Esteri

Le guerre del gas e del grano, ecco perché il tempo è dalla parte di Putin

Una “guerra congelata”, una divisione territoriale de facto dell’Ucraina, sarebbe ottimale per Mosca e accettabile dai governi europei in piena crisi energetica autunnale

Esteri

Se sul piano militare la guerra in Ucraina sembra andare verso uno stallo, come abbiamo cercato di spiegare in questo articolo, dal momento che Mosca sembra aver raggiunto il culmine delle sue capacità offensive, ma Kiev non sembra in grado di riconquistare i territori persi, anche il contesto geopolitico del conflitto va visto con la dovuta attenzione e ci dice che qui il tempo potrebbe giocare a favore di Putin.

Il gioco di Putin con Turchia e Iran

La scorsa settimana, in un vertice a Teheran, Putin ha incontrato il presidente turco Erdogan e il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khameini. Lo scopo immediato di Putin era avvicinare la Turchia sia a Mosca sia ad un gruppo antioccidentale e quindi limitare il sostegno di Ankara a Kiev. A medio termine Putin vorrebbe unirsi a Iran e Turchia per dividere sia la regione del Mar Nero sia la regione del Mar Caspio in tre sfere di rispettiva influenza.

Se Putin riuscisse nell’intento, sarebbero solo guai per la Nato e l’Occidente. Durante l’incontro di Teheran, Erdogan non ha sciolto tutti i dubbi in merito alla sua volontà di “congelare” o meno l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato e sembrerebbe sia in questi giorni aperto al miglior offerente. Se accadesse veramente ci sarebbe anche ulteriore impulso ai vari obiettivi di guerra di Putin in Ucraina, quali il ristabilimento della Nuova Russia (Novorossiya), il controllo del granaio ucraino a ovest del fiume Dnipro e la sottomissione politica di Kiev.

L’accordo sul grano ucraino

Inoltre, venerdì scorso, Russia e Ucraina hanno firmato a Istanbul un accordo disgiunto mediato dalle Nazioni Unite per consentire a Kiev di riprendere le esportazioni di grano dai porti ucraini bloccati. L’accordo non dovrebbe essere visto come un segno che la Russia stia moderando la sua posizione, ma piuttosto che è Mosca a decidere quando l’Ucraina può esportare cibo vitale per i popoli in via di sviluppo, e quando no.

La Russia è il più grande esportatore di grano al mondo, controllando circa il 18 per cento del mercato. Se riuscisse a controllare le esportazioni di grano ucraine, occuperebbe oltre il 25 per cento del mercato mondiale. Data l’importanza di questa materia prima per molti Paesi più poveri, il controllo del grano ucraino ha per la Russia un valore geopolitico che supera di gran lunga qualsiasi valore di mercato.

Erdogan, nel puro stile utilitaristico che contraddistingue la sua politica estera, si “è dato da fare” perché pare che almeno venti delle navi interessate al trasporto del grano, e bloccate per ora nei porti ucraini, siano turche o battano bandiera turca.

La guerra del gas

Spostando l’attenzione verso nord si evidenzia come il mese scorso la Russia abbia chiuso nuovamente il gasdotto Nord Stream per una ulteriore “manutenzione” e ora funzionerebbe ancora solo al 30-40 per cento della capacità. Il messaggio a Berlino, l’unica capitale europea che conta per Mosca, è che la Russia può chiudere gran parte dell’economia tedesca e del resto d’Europa.

Il vero prezzo della Ostpolitik dell’ex cancelliera Angela Merkel sta diventando clamorosamente evidente, perché i problemi veri si paleseranno in autunno, quando le temperature scendono e Berlino dovrà decidere cosa è più importante: alimentare l’industria o riscaldare le case.

Conseguentemente, Mosca non crede che la Germania, o addirittura la Francia e Italia, siano profondamente impegnate nella difesa dell’Ucraina o che gran parte della popolazione dell’Europa occidentale sarebbe disposta a sopportare il razionamento del gas per il bene dell’Ucraina e purtroppo potrebbe avere ragione.

Il sostegno della Germania a Kiev è stato nella migliore delle ipotesi molto tiepido, mentre l’appello della Francia affinché la Russia non venga “umiliata” in Ucraina è in realtà una metafora di pacificazione. La crisi di governo in Italia quantomeno limiterà la capacità di supporto di Roma. Di conseguenza, Mosca crede che il tempo sia dalla sua parte e che non avrà bisogno di iniziare i negoziati non prima della metà del 2023, quando la situazione strategica regionale sarà probabilmente a suo favore.

Ricordo che molti dei gasdotti essenziali al rifornimento di gas russo in Europa occidentale corrono sotto il territorio ucraino ma, per ora, funzionano regolarmente nonostante la guerra in superficie. Un paradosso geopolitico economico evidente.

Il dilemma dei Paesi Nato

I Paesi Nato si trovano quindi di fronte a un difficile dilemma, cioè se l’Alleanza che sostiene l’Ucraina dal 24 febbraio ce la farà a sopravvivere all’inverno. In effetti, dovrebbero decidere collettivamente cosa danneggerebbe la Russia senza far saltare in aria la coalizione.

I limiti degli aiuti militari

Per ora, la decisione degli Stati Uniti di fornire F-16 statunitensi alla Polonia in modo che Varsavia possa trasferire i Mig-29 in Ucraina è un passo avanti importante e va accolta favorevolmente, se confermata. Per ribadire, la fornitura di sistemi d’arma avanzati e l’addestramento dei riservisti ucraini è vitale per consentire a Kiev di rimanere in battaglia. Tuttavia, ci sono limiti alla quantità che può essere fornita e agli effetti che avranno gli aiuti, non da ultimo a causa del degradarsi delle scorte di armi e munizioni vitali per le forze alleate.

Sanzioni più severe

La sola cosa che danneggerebbe ulteriormente la Russia sarebbe rafforzare l’unità di intenti e sforzi Nato e aumentare significativamente i costi delle sue azioni. Se l’Occidente non intende impegnarsi direttamente nella guerra, oltre alle spedizioni di armi e munizioni, e all’addestramento delle forze ucraine, saranno necessarie sanzioni molto più severe, insieme ad un’azione diplomatica molto più decisa. Ad esempio, pare che le sanzioni sui componenti elettronici stiano già impedendo alla Russia di aumentare la produzione di sistemi d’arma avanzati.

La Cina

Fondamentalmente, la Cina Popolare non ha finanziato nuovi progetti infrastrutturali in Russia per diversi mesi. Non solo Pechino sta affrontando una crisi economica indotta dalla “sua” pandemia, ma molte imprese cinesi sembrano preoccupate di subire danni dagli effetti secondari delle sanzioni contro Mosca. Nonostante tutta la retorica sul partenariato strategico cinese-russo, è il mondo democratico a rendere la Cina Popolare ricca e potente, non la Russia.

Anche gli attuali sforzi diplomatici per convincere i Paesi africani e mediorientali a condannare l’invasione devono essere intensificati insieme a una strategia per alleviare la dipendenza di molti di loro dal grano russo e ucraino.

Il rischio di una “guerra congelata”

Ma soprattutto, se i leader europei sono davvero convinti riguardo al loro sostegno al popolo ucraino, dovranno preparare adeguatamente i loro connazionali ad affrontare le difficoltà imminenti per fare a meno delle forniture russe di petrolio e gas.

In caso contrario, ci si può aspettare una sorta di “guerra congelata” in Ucraina che porterebbe ad una divisione territoriale de facto, ottimale per Mosca e quasi certamente accettabile dai principali governi europei in crisi energetica autunnale.

A fine luglio 2022 sembrerebbe proprio che non ci sia una soluzione politica in vista. L’Ucraina potrebbe ancora non perdere del tutto e rovinosamente questa guerra, ma la vera domanda non è di cosa potrebbe accontentarsi il presidente Zelensky per non dichiarare “fallimento”. Ricordiamoci che siamo ad un anno circa dal fallimentare epilogo delle operazioni in Afghanistan.

Iscrivi al canale whatsapp di nicolaporro.it
la grande bugia verde