Il noto autore del romanzo “Soumission”, che narra di una Francia sottomessa all’islam, testo che per una inquietante coincidenza è stato pubblicato nel giorno dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo, a fine dicembre si è confrontato in una lunga intervista su Front Populaire con il filosofo Michel Onfray.
Resistenza
Parlando di islam, Michel Houellebecq ha affermato che “le persone si armano. Si procurano dei fucili, seguono corsi nei poligoni di tiro. E non sono delle teste bruciate. Quando interi territori saranno sotto il controllo islamico, penso che si verificheranno degli atti di resistenza. Ci saranno degli attentati e delle sparatorie nelle moschee, nei caffè frequentati dai musulmani, insomma dei Bataclan al contrario”.
Parole dure che gli sono costate una denuncia da parte della Grande Moschea di Parigi per incitamento all’odio. Hafiz, il direttore della moschea ha replicato che “queste frasi lapidarie di Houellebecq sono inaccettabili. Non intendono far luce su alcun dibattito pubblico ma fomentare discorsi e atti discriminatori“. Parole condivise dal sindaco socialista di Parigi, che ha subito preso le difese dei musulmani.
Non una fantasia di Houellebecq
Jean-Baptiste Noé, in un articolo pubblicato su Limes (1/2018), mostrava la progressiva crescita del rilascio delle licenze di caccia e l’aumento degli iscritti alla Federazione francese di tiro.
Non solo, sono aumentate anche le organizzazioni di sicurezza, come i Voisins vigilants et solidaires (Vicini vigilanti e solidali), passati dai 50 mila nuclei familiari aderenti del 2013 ai 250 mila del 2016 in ben 500 comuni. Segno sempre più evidente che i cittadini non si sentono tutelati dallo Stato.
Patrick Calvar, ex capo del DGSI (i servizi segreti interni), nel 2016 affermò che la Francia è “sull’orlo di una guerra civile”.
Due anni dopo, l’ex ministro dell’interno Gérard Collomb, uomo di sinistra, in un’intervista al settimanale Valerus Actuelles, alle domande sugli immigrati in Francia ha affermato che la situazione sul piano della sicurezza “è molto inquietante. Quello che leggo ogni mattina nei rapporti di polizia riflette una situazione piuttosto pessimistica. Le relazioni tra le persone sono molto difficili, le persone non vogliono vivere insieme”. E ancora: “Direi che da qui a cinque anni la situazione potrebbe diventare irreversibile“.
La stessa preoccupazione è stata espressa nel 2021 da generali a riposo, che in una lettera aperta al presidente Emmanuel Macron parlavano chiaramente di “guerra razziale”.
La situazione in Francia è davvero tesa. Il pericolo che la mancata (impossibile?) assimilazione dei musulmani sfoci in violenza è un’opinione condivisa trasversalmente e non è la fantasia di estremisti di destra come qualcuno vorrebbe far credere.
Prima la sharia
L’attuale inquilino dell’Eliseo ha espresso le sue preoccupazioni nell’ottobre del 2019, dicendo che “manifestazioni separatiste in alcune parti della nostra Repubblica, sintomatiche della mancata volontà di vivere insieme, a nome di una religione, l’Islam”.
Dopotutto, da un sondaggio di fine 2020 di Le Point è emerso che per il 57 per cento dei giovani musulmani residenti in Francia la sharia viene prima dei valori della Repubblica. Sfatata un’altra illusione – autodistruttiva – dei progressisti: col passare delle generazioni gli immigrati musulmani non diventano un tutt’uno con gli autoctoni.
Un bivio inquietante
Sottomissione o guerra civile-etnica, al netto dell’imponderabilità della storia, pare sia questo l’inquietante bivio che sta prendendo forma davanti al popolo francese.
Abbiamo solo una certezza: la situazione in Francia evidenzia gli errori che non dobbiamo commettere. Riusciremo a capirlo prima che sia troppo tardi anche per noi?