In Russia Maria Lvova-Belova è conosciuta come Commissario per i diritti dei bambini, un mandato conferitole direttamente da Vladimir Putin cinque mesi prima dell’inizio della guerra. In Ucraina, invece, il suo nome è associato ai sequestri e alle deportazioni di minori, che sono diventati con il tempo uno dei crimini contro l’umanità più odiosi e allo stesso tempo più sottaciuti dell’invasione russa.
Chi è Maria Lvova-Belova
Maria Lvova-Belova è sposata dal 2003 con un pope della Chiesa ortodossa, ha cinque figli naturali e diciassette adottivi, tra cui un ucraino. La sua organizzazione caritativa Penza (dal nome della località a 600 chilometri da Mosca in cui è nata) si occupa ufficialmente di assistenza a minori disabili e, per i suoi meriti sociali, è stata insignita del titolo di senatrice della Federazione russa tramite decreto del governatore della sua regione.
La sua stella è in ascesa nel sistema di potere putiniano, dal momento che gode dei favori del presidente in persona e delle alte sfere ortodosse, da cui riceve finanziamenti e incarichi.
Russificazione forzata
Dall’inizio del conflitto migliaia di bambini sono stati sottratti ai loro genitori e deportati con la forza in territorio russo o in aree dell’Ucraina sotto il controllo degli occupanti, soprattutto nel Donbass. Secondo il governo di Mosca e le organizzazioni che gestiscono questo traffico, si tratta di minori abbandonati o che hanno perso i genitori, orfani di guerra di cui le istituzioni si fanno carico.
In realtà, come confermato di recente da un’accurata inchiesta dell’Associated Press, molti di loro sono stati sequestrati, prelevati dalle famiglie di appartenenza e trasferiti in Russia, dove associazioni come quella di Maria Lvova-Belova si occupano di destinarli alle nuove famiglie, dopo aver espletato le procedure per la cittadinanza.
Un programma di russificazione forzata dei figli dell’Ucraina, che ricorda le pratiche dei generali della dittatura argentina e il progetto Lebensborn della Germania nazista.
I numeri
Le cifre ballano, come sempre in questi casi e ancor di più in mezzo alla fog of war, ma anche considerando le stime più prudenti le dimensioni del crimine appaiono in tutta evidenza. Children of War stima che, al momento, i minori deportati di cui si ha conoscenza superino gli 8.000, a cui vanno aggiunti più di 200 desaparecidos (e oltre 400 morti).
Già a marzo la stessa Lvova-Belova riconosceva che erano stati dati in adozione 1.050 “orfani”, mentre il governo di Kyiv eleva la cifra a diverse decine di migliaia.
La vicenda non è nuova. Già nel 2014 le autorità ucraine denunciarono alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo il rapimento di 80 bambini nell’oblast di Lugansk e di una trentina in Crimea. L’aggressione russa cominciata lo scorso febbraio e, soprattutto, la caduta e l’urbicidio di Mariupol hanno drammaticamente accelerato il processo.
È proprio dalla città martire di questa guerra che sono partite le deportazioni massive di minori, associate al trasferimento delle loro famiglie nei famigerati “campi di filtraggio”.
Il traffico dei minori
Centinaia di bambini, tra maggio e giugno, persero il contatto con i loro genitori e intrapresero il cammino forzoso verso la città russa di Taganrog (che diede i natali a Cechov) e altre località (Tyumen, Irkutsk, Krasnodar, Kemerovo, Altai).
Una data chiave fu il 25 maggio, giorno in cui Putin firmò il primo decreto per facilitare l’ottenimento della cittadinanza russa alle persone procedenti da Donetsk e Lugansk, cui fece seguito un secondo provvedimento del 30 maggio che estese la misura alle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia.
Volendo tentare una ricostruzione essenziale, il traffico di minori si svolge attraverso i seguenti passaggi: sottrazione delle vittime alle rispettive famiglie da parte delle truppe di occupazione; sistemazione provvisoria in “orfanotrofi” nei territori controllati; trasferimento a centri di smistamento in territorio russo (Rostov, su tutti); presa in carica da parte di organizzazioni “assistenziali” di concerto con il governo, come quella di Maria Lvova-Belova; individuazione delle famiglie di adozione a cambio di un corrispettivo in denaro (da 300 a 2.500 euro, a seconda dei casi); assegnazione e trasferimento definitivo.
Segnale di genocidio
Un sistema formalmente alieno ai canali ufficiali del sistema statale, ma approvato e finanziato dal Cremlino (e dalla Chiesa ortodossa). Secondo quanto dichiarato dalla stessa Lvova-Belova, Penza ripartirà i bambini ucraini in 13 regioni della Federazione russa.
La Convenzione di Ginevra stabilisce che il trasferimento coatto di minori da una zona di guerra è da considerarsi un crimine di lesa umanità. In ogni caso la russificazione forzata dei deportati presenta i connotati del tentativo di cancellazione dell’identità nazionale delle vittime, uno dei segnali inequivocabili del genocidio.
Un crimine nel crimine – da inserire nel contesto più generale della politica di deportazione di interi nuclei familiari che sembra abbia coinvolto finora quasi un milione di persone – di cui Putin e il suo entourage dovranno essere chiamati a rispondere davanti a una corte penale internazionale.