Dalla sola scenografia si può capire molto del trilaterale di ieri a Pechino tra il presidente cinese Xi Jinping, il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.
In questa foto, pubblicata sul profilo Twitter della cancelliera di Bruxelles, si intuisce subito chi sia l’imperatore e chi siano i questuanti, giunti dalle province più remote dell’impero. Almeno pare questa la rappresentazione che ne ha voluto dare la dirigenza cinese, il che è già di per sé molto indicativo.
Ma al di là degli aspetti scenografici, è importante inquadrare correttamente questa visita congiunta di Macron e Von der Leyen alla corte di Xi, un formato tra l’altro anomalo, di cui andrebbe chiesto conto ai protagonisti.
La farsa della “mediazione” cinese
Sarebbe sbagliato giudicarla alla luce delle aspettative – molte alte tra i commentatori europei, e in particolare italiani – sulla fantomatica “mediazione”, o “piano di pace” cinese per l’Ucraina, e troppo facile sarebbe parlare di fallimento, dal momento che Xi Jinping non si è mosso di un millimetro dalla sua posizione.
Vi pare possibile volare a Pechino per chiedere a Xi di telefonare al presidente ucraino Zelensky, per sentirsi rispondere che è sì disponibile a parlarci, ma a tempo debito, quando ci saranno le condizioni?
Se la guerra in Ucraina non è stata un mero specchietto per allodole (in questo caso il pubblico europeo), poco ci manca.
Ovviamente, recandosi a Pechino, Macron e Von der Leyen non potevano fare a meno di parlarne, reiterando stancamente a Xi la richiesta di esercitare pressioni su Vladimir Putin per indurlo a fermare le sue truppe e ad aprire un negoziato, e avvertendo che un aiuto militare, diretto o indiretto, da parte cinese alla Russia “danneggerebbe in modo significativo la nostra relazione”.
Ma il presidente cinese non ha spostato di una virgola la sua posizione sull’Ucraina, non concedendo alcun gesto di disponibilità ai suoi interlocutori. Anzi, nelle sue dichiarazioni alla stampa non ha citato né la parola “guerra” né la parola “Russia”.
Xi è tornato a ribadire sia il “rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i Paesi”, sia la considerazione delle “legittime preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti” e l’esigenza di “favorire un ordine di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile” – una formula che sta a indicare il pieno sostegno di Pechino alla sfida revisionista di Mosca all’ordine esistente in Europa, l’ordine Nato/Usa.
L’autonomia strategica
D’altra parte, ormai da anni i vertici cinesi non mancano di farlo presente alle controparti europee ad ogni occasione: Pechino non solo si aspetta dagli europei posizioni “indipendenti” sulla Cina, ma “sostiene l’Europa nel raggiungimento dell’autonomia strategica” (dagli Stati Uniti), avvertendo che “la relazione Cina-Europa non può essere sottoposta o controllata da terze parti” (sempre gli Usa).
Insomma, obiettivo di Pechino è sganciare l’Europa dagli Usa. Dunque, capite bene che chiunque si aspetti, o auspichi un ruolo da mediatore di Pechino nel conflitto in Ucraina o è ingenuo o in malafede.
La Cina è parte in causa, è nel suo interesse che la Russia riesca a scalfire l’ordine Nato in Europa e a tenere un fronte aperto che costringa Washington a impegnare risorse politiche, militari e finanziarie nel Vecchio Continente, perché ciò significa minori risorse impegnate nell’Indo-pacifico.
La risposta europea agli ammiccamenti cinesi, sia sulla guerra in Ucraina che sull’autonomia strategica, dovrebbe essere un chiaro “no, grazie”. Invece, il messaggio recapitato a Pechino dal presidente francese e dalla presidente della Commissione, non si sa bene se a nome di tutti i 27 Stati membri, va purtroppo proprio nella direzione auspicata da Xi.
L’Europa, ha risposto Macron davanti alla stampa, “sta costruendo un’autonomia strategica al servizio di un progetto comune, gemello dell’indipendenza francese. Con la Cina il nostro approccio si basa soprattutto su una maggiore reciprocità, nell’ottica di raggiungere un nuovo equilibrio”.
“Non possiamo perdere la Cina”
Mentre la Von der Leyen ha chiarito che l’Ue non intende tagliare i ponti con la Cina, dopo aver dovuto – molto a malincuore – far saltare quelli con la Russia.
Perfetta la sintesi di Politico.eu di qualche giorno fa: “Non possiamo perdere la Cina”, dicono i leader Ue, che si stanno precipitando ad acquistare biglietti aerei per Pechino. “China is not perfect, but we might need it one day”, ha spiegato un funzionario Ue, aggiungendo che “diversi Stati membri condividono questa valutazione”.
E quel giorno sembra essere già arrivato. Il pericolo l’avevamo visto arrivare da tempo su Atlantico Quotidiano: l’Ue è passata dalla dipendenza dalla Russia per il gas naturale alla dipendenza dalla Cina per le materie prime e le componenti necessarie alla transizione green. Ossessionati dal millenarismo gretino, siamo lanciatissimi verso gli obiettivi di decarbonizzazione, ma come è noto le materie prime e i prodotti necessari sono quasi interamente sotto il controllo monopolistico della Cina.
A rischio la transizione green
Senza le batterie elettriche e i pannelli solari cinesi (il 90 per cento delle forniture), la transizione green si ferma. Come riportava qualche giorno fa il Financial Times, la scarsità di litio (e i prezzi in Europa già cinque volte quelli cinesi) minaccia l’auto elettrica europea.
Oltre ai danni economici e sociali di una decarbonizzazione a tappe forzate senza motivazioni scientifiche e nemmeno le tecnologie, un vero e proprio salto nel buio, la beffa di una nuova dipendenza, insostenibile dal punto di vista geopolitico com’era la dipendenza dalla Russia.
Il problema è che Pechino sta già facendo leva sulla nostra dipendenza e sta introducendo dei limiti all’esportazione di questa categoria di prodotti, come rappresaglia per l’embargo promosso da Washington e alcuni alleati sull’esportazione di microchip avanzati verso la Cina, di cui abbiamo parlato in un recente articolo.
Decoupling sì, ma dagli Usa
Dunque, altro che guerra in Ucraina e “mediazione” cinese, questo è il tema in primo piano a Pechino. Macron e Von der Leyen sono andati da Xi per rassicurarlo che l’Europa non intende seguire gli Usa in questa guerra commerciale dai risvolti però, come si può facilmente intuire, strategici.
A Pechino la presidente Von der Leyen ha affermato che il “decoupling”, il disaccoppiamento delle catene di valore e quindi delle economie, “non è una soluzione praticabile né desiderabile”. Decoupling che invece gli Stati Uniti, almeno in alcuni settori strategici, come abbiamo visto, sta portando avanti con molta decisione.
Insomma, il disaccoppiamento c’è, ma da Washington. Tant’è che Xi ha avuto buon gioco a prendersi beffe di Biden (e del suo ospite Macron), affermando davanti alla stampa che “Cina e Francia continueranno a… opporsi alla mentalità da Guerra Fredda e al confronto tra blocchi, unendo le forze per affrontare tutti i tipi di sfide globali”, in un chiaro riferimento polemico alle politiche Usa.
VDL già in ginocchio
Come aveva segnalato qualche giorno fa, in completa solitudine, Daniele Capezzone su La Verità, “prim’ancora di mettere piede a Pechino” insieme a Macron, la Von der Leyen era “già in ginocchio”. In un discorso al Mercator Institute for China Studies, un think tank tedesco focalizzato sulla Cina, aveva già anticipato di non ritenere “percorribile, né nell’interesse dell’Europa sganciarsi dalla Cina e per questo motivo dobbiamo concentrarci sul derisking, non sul decoupling“.
Certo, l’Ue non farà mai mancare qualche dichiarazione di principio, in questo è bravissima, e non sono mancati a Pechino tre warning molto educati della presidente Von der Leyen su Taiwan, diritti umani e Russia, ma su ciò che più interessa alla leadership cinese l’apertura è sostanziale: “Credo che dobbiamo lasciare spazio a una discussione su un partenariato più ambizioso e su come rendere la concorrenza più equa e disciplinata”.
Rivale strategico, non solo commerciale
Innegabili, infatti, gli squilibri: il deficit commerciale Ue con la Cina più che triplicato in dieci anni, l’assoluta mancanza di reciprocità, le pratiche sleali cinesi, il deterioramento nell’accesso delle aziende europee nel mercato cinese.
L’accordo sugli investimenti Ue-Cina (CAI) congelato dal Parlamento europeo deve essere “rivisto”, “molte cose sono accadute da quando l’abbiamo negoziato”, ha spiegato la Von der Leyen, che tuttavia a precisa domanda si è rifiutata di darlo per morto.
Ecco cosa intendiamo, quando sosteniamo che l’Ue sta commettendo con la Cina lo stesso identico errore commesso con la Russia. Dalle parti di Bruxelles, ma anche in altre capitali, si continua a vedere in Pechino al massimo un competitor commerciale, che certo gioca sporco e va confrontato, ma non un rivale strategico, una minaccia alla sicurezza e all’ordine internazionale.