per Parigi, fin dai tempi di De Gaulle, il progetto europeo e l’europeismo hanno senso solo come cornice, il primo, e retorica il secondo, funzionali a restaurare la grandeur francese. Si va avanti, si accelera, se la Francia è protagonista e guida, altrimenti si frena (come nella difesa comune, finché c’era Londra). Nel linguaggio dei politici francesi, e Macron non fa certo eccezione, “Europa” ed “europeo” vanno sempre letti come termini in codice per “Francia”, “francese”. Soprattutto dopo Brexit si è ironizzato molto sulla nostalgia britannica per l’impero che fu, dimenticando che è nulla paragonata a quella francese.
Peccato che proprio grazie al nazionalismo americano, e a quello britannico, l’Europa è stata salvata per ben tre volte in un secolo: nel 1918, nel 1945 e nel 1989. Certo, c’è nazionalismo e nazionalismo. Quello francese e quello tedesco, che hanno provocato disastri. Poi, c’è il nazionalismo americano e quello britannico, che negli ultimi due secoli hanno impedito che l’Europa finisse soggiogata da imperi francesi, tedeschi o russi. Al contrario dei fascismi e dei nazionalismi basati sull’appartenenza etnica o razziale, il nazionalismo americano mette in secondo piano le linee di sangue ed esalta invece una storia e principi condivisi. Principi come il pluralismo, lo stato di diritto, le libertà individuali, il libero mercato e la libertà religiosa. “America First” non significa “America alone”, come provano i cimiteri di guerra sparsi in tutta Europa e ancora oggi, anche con Trump, le risorse e le vite americane impiegate all’estero.
Un “passo falso” quello di Macron per il politologo Walter Russell Mead, che ieri sul Wall Street Journal ha ricordato come non tutti i popoli europei hanno la stessa negativa esperienza con il nazionalismo di francesi e tedeschi. Per i quelli del centro e dell’est Europa che nel 1918 hanno riconquistato l’indipendenza, e che nel 1989 si sono liberati dal giogo sovietico, è strettamente legato alla causa della libertà. Trump può avere molti torti ma “su un grande tema ha ragione”:
“Il nazionalismo è un’importante tema nelle relazioni globali che i leader dovrebbero rispettare. Le sprezzanti dichiarazioni di Macron hanno portato buoni titoli, ma la sua incapacità di apprezzare il ruolo del nazionalismo nella politica mondiale esemplifica il fallimento di immaginazione alla radice di molti dei problemi dell’Europa… Il postnazionalismo è una fantasia occidentale, non un trend globale. Nessuna pace durevole può essere costruita su fondamenta così instabili”.
Ma purtroppo “queste convinzioni egocentriche sono talmente radicate nelle élite europee da essere spesso inconsapevoli”.
Invece di esprimere gratitudine, Macron ha preteso di impartire lezioni, quando la realtà è che la Francia, come gli altri Paesi dell’Europa occidentale, ha prosperato per decenni sotto l’ombrello della difesa Usa, pagato dai contribuenti americani. Sabato e domenica scorsi il presidente francese li ha ripagati proponendo un esercito europeo da contrapporre a Usa e Russia, e bollando il nazionalismo come “tradimento del patriottismo”, quando la lezione della storia mostra chiaramente che un nazionalismo ragionevole, innestato su principi liberali, non ha generato guerre e massacri, scatenati invece dagli appetiti imperialisti di stati multinazionali e nel contesto di sistemi multilaterali.