Esteri

Business First: Berlino persevera nell’errore con la Cina

Scholz rompe il fronte occidentale con Pechino, la politica indipendente che Xi si aspetta. No al decoupling. Dal cancelliere le stesse parole d’ordine dell’era Merkel

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La visita del cancelliere Olaf Scholz a Pechino – con al seguito, come vedremo, il gotha dell’industria tedesca di quasi ogni settore – non dovrebbe passare in osservata a Bruxelles, tanto meno a Roma e Parigi, e soprattutto a Washington.

Scholz rompe il fronte occidentale

Scholz è il primo leader del G7 a recarsi in visita da Xi Jinping dall’inizio della pandemia e, ancor più significativo, il primo a omaggiare il leader comunista cinese appena (pochi giorni fa) incoronato “imperatore” dal XX Congresso del suo partito.

Importa poco cosa sia andato a dire, quanto esplicitamente abbia espresso le sue “preoccupazioni” per Taiwan, Hong Kong, o lo Xinjiang. Il valore simbolico, il tempismo della visita, prevalgono sui contenuti.

La guerra di Putin e l’asse tra Pechino e Mosca hanno aiutato Washington a coinvolgere maggiormente gli alleati europei nel contrasto alle ambizioni cinesi. La visita di Scholz va in controtendenza, fornendo un’apertura a Pechino, come hanno notato funzionari statunitensi citati dal Wall Street Journal. “L’agenda della Cina è dividere attraverso il commercio”.

Business First

Per comprendere la natura della visita basta dare un’occhiata ai brand che hanno accompagnato Scholz (o forse è stato il cancelliere ad accompagnare loro?). I vertici di Bmw e Volkswagen (automotive), Siemens (tecnologia, trasporti, energia), Bayer, Merck e BionTech (farmaceutica), Basf e Wacker (chimica), Deutsche Bank (finanza), Adidas (abbigliamento), Hipp (alimentazione biologica).

Un bilaterale quindi squisitamente industriale e commerciale, cioè esattamente quell’approccio che dopo i tragici errori della cancelleria Angela Merkel con la Russia, che ancora stiamo pagando a caro prezzo, tutti i leader europei, Scholz compreso, avevano assicurato di non voler ripetere con la Cina.

Lo ha bene esplicitato l’ex premier italiano Mario Draghi nella sua ultima conferenza stampa, proprio da Bruxelles:

“Quasi tutti i leader che sono intervenuti nella discussione sulla Cina hanno detto che non dobbiamo ripetere gli errori che abbiamo commesso con la Russia, non dobbiamo ripetere il fatto di essere stati indifferenti, indulgenti, superficiali nei nostri rapporti con Mosca. Quelli che da parte nostra sono rapporti di affari, di concorrenza, dall’altra parte sono parte di una regia complessiva del sistema cinese, quindi vanno trattati come tali”.

E cosa è andato a trattare Scholz a Pechino? “Business First”, come ha osservato anche il Wall Street Journal: nella sua visita a Pechino Scholz ha messo gli affari al primo posto.

Accordi commerciali e nuove aree di cooperazione, per riaffermare la relazione proprio nel momento in cui viene messa a dura prova dalla posizione più aggressiva di Pechino con l’Occidente e sebbene in Germania sia aumentata la pressione politica per ridurre la dipendenza economica dalla Cina.

La prova di indipendenza che Pechino aspettava

È la plastica dimostrazione che Berlino o non ha compreso la nuova epoca in cui siamo entrati dopo la pandemia e la guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina, con il processo di decoupling in atto, o deliberatamente vi si oppone, cerca di contrastarla, avendo in mente per la Germania (e per l’Ue) un ruolo da Paese “non allineato”, da “terzo polo”.

La visita di per sé è il segno, per alcuni osservatori, che il cancelliere è disposto a perseguire quella che Pechino chiama una “politica indipendente” rispetto agli Usa, anche contro il parere degli alleati occidentali e dei membri del suo stesso governo.

Scholz come Merkel

Ne troviamo conferma anche nell’intervento di Scholz su Politico.eu, intitolato “Non vogliamo il decoupling dalla Cina, ma non possiamo essere eccessivamente dipendenti”.

“La Germania cercherà la cooperazione laddove è nel nostro reciproco interesse, ma non ignoreremo nemmeno le controversie”, conclude il cancelliere. Esattamente le parole usate in passato a Berlino per descrivere il rapporto con la Russia e con la stessa Cina.

Ma non solo. Stesse identiche parole della ex cancelliera Merkel anche quando Scholz saluta l’emergere di “nuovi centri di potere in un mondo multipolare” e ribadisce la contrarietà della Germania “a vedere emergere nuovi blocchi nel mondo”. “Noi vogliamo stabilire ed espandere partnership con tutti“.

Risuona qui l’eco delle parole che usò, appunto, Angela Merkel nel respingere l’idea dell’amministrazione Biden, all’inizio del suo mandato, di una alleanza di democrazie nel confronto con la Cina.

Le contraddizioni di Scholz

L’intervento del cancelliere tedesco è paradossale, perché espone cinque “considerazioni”, come premesse del suo viaggio, tutte con una loro fondatezza, per giungere però a conclusioni che sostanzialmente le contraddicono.

Primo, osserva, non è la stessa Cina di dieci anni fa, l’ideologia marxista-leninista occupa ora uno spazio molto più preponderante. Secondo, con l’invasione russa dell’Ucraina il mondo è cambiato, riconosce il cancelliere: sono cambiati l’ordine internazionale, il nostro approvvigionamento alimentare ed energetico, l’economia e i prezzi in tutto il mondo.

Ma proprio sull’Ucraina Scholz offre un riconoscimento immeritato a Pechino: “In quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza, la Cina ha una responsabilità speciale. Le parole chiare rivolte da Pechino a Mosca sono importanti per garantire il rispetto della Carta delle Nazioni Unite e dei suoi principi”. Fin troppo generoso, se si considera che Xi ha reiterato l’impegno ad una partnership “senza limiti” con Vladimir Putin.

Dipendenze rischiose

Terzo, Berlino prende molto sul serio, assicura il cancelliere, le dichiarazioni di Xi Jinping circa l’intenzione di “rafforzare il mercato interno e ridurre le dipendenze da altri Paesi” e di utilizzare le tecnologie cinesi per “rafforzare la dipendenza delle catene di produzione internazionali dalla Cina”.

E a questo riguardo, aggiunge, il governo è impegnato ad aiutare le aziende a diversificare “laddove si sono sviluppate dipendenze rischiose, ad esempio per importanti materie prime, alcune terre rare o determinate tecnologie all’avanguardia”.

Eppure, non ci risultano ripensamenti sulla natura e i tempi della transizione verde, le scadenze estremamente ravvicinate della decarbonizzazione.

Anche con riguardo agli investimenti cinesi in Germania, il cancelliere prova a rassicurare: nulla che possa “creare o esacerbare dipendenze rischiose”. Criterio applicato dal governo federale, rivendica, nel caso della vendita di una partecipazione di un terminal del porto di Amburgo alla cinese Cosco. Eppure, non tutti in Germania si sono sentiti rassicurati.

No al decoupling

Scholz riconosce anche che “siamo lontani – troppo lontani – dalla reciprocità nelle relazioni tra Cina e Germania, sia per quanto riguarda l’accesso al mercato per le imprese, le licenze, la protezione della proprietà intellettuale o questioni di certezza del diritto e parità di trattamento per i nostri cittadini”.

Una questione centrale, ma anche qui il cancelliere se la cava come il suo predecessore, con la solita frase: “continueremo a insistere sulla reciprocità”, senza che ciò abbia mai portato a cambiamenti di rilievo nell’approccio predatorio di Pechino.

Insomma, taglia corto Scholz: “la Cina rimane un importante partner commerciale per la Germania e l’Europa, e noi non intendiamo sganciarci“.

Cooperazione e preoccupazione

Quarto, Scholz non manca di sollevare le questioni libertà civili e politiche, diritti delle minoranze etniche, ad esempio nello Xinjiang, e la “situazione tesa intorno a Taiwan”. Ma anche qui se la cava con la parola magica della vecchia era Merkel“preoccupazione” – stando bene attento a ribadire il rispetto della politica di “Una sola Cina”.

Quinto, ricorda che l’Ue ha descritto la Cina con i tre termini “partner, concorrente e rivale”, riconosce che “rivalità e concorrenza” si sono accresciute negli ultimi anni. Ma, avverte, “allo stesso tempo dobbiamo esplorare dove la cooperazione rimane nel nostro reciproco interesse“.

Peccato che in questi ambiti di cooperazione Scholz riconosca alla Cina un “ruolo cruciale” laddove gioca, semmai, un ruolo nefasto che è sotto gli occhi di tutti: dalla lotta contro le pandemie come il Covid-19, al sostegno ai Paesi altamente indebitati, che Pechino ricatta e soggioga, per concludere con la lotta contro il cambiamento climatico.

E qui raggiunge il ridicolo, osservando quanto sia “bello vedere che Pechino ha fissato obiettivi ambiziosi” nella riduzione delle emissioni e nell’uso delle rinnovabili, proprio mentre Pechino moltiplica le centrali a carbone.

Cambiare tutto perché nulla cambi

“Mentre la Cina cambia, anche il modo in cui trattiamo con la Cina deve cambiare”. Eppure, tutte le parole d’ordine usate da Scholz nel suo intervento su Politico.eu, come abbiamo via via notato, sono identiche al modo in cui Berlino ha trattato con la Cina fino ad oggi, coincidono con quelle dell’era Merkel.

In realtà, con questa visita Berlino sembra cercare di consolidare i suoi rapporti con Pechino per compensare la perdita dei rapporti con Mosca, causa forza maggiore, non comprendendo o fingendo di non comprendere che fanno parte dello stesso pacchetto.

Spera forse di cavarsela con qualche buffetto quando Pechino proverà a prendersi Taiwan?

Quanto insostenibile dal punto di vista geopolitico fosse il suo legame energetico (e non solo) con la Russia, e un modello economico basato sul gas russo, Berlino lo sta provando sulla sua pelle dopo l’invasione dell’Ucraina.

Anni fa avevamo segnalato come quanto più tardivo sarebbe stato il cambio di rotta di Berlino (e dell’Ue), tanto più doloroso sarebbe stato, più alto il conto da saldare. Sta avvenendo con riguardo ai rapporti con la Russia, rischia di ripetersi lo stesso schema con la Cina.

E vale per l’intera Ue, a partire dalle materie prime essenziali per raggiungere gli sciagurati obiettivi di decarbonizzazione: più tardivo sarà l’affrancamento dalle filiere cinesi, più sarà doloroso quando ciò diventerà inevitabile – e forse sarà troppo tardi.

Ora Berlino non vuole rinunciare a rafforzare i suoi rapporti commerciali ed economici con la Cina, ma non ha valutato che quel mondo che vorrebbe difendere con le unghie e con i denti è finito per volontà degli stessi cinesi.

Come ha spiegato più volte nei suoi articoli su Atlantico Quotidiano il prof. Michele Marsonet, e in parte riconosciuto anche da Scholz, per Pechino l’ideologia è tornata preminente sull’economia, quest’ultima sempre più strumentale alle sue ambizioni di dominio globale, gli stessi cinesi stanno accelerando il decoupling, riducendo la dipendenza della loro economia da esportazioni e importazioni con l’Occidente.