In una dichiarazione di ieri, 20 luglio, il direttore della CIA, William Burns, si è detto convinto che la Cina Popolare sia ancora decisa a voler usare la forza contro la Repubblica di Cina, ovvero Taiwan, e la guerra in Ucraina non la dissuaderà: “La nostra sensazione è che non si tratta di se la Cina Popolare invaderà Taiwan ma di come e quando”, ha detto il numero uno dell’Agenzia parlando all’Aspen Security Forum.
La CIA è l’agenzia di informazione civile del governo federale degli Stati Uniti, facente parte della United States Intelligence Community, che rivolge la sua attenzione all’estero.
I piani di Pechino contro Taiwan
La minaccia a cui si riferisce la CIA non è velata e si prospetta come l’intenzione di Pechino di trasformare l’isola democratica di Taiwan in uno Stato di polizia, dopo una cruenta occupazione, attuando una repressione simile a quella in atto a Hong Kong.
Il Partito Comunista di Pechino da anni sta impegnando notevoli percentuali Pil nella costruzione di una potente organizzazione militare che, secondo le analisi degli esperti, è focalizzata all’acquisizione dei cosiddetti “pacchetti capacità militare” denominabili “Invasione” e “Occupazione”.
In questi anni la Repubblica Popolare ha messo sotto pressione, usando il suo soft power, molti Paesi dell’Indo-Pacifico, ma appare concentrata soprattutto su Taiwan, nella speranza che il governo di Taipei dichiari di rinunciare alla sovranità sull’isola a seguito delle pressioni economiche e delle intimidazioni militari.
Questo non significa, comunque, che Pechino non continui a prepararsi a risolvere la questione con l’uso delle armi, che avrebbe inizio con un massiccio attacco missilistico.
Invasione “sogno nel cassetto”
La minaccia è avvalorata anche dal fatto che dopo il riavvicinamento alla Russia di Putin, Pechino ha iniziato la preparazione del proprio strumento militare ad un conflitto marino e anfibio nello Stretto di Taiwan e nei mari circostanti. Pare proprio che un’invasione sia il “sogno nel cassetto” dei vertici militari di Pechino, indottrinati fin da giovani al raggiungimento dell’obiettivo: “mettere fine all’indipendenza della provincia ribelle di Taiwan”.
Oggi una invasione su larga scala non è più impensabile come un lustro fa, quando si riteneva che nessun capo del Partito Comunista Cinese si sarebbe spinto in tale impresa che, se fallimentare, avrebbe prodotto conseguenze enormemente negative per il regime di Pechino.
Atteso questo, negli ultimi anni le forze armate denominate Esercito di Liberazione del Popolo (PLA) hanno continuato, in cooperazione con il “sistema Paese” a investire in modo massiccio sulle capacità di inganno, le armi moderne, la guerra psicologica, le operazioni di intelligence e, per ultimo, sulle operazioni cibernetiche offensive.
Stop alla visita di Pelosi a Taiwan
Mercoledì il presidente americano Joe Biden, rispondendo ad una domanda dei giornalisti al seguito sull’eventualità che la Speaker della Camera Nancy Pelosi possa visitare l’isola ha rivelato che “l’esercito pensa che sia una cattiva idea”.
Secondo fonti giornalistiche Usa, la Pelosi avrebbe dovuto recarsi a Taiwan il mese prossimo, in quella che sarebbe stata la prima visita di una Speaker della Camera dei Rappresentanti nell’isola in 25 anni.
La rappresentante del Partito democratico Usa doveva recarsi a Taipei in aprile, ma la visita era stata rimandata. In particolare, bisogna ricordare che l’ultimo Speaker della Camera a visitare Taiwan è stato Newt Gingrich nel 1997.
La visita della Pelosi assumerebbe un importante significato in Occidente, perché molti analisti accusano Pechino di sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina e osservatori stanno seguendo da vicino le mosse della Cina Popolare nei confronti di Taiwan poiché Pechino, come messo ora in evidenza anche dalla CIA, potrebbe essere tentata di seguire la scia delle motivazioni utilizzate da Mosca per l’aggressione contro Kiev, anche se ostinatamente sostiene che le due situazioni non siano simili e comparabili.
La missione dell’aprile scorso della Pelosi era stata, come indicato, posticipata e la ragione che “sbloccò” la controversia diplomatica che si era aperta con Pechino anche in quella occasione, era stata di “origine cinese”.
Infatti, ironia della storia, la Speaker non si era potuta recare a Taipei perché ufficialmente positiva a quel virus che ha portato la pandemia in tutto il mondo per l’imperizia, per usare un eufemismo, della Cina Popolare: il Wuhan Virus o, per chi preferisce, il Covid-19 e le sue varianti.
Fin dove si spingerà Pechino?
In questa nuova occasione il Pentagono ha fatto trapelare il suo parere negativo perché Pechino raramente lascia senza risposta anche uno scambio di basso livello tra Stati Uniti e Taiwan. La domanda ora è fino a che punto si spingerà il governo cinese nel segnalare il suo disappunto per l’eventuale visita a Taipei della Pelosi.
Non solo il viaggio sarebbe il primo in un quarto di secolo, ma arriva in un momento delicato per XI Jinping, che sta cercando sostegno per governare per almeno altri cinque anni e non può permettersi di sembrare debole nel rispondere a ciò che Pechino vede come uno sforzo straniero per avvalorare la “diversità” di un pezzo del suo territorio.
Il presidente Joe Biden, dichiarando apertamente i suoi dubbi, fa riferimento all’ultima grande crisi di Taiwan nel 1995-96, quando la Cina Popolare lanciò missili in mare vicino ai porti taiwanesi e l’allora presidente Bill Clinton inviò nell’area due gruppi navali con le portaerei.
Per alcuni analisti dell’area la Cina Popolare farebbe qualcosa di simile in caso di visita. Le possibili risposte potrebbero essere per prime le incursioni di aerei da guerra. Negli ultimi anni aerei da guerra dell’Esercito Popolare di Liberazione hanno violato moltissime volte la zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan.
Analogamente, un’altra probabile risposta da parte di Pechino potrebbe essere anche quella di inviare aerei da guerra attraverso la linea mediana dello Stretto di Taiwan, una zona cuscinetto istituita dagli Stati Uniti nel 1954 per prevenire un conflitto tra Cina Popolare e Taiwan.
Infine, un test missilistico vicino a Taiwan sarebbe una delle azioni più provocatorie della Cina Popolare, come avvenne nell’estate del 1995, quando Pechino ordinò di lanciare dei missili nel mare vicino all’isola. La mossa faceva parte delle proteste per la decisione di Clinton di permettere al primo presidente democraticamente eletto di Taiwan, Lee Teng-hui, di visitare gli Stati Uniti.
Momento chiave per Xi
La situazione oggi è tesa anche perché, come indicato, il presidente Xi Jinping dovrà fare un’attenta valutazione e scegliere una risposta adeguata all’eventuale visita di Pelosi prima di un congresso chiave per lui e il Partito Comunista.
Da un lato, Xi ha bisogno di soddisfare i falchi interni con alcune azioni militari, ma dall’altro, le sue mosse non dovrebbero produrre una condanna internazionale proprio quando Pechino vuole essere al centro della risoluzione di non poche questioni economiche e diplomatiche.