“Esportare la democrazia” unico mezzo per preservarla?

La Caput Mundi delle buche, delle voragini, della spazzatura e dei trasporti e un buco di bilancio di 13 miliardi di euro

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All’interno dell’agorà pubblica si osservano da anni dibattiti sulla necessità di migliorare le condizioni di vita nelle nazioni più deboli e povere, spesso sfruttate e rese colonie da stati con maggiore influenza geopolitica, esercitata a proprio vantaggio.

Una complessa dinamica che, con l’aggiunta di arretratezza sociale ed avvento di fondamentalismi politici e religiosi, rende tali territori completamente privi di ogni diritto e prospettiva positiva. Pertanto, l’interesse comune per i governi a capo delle grandi democrazie dovrebbe convergere nel tentativo di migliorare le condizioni di vita in questi luoghi.

Un esempio lampante può rappresentarlo la drammatica e recente vicenda dell’Afghanistan: aver abbandonato il Paese (attraverso modalità disastrose) ha permesso il ritorno al potere dei Talebani, con l’annullamento totale della lenta occidentalizzazione di cui gli abitanti stavano giovandosi. Inoltre, il disinteresse verso le condizioni pessime in cui versano tali popolazioni porta a ignorare anche il contesto in cui proliferano i movimenti terroristici.

Infatti, controllando ampi territori, nuclei di fondamentalisti jihadisti, finanziati e protetti soprattutto dal regime sciita al governo in Iran, hanno possibilità maggiori di organizzare attacchi terroristici. Emergenza di sicurezza che rischia di scatenare nuove ondate di sangue e terrore nelle città d’Europa, complice la leggerezza con cui spesso le istituzioni sottovalutano l’importanza di applicare maggiori controlli in ambito d’immigrazione. Tuttavia, è fondamentale lanciare un grido d’allarme sulla necessità di evitare che negli stati più deboli e poveri cresca l’influenza geopolitica dei rivali degli Stati Uniti e dell’Occidente, quali Russia e Cina. La presenza e gli investimenti di Pechino nel continente africano e nelle terre del Sudamerica ricche di minerali come il litio rischia di avvantaggiare in maniera decisiva il regime comunista nella corsa al dominio globale.

Eventualità da sommare alla crisi in atto al confine tra Russia ed Ucraina, dove la possibile invasione delle truppe di Mosca potrebbe scatenare reazioni da parte della Nato e dalla Casa Bianca che comporterebbero un pericoloso conflitto.

Anche in ragione di ciò, appare irrazionale il sentimento comune di gran parte della opinione pubblica, ostile al concetto di “esportazione della democrazia”. Espressione comune quanto imprecisa, concettualmente fondata su accuse di espansionismo spesso distanti dalla realtà, dettate dall’avversione all’Occidente, che espongono tutte le contraddizioni di chi le utilizza. In particolar modo è criticabile il modus operandi con cui molti tradiscono i propri slogan di uguaglianza e difesa dei diritti comuni. Un mix di politicamente corretto e moralismo da scagliare contro chiunque adoperi linguaggio ed esponga obiezioni ritenute dissonanti dalla narrazione mainstream. Eppure, spesso i principali watchdog di quest’ideologismo si dispongono criticamente contro chi auspica l’avvento della democrazia e della libertà in ogni Paese.

Traguardo quasi impossibile da raggiungere, ma verso cui tendere, onde evitare la supremazia di culture ed abitudini sociali per noi inaccettabili. Un auspicio dettato dalla convinzione che “l’esportazione della democrazia” sia probabilmente l’unico mezzo per preservarla.

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