Crescono negli Usa le perplessità e le preoccupazioni per gli effetti delle sanzioni alla Russia decretate dal presidente Joe Biden. Le posizioni più critiche si manifestano ovviamente all’interno del Partito repubblicano, dove è in corso una dura lotta che vede coinvolti i seguaci di Donald Tump da un lato, e gli esponenti del vecchio establishment dall’altro.
Anche nel campo democratico, tuttavia, i dubbi sono consistenti. Riguardano non solo la sinistra estrema che ha come punto di riferimento Alexandria Ocasio-Cortez, ma pure esponenti moderati che, in teoria, dovrebbero essere vicini a Biden.
Le preoccupazioni di Rubio
Per quanto riguarda i Repubblicani, hanno fatto parecchio rumore le dichiarazioni di Marco Rubio, senatore della destra del partito, figlio di cubani anticastristi espatriati. Contese la candidatura a Trump ma, come tutti gli altri, fu battuto dal tycoon newyorkese, del quale divenne in seguito un fedele sostenitore.
Rubio ha parlato, come è solito fare, senza peli sulla lingua. Dopo la notizia dell’accordo tra il presidente brasiliano Lula e la Repubblica Popolare Cinese volto ad eliminare il dollaro negli scambi commerciali tra i due Paesi, ha rilasciato una dichiarazione preoccupata sul futuro degli Stati Uniti, e sulla loro capacità di poter penalizzare economicamente le nazioni che non si allineano alle direttive di Washington.
Rubio ha notato che il Brasile, il più grande Paese dell’emisfero occidentale, ha concluso un accordo commerciale con la Cina. Grazie ad esso, d’ora in poi Pechino e Brasilia effettueranno scambi commerciali con le loro valute, aggirando il dollaro.
Stanno insomma creando un’economia parallela nel mondo totalmente indipendente dagli Stati Uniti. “Tra cinque anni – continua il senatore repubblicano – non potremo più parlare di sanzioni, perché ci saranno così tanti Paesi che effettueranno transazioni in valute diverse dal dollaro che non avremo la possibilità di sanzionarli”.
La de-dollarizzazione
Si tratta della cosiddetta “de-dollarizzazione”, che dovrebbe preoccupare molto gli americani, mentre le autorità Usa non sembrano prenderla sul serio. Proprio per questo Rubio ha messo il dito nella piaga, invitando tutti a riflettere di più sull’argomento. L’influenza Usa nel mondo si basa in modo primario (anche se non solo) sulla forza della loro valuta, che viene utilizzata in pratica da tutti per le transazioni economiche internazionali.
Il quadro sta tuttavia cambiando rapidamente. Finora non si è concretizzata la proposta cinese di usare lo yuan come valuta base per i suddetti scambi. Ma è un dato di fatto che molte nazioni hanno cominciato a usare le loro valute aggirando il dollaro. Cina e India, per esempio, hanno deciso di utilizzare yuan e rupia, la Federazione Russa il rublo. Ciò significa che le sanzioni perdono gran parte della loro efficacia, che è già dubbia.
Usa e Ue hanno avviato un “balletto di sanzioni” destinate a colpire istituzioni, enti di ricerca e singoli individui. Non sono però efficaci come in Occidente si pensava e, al contrario, hanno scatenato la corsa a sostituire il dollaro. Effetto contrario a quello sperato, e tipico esempio di “conseguenza inintenzionale” delle azioni. Dal che si evince che Washington e Bruxelles dovrebbero avviare una seria riflessione sul rapporto costi/benefici, dal momento che i primi sembrano superare i secondi.
Occidente meno popolare
In realtà, al di fuori del blocco liberal-democratico capeggiato dagli Stati Uniti, l’Occidente sta diventando sempre meno popolare, mentre cresce il favore verso la politica estera “muscolare” praticata dalla Russia di Putin e dalla Cina comunista di Xi Jinping. Lo prova anche il sostanziale fallimento del “Summit per la democrazia” organizzato dal presidente Usa.
L’amministrazione Biden ha perduto di recente un alleato chiave per gli Usa come l’Arabia Saudita, che si è accordata con l’Iran khomeinista grazie alla mediazione di Pechino.
Traballano anche altri alleati un tempo fondamentali come la Turchia di Erdogan, e nazioni importanti dell’America Latina quali Brasile, Argentina e Messico. Per non parlare dell’India di Narendra Modi, sempre in bilico tra Occidente e Oriente, ma pure attentissima alle relazioni politiche ed economiche con le autocrazie.
Probabilmente il caso tragico di Hong Kong ha ingannato tutti, inducendo a credere che le opinioni pubbliche dei Paesi dominati da regimi illiberali fossero pronte a scuotere il giogo e ad abbracciare la democrazia liberale. Non è così, purtroppo. Abbiamo scordato che nella ex colonia britannica gli inglesi avevano lasciato i semi del multipartitismo e dello stato di diritto. Occorre quindi pensare a nuove strategie per evitare il crescente isolamento occidentale.