Esteri

Tetto al prezzo del gas: ecco perché è una farsa propagandistica

Un balletto per far credere che qualcosa si sta facendo: le proposte italiane, quelle di Bruxelles, i “nein” tedeschi e alcune alternative praticabili ma ignorate

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La crisi energetica morde ed è in corso un dibattito circa le eventuali soluzioni. In particolare, mercoledì la baronessa Ursula Von der Leyen ha tenuto un discorsetto contenente cinque generiche proposte agli Stati membri.

Venerdì, i ministri dell’energia (TTE Energy Council) ne hanno presa visione in modo piuttosto interlocutorio … come si evince dal sunto ufficiale, ben diverso dalla stravagante sintesi offerta dal ministro Roberto Cingolani; la settimana prossima la baronessa dettaglierà meglio le proprie proposte. Cercheremo qui di raccapezzarci.

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Le proposte italiane

Partiamo dalle proposte italiane, che sono tre come le abbiamo viste presentate dall’ambasciatore Giampiero Massolo.

I soldi di Washington

Massolo vuole, anzitutto, che Washington finanzi degli sconti sul prezzo del gas LNG. Accadrà? Manco a parlarne.

Secondo Scaroni, “quando, in sede Nato, si è deciso di percorrere la strada delle sanzioni, al tavolo c’erano Paesi molto diversi: qualcuno, come gli Usa e la Norvegia, da certe strategie ha solo da guadagnare, altri invece ci rimettono moltissimo”. E lo dice il Deputy Chairman di Rothschild & Co..

Se Washington non ne fosse felice, il segretario generale della Nato Stoltenberg non potrebbe scrivere le parole che scrive: noialtri alleati della Nato “paghiamo un prezzo per il nostro sostegno all’Ucraina. Ma il prezzo che paghiamo viene contato in dollari, euro e sterline, mentre gli ucraini pagano con la vita” … e va bene, ma i norvegesi lo incassano.

Jens Stoltenberg, già due volte primo ministro della Norvegia, cioè della nazione per la quale la crisi energetica è manna dal cielo; nonché in procinto di diventare governatore della Banca centrale di quel Paese, cioè l’istituzione principale beneficiaria di quella manna. Continua, “winter is coming and it will be hard”, dando per scontato che “la nostra unità e solidarietà saranno seriamente messe a dura prova … con la minaccia di tagli energetici, interruzioni e forse anche disordini civili”.

Con tanti saluti all’ambasciatore Massolo.

Il tetto al prezzo di tutto il gas

Massolo vuole pure che Bruxelles adotti “un regime del tetto del gas che non sia diretto solo verso Mosca, ma verso tutti i produttori”. Accadrà? Manco a parlarne.

La baronessa proporrà sì agli Stati membri un tetto al prezzo, ma del solo gas russo. Concetto venerdì ribadito dal cancelliere Scholz in persona: un tetto al prezzo di tutto il gas “è qualcosa che esula dalla giurisdizione dell’Unione europea … le soluzioni non sono così ovvie come sembrano ad alcuni e penso che dobbiamo davvero lavorarci ancora molto”.

Con rinnovati saluti all’ambasciatore Massolo.

La baronessa non lo ha detto, ma pare si tratterebbe del solo gas russo importato via gasdotto. Infatti, la Francia intende difendere le proprie importazioni ed ha fatto notare la differenza fra la elasticità delle navi gasiere e la rigidità dei gasdotti: “se limitiamo il prezzo dello LNG, ma altri Paesi come il Giappone e la Corea del Sud non lo fanno, semplicemente lo LNG andrà a loro e non a noi”.

Si tratti anche solo dei gasdotti, al solo annuncio Vladimir Putin ha già reagito prolungando la chiusura del gasdotto Nord Stream 1. Ancorché tenendosi sul vago, ha pure anticipato che, di fronte ad una eventuale implementazione di un tetto al gas, reagirebbe denunciando la violazione dei contratti ed interrompendo pure le restanti forniture che passano da quei 2/3 dei gasdotti ucraini ancora aperti.

Ma senza poter dirigere quel gas altrove: sicché, il mondo si troverà con meno gas e l’Europa finirà per pagare ancora più caro. E il mitico tetto otterrà l’effetto esattamente contrario a quello che ufficialmente si prefiggeva.

Bene per gli Stati Uniti. Al di là del vantaggio commerciale, l’interruzione totale delle forniture russe costituisce l’obiettivo di guerra americano: la guerra economica permanente alla Russia. Come lo avevamo descritto fin da febbraio.

E come lo descrive lo stesso Stoltenberg: sì, “gli alleati della Nato si impegnano a rispettare il diritto di ogni nazione a scegliere il proprio destino” … vabbé; sì, “la Russia potrebbe rischiare un’ulteriore aggressione contro altri vicini e persino un attacco agli alleati della Nato” … di nuovo vabbè; ma, più seriamente: “le nostre nazioni stanno cogliendo questa opportunità per liberarsi definitivamente dal ricatto energetico russo”.

Bene per gli Stati membri che ricevono pochissimo gas russo (Baltici e Portogallo). Male per alcuni dell’est, come l’Ungheria che continua a ricevere molto gas russo via TurkStream e al tetto si oppone.

Male pure per Austria, Repubblica Ceca e Germania, che ancora ricevono gas dalla Russia e che imperativamente vogliono tenersi le mani libere per riceverne assai di più, non appena sarà possibile aprire Nord Stream 2 (la cui società proprietaria, giovedì, ha rinviato di altri quattro mesi la propria liquidazione). Pur adducendo (sia Habeck al vertice che Scholz a Berlino) generiche scuse riguardo una vaga necessità di tutelare non meglio identificati Stati membri asseritamente in situazione particolare.

Ma male pure per l’Italia, che insiste per il tetto a tutto il gas. Sostenuta da altri nove Stati membri, oppure 15 secondo Cingolani, fra i quali Belgio, Grecia e Polonia.

Già La Stampa avvertiva che “la trattativa sul tetto al prezzo del gas si è di fatto arenata” … anche se poi goffamente cercava di darne la colpa a Salvini.

E, così, nonostante le solite promesse a vanvera del folle Timmermans (“il price cap ci sarà ma dobbiamo fare di più”), la proposta della baronessa è stata solo presentata al TTE, che la ha registrata con parole molto vaghe (“un tetto sui prezzi del gas importato da giurisdizioni specifiche, sono necessari ulteriori approfondimenti”) e dubitiamo possa mai passare.

I soldi di Bruxelles

Massolo vuole, infine, che Bruxelles finanzi sostegni per andare incontro ai Paesi che sopportano maggiori sacrifici. Accadrà? Manco a parlarne.

La richiesta italiana è illustrata in un documento del ministro Cingolani, uscito mercoledì: “un tetto a tutte le transazioni fisiche e finanziarie presso gli hub nella Ue”, integrato da soldi “per rimborsare gli importatori” della differenza tra i maggiori prezzi internazionali ed il tetto.

Due dettagli capitali: (1) tali soldi dovrebbero provenire da una “entità centralizzata Ue”, la quale dovrebbe “fornire le necessarie compensazioni finanziarie agli importatori”. Insomma, dateci i soldi. (2) Il tetto “non discriminerebbe le importazioni dalla Russia”, in quanto sarebbero soggette “tutte le transazioni fisiche e finanziarie in tutti gli hub europei”, “vale a dire le importazioni dalla Russia ma anche altre importazioni, inclusa la produzione nazionale di gas della Ue, TTF ma anche altri hub)”.

Insomma, un Paese come l’Olanda pagherebbe tre volte: la prima dando soldi alla entità centralizzata Ue, che poi li verserebbe agli italiani; la seconda riducendo il valore della esportazione del proprio gas; la terza mettendo a repentaglio i volumi del proprio hub LNG (proprio ieri ha aperto un nuovo terminal ad Eemshaven). Figurarsi la reazione dell’Aia: nein! È ovvio.

E può dire di no, perché ha il solito sostegno implicito della Germania: altrimenti il tetto al prezzo di tutto il gas potrebbe essere imposto a maggioranza … ma non c’è maggioranza senza Berlino. Sicché, la Commissione ha pure preferito non procedere con la divisione del mercato unico del gas in due sotto-mercati (una zona verde ed una zona rossa), in modo da poter imporre due prezzi unici diversi fra loro.

Ma non si può dire alle opinioni pubbliche le cose come stanno: vanno salvati capra e cavoli. Ed ecco che Bruxelles accetta la soluzione olandese: fatelo pure il tetto al prezzo del gas, se proprio lo volete, ma senza alcuna compensazione pagata dalla Ue e solo al gas russo.

Cioè la soluzione adottata dalla Von der Leyen, come abbiamo visto. Con il doppio vantaggio di risparmiare all’Aia un nuovo Recovery Fund e di innalzare ancora il prezzo del gas, facendole guadagnare tanti altri bei soldini.

Insomma, di sostegni ai Paesi che sopportano maggiori sacrifici il TTE non ha fatto il minimo cenno. Con nuovi rinnovati saluti all’ambasciatore Massolo.

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Le altre proposte di Bruxelles

Insomma, Massolo ha collezionato tre bei Nein. Ma le cose stanno anche peggio. In quanto la baronessa farà agli Stati membri pure altre proposte.

Il razionamento

Anzitutto, “un obiettivo obbligatorio per la riduzione del consumo di elettricità nelle ore di punta”. In pratica, il razionamento dell’energia. Che il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol dà per scontato: “spero che l’inverno non sia lungo e rigido … il razionamento è sul tavolo e l’importante è farlo senza avere un impatto devastante sull’economia”.

In definitiva, osserva correttamente Giraldo, Bruxelles “punta tutto sulla riduzione obbligatoria dei consumi di energia”. Peccato che “questa non è efficienza, è povertà”, come dice Tabarelli.

Senza trascurare un côté dirigistico sommo, quasi staliniano: ad esempio, ad uno stabilimento potrebbe essere vietato di produrre a ciclo continuo, sottoponendolo invece a continue interruzioni e riprese di produzione e sottoponendo gli operai a continui turni nei week-end e di notte.

Il TTE si è limitato a prenderne nota, limitandosi poi ad insistere sulla già annunciata riduzione obbligatoria del consumo di gas. Pure qui, dubitiamo possa mai passare.

La tassa sulle rinnovabili

Dipoi, la baronessa propone nuove tasse sulle rinnovabili. Questione nota in Italia come disaccoppiamento tra prezzi dell’elettricità e del gas, come se fosse possibile distinguere un Kwh-idro da un Kwh-gas. Purtroppissimo, se pure venissero creati due mercati separati ed il Kwh-idro inizialmente costasse meno, allora tutti lo vorrebbero ed il suo prezzo aumenterebbe sino a divenire uguale a quello del Kwh-gas.

In realtà, tale discriminazione può avvenire solo ex-post, tassando la produzione di energia ottenuta da fonti diverse dal gas più della produzione di energia ottenuta dal gas. Dire tassa, però, sta male. Sicché la baronessa ha preferito parlare di tetto: ma la buffonaggine ha il limite di non poter modificare i fatti e una tassa resta una tassa.

Il primo problema, qui, è la contraddizione estrema di una Ue che con la mano destra incentiva le rinnovabili, mentre con la mano sinistra le tassa. Del che si trova ampia traccia nel discorso della baronessa, in evidente imbarazzo.

Il secondo problema è l’appesantimento burocratico che ingenererebbe, sicché l’Olanda si rifiuta sin da subito di applicarla, pur non opponendosi a che lo facciano gli altri, ma a casa loro.

Il terzo problema è che la misura coinvolge l’energia nucleare e, quindi, trova l’opposizione della Francia. Sicché, alla fine, la misura finirebbe per penalizzare le rinnovabili più del nucleare … il che ci pare politicamente improponibile.

Infatti, il TTE si è limitato a prenderne nota, pur genericamente rinviando a future “proposte di aggiustamento al funzionamento del mercato elettrico”. Qui è ragionevole pensare che tale proposta passi, ancorché in forma di disciplina quadro, che poi i singoli Stati si preoccuperebbero di inverare nella propria legislazione più o meno come parrà loro.

Tasse e sussidi come non ci fosse un domani

Infine, la baronessa fa altre due proposte: tasse sulle compagnie petrolifere e gasiere, nonché garanzie statali per le utility elettriche e gasiere. Ci sono qui tre ordini di problemi.

(1) Le tasse così raccolte sarebbero destinate alle sole industrie che abbiano già ridotto i consumi di energia, cioè la produzione: in altri termini, se sei riuscito a stare sul mercato, attàccati al tram.

(2) I due tipi di società menzionati sono solo apparentemente distinte, invero spesso corrispondenti: una utility che produce energia da gas e la distribuisce, ad esempio. Ragion per cui, con una mano si dà e con l’altra si prende, in un papocchio che non tarderebbe a mostrarsi come indecifrabile.

(3) È ovvio che le garanzie statali non sarebbero necessarie se in presenza di un funzionante tetto al prezzo di tutto il gas: perciò, la presenza delle prime conferma che del secondo si perderanno presto le tracce.

Tuttavia, alcuni stati stanno già applicando simili strumenti. (1) quanto agli extra-profitti, l’Italia li sta già tassando. (2) Quanto alle garanzie statali per le utility, molti Stati membri già le stanno concedendo, come vedremo.

Ragion per cui, il TTE pare molto caldo e, pure qui, è ragionevole pensare che tali proposte passino, ancorché in forma di disciplina quadro.

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La proposta polacca: sospendere l’ETS

Come si vede, di tutte le eventuali soluzioni alla crisi energetica che morde, rischia di sopravvivere solo quella di nuovi sussidi e nuove tasse, entrambe nazionali.

Ma non è nemmeno detto, in quanto di mezzo si sta mettendo l’ottimo premier polacco Morawiecki, annunciando di volersi opporre a meno che non venga accolta una sua, differente e invero lodevole, proposta.

Più precisamente, la sospensione dell’ETS (Emissions Trading System, quote di emissione della CO2), cioè il principale strumento Ue per raggiungere i propri deliranti obiettivi di cambiamento climatico: centrali elettriche ed industrie sono costrette ad acquistare permessi quando producono emissioni di CO2, fornendo un incentivo finanziario per inquinare meno. Ma pure contribuendo al maggior costo dell’energia: molto per Morawiecki, “appena il 6 per cento” per la baronessa … degna erede di Maria Antonietta.

Al polacco, la cosa sta molto a cuore. Come dimostrano gli epici scontri dello scorso dicembre e poi ancora di agosto. Non ne ha cavato nulla ma oggi sente arrivare il proprio momento. Chiede il supporto della Germania, “dove stanno riaccendendo le centrali a carbone”.

Minaccia di far saltare qualunque altro accordo: “l’incontro di emergenza dell’Ue di venerdì a Bruxelles potrebbe esporre nuovi disaccordi tra gli Stati membri”. E, per maggiore sicurezza, si prepara ad opporsi alle nuove tasse proposte da Bruxelles.

Da parte nostra, gli auguriamo successo. Ma il TTE pare freddo e, insomma, è piuttosto probabile che la pur lodevole proposta polacca non abbia altro esito che contribuire allo stallo dell’intera questione energetica.

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Alternative possibili

Cosa resta? Beh, resterebbe la riforma del mercato di riferimento del gas: il TTF.

Pur trattandosi di un mercato particolarmente piccolo, corto ed illiquido, molto malauguratamente una parte importante dei contratti gasieri sono ad esso indicizzati, oppure su di esso coperti.

(1) Il caso della indicizzazione è semplice: un importatore che firma un contratto di lungo termine a 90 in presenza di un prezzo di distribuzione a 100, accetta di modificare il prezzo di acquisto in funzione dell’andamento del TTF. È questo, pare, il caso di ENI, ancorché non di ENEL.

(2) Ma pure in caso di contratto a lungo termine a prezzo fisso, l’importatore si copre dal rischio che il prezzo di vendita scenda al di sotto dei 100 previsti: scambiando, con una banca, la rinuncia ad ogni maggior profitto con la copertura di ogni perdita.

Ad esempio, se il prezzo di distribuzione scendesse a 50, all’importatore andrebbero questi più altri 50 pagati dalla banca; al contrario, se il prezzo di distribuzione salisse a 500, di questi 400 andrebbero alla banca e solo i soliti 100 all’importatore.

Sicché, benché tali contratti siano in massima parte a lungo termine, lo stesso chi importa paga (o dichiara di pagare) il prezzo del TTF. Così suggerisce Arera (Autorità Regolazione Energia Reti Ambiente).

Tali contratti di indicizzazione e copertura sono soggetti a chissà quale giurisdizione. Il che impedisce di sospendere il TTF o collegare ope legis i contratti di fornitura ad un diverso indice: si aprirebbero cause inestricabili e multi-miliardarie.

Nazionalizzare

Idem per la ipotesi di ri-nazionalizzazione di ENI od ENEL: la società nazionalizzata avrebbe in pancia quei contratti e lo Stato non potrebbe abbassare il prezzo di distribuzione nemmeno di un centesimo.

Lo stesso, tali nazionalizzazioni stanno occorrendo in alcuni Paesi, come menzionato, in quanto: (1) in caso di sola indicizzazione, se il prezzo di distribuzione è fisso, allora l’importatore sopporterà perdite enormi. (2) in caso di copertura, man mano che il prezzo di mercato sale all’importatore verranno chieste sempre maggiori garanzie.

In entrambe i casi, in ultimo l’importatore dovrà essere salvato dallo Stato. Così Svezia-Finlandia-Austria stanno già dando garanzie di stato alle proprie utility e la Repubblica Ceca preme assai. Senza contare la Francia che sta già liquidando i soci di minoranza di EDF e la Germania che sta già dando una palata di miliardi ad Uniper. Esattamente per questo il TTE è caldo sui sussidi, come menzionato.

Ma solo per evitare un collasso. Non per abbassare il prezzo di distribuzione.

Riformare il TTF

In alternativa, si potrebbe riformare il TTF. Per esempio, imponendogli regole che contribuiscano a ridurne la volatilità. Ma è soggetto alla legge olandese e L’Aia di riforma non vuol sentire parlare. Infatti, il documento di Cingolani appena cita tale possibilità, per poi lasciarla da parte.

Oppure separando il mercato del gas LNG da quello da gasdotto: secondo Reuters, “separatamente, la Commissione ha affermato che esaminerà la creazione di un parametro di riferimento per i prezzi dello LNG”. Ma richiederebbe parecchio tempo, come accenna lo stesso Cingolani.

Nel resoconto del TTE, si rinviene il menzionato generico rinvio a future “proposte di aggiustamento al funzionamento del mercato elettrico”.

Tornare ai contratti a lungo termine non indicizzati

Resterebbe una ultima soluzione: cancellare le regole comunitarie che ostacolano i contratti di importazione a lungo termine non indicizzati (oppure indicizzati ma al petrolio, rispetto al gas un bene assai meno volatile ed assai meno controllato dalla Russia).

Dopodiché, sottoscriverne moltissimi e sottoscrivere equivalenti contratti di distribuzione anch’essi non indicizzati. Ad un prezzo che sarebbe superiore a quello degli anni scorsi ma pure inferiore a quello odierno.

Accessoriamente, la domanda così soddisfatta non si rivolgerebbe più al TTF, le cui quotazione conseguentemente scenderebbero sino a livelli simili a quelli dei nuovi contratti a lungo termine non indicizzati. Consentendo così alle società lì esposte di non lasciarci la pellaccia.

Certo, cancellare le regole comunitarie non basta, anzi occorrerebbe pure trovare esportatori interessati a tali nuovi contratti. Ma questo non è affatto un problema.

(1) Basta leggere il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre: non fate cazzate con il tetto al prezzo del gas, noi vi vogliamo aiutare ma nel modo giusto, che è sottoscrivere contratti a lungo termine di fornitura, i quali offrono agli esportatori flussi di entrate stabili e facilitano la pianificazione degli investimenti. Unico problema: la quantità di gas che la Norvegia può offrire non è infinita.

(2) Esattamente come la Norvegia, pure Gazprom non chiede di meglio di contratti a lungo termine, pure se non indicizzati. Unico problema: tale soluzione è, da parte dei nostri governi, attualmente improponibile.

(3) Allora facciamo pure contratti a lungo termine con esportatori LNG, come sta facendo l’Italia ed ai prezzi accettabili che mostra Arera. Unico problema: i nuovi rigassificatori non sono pronti e, nel frattempo, l’industria muore.

E quindi? E quindi, senza la Russia nei prossimi due anni non sarà possibile salvare tutta l’industria europea. Ma, così intervenendo, ne salveremo almeno una parte, la più grande possibile.

Purtroppo, a tutto ciò, né Massolo né Cingolani fanno cenno. Nella proposta della baronessa non v’è traccia. Nel resoconto del TTE tanto meno.

Conclusioni

Insomma, delle richieste di Massolo manco si parla. E neanche si parla della proposta polacca, che pure ha i suoi meriti. Ma nemmeno si parla dell’unica soluzione che, secondo noi, consentirebbe di salvare un pezzo almeno dell’industria europea … nei durissimi mesi che ci aspettano.

Solo si odono vuote parole, come quelle del presidente del TTE: “faremo whatever it takes per aiutare i nostri cittadini e le aziende che devono far fronte ai prezzi elevati dell’energia”.

Perciò, tocca concludere che Bruxelles è intenta ad un esercizio di propaganda, inteso a lasciar credere al grande pubblico che qualcosa si sta facendo … mentre prosegue indefessa la guerra economica permanente alla Russia.

E ci spiace tantissimo per il presidente Mattarella, che ieri ha dichiarato: “è urgentissimo procedere, superando le ultime resistenze che vi sono nell’Unione”. Perché le resistenze non sono affatto le ultime, e di procedere in via urgentissima manco se ne parla. Anzi, è più probabile non si proceda affatto.

Così stando le cose però – avvertiva Massolo – le opinioni pubbliche potrebbero anche rischiare di perdere di vista l’obiettivo di difendere Kiev. C’è da stupirsi che a Mosca tengano l’orecchio teso verso di noi?