I social, si sa, riservano grandi e inaspettate sorprese. E come accade con sempre maggior puntualità, dall’essere riflettori o megafono di una società in continuo mutamento diventano essi stessi una realtà, quasi parallela, in cui vigono regole inoppugnabili, sintomo e simbolo dell’evolversi del sentire comune. Viene da chiedersi: i social network più utilizzati al mondo saranno capaci di resistere alla deriva illiberale che stampa e opinion leader quotidianamente alimentano, marginalizzando, nel migliore dei casi, chi ha opinioni differenti, nel peggiore utilizzando lo strumento della censura per bandire visioni politiche differenti?
La risposta parrebbe negativa, come dimostra la polemica scoppiata in questi giorni che vede come protagonisti alcuni dei dirigenti di spicco di Casapound e il nipote di Mussolini, Caio Giulio. Naturalmente le idee di Casapound, gli echi vecchi e nuovi del Ventennio contrastano con una visione liberale della società, delle istituzioni, della politica; altrettanto illiberale però, appare la censura messa in atto da Facebook in due vicende. La prima riguarda il blocco del profilo del nipote di Mussolini, Caio Giulio, sembrerebbe per l’automatismo compiuto dagli algoritmi di Facebook nel correlare il cognome dell’uomo al personaggio storico dello zio Benito. Un blocco presumibilmente per fini come la lotta al razzismo, il contrasto alle discriminazioni, l’opposizione ai discorsi d’odio. Obiettivi che ormai da qualche anno il social ha posto tra le proprie prerogative. La seconda vicenda, che riguarda Casapound, invece sarebbe legata ad alcuni post fortemente critici pubblicati sui vari profili social degli esponenti di spicco del movimento, sul caso del gruppo di Rom che avrebbe dovuto trovare una sistemazione nella periferia della Capitale.
Blocchi del profilo che seppur temporanei (il profilo del candidato di Fratelli d’Italia alle Europee, Caio Giulio, è stato ripristinato dopo poche ore) hanno suscitato forti e contrastanti pareri nell’opinione pubblica, soprattutto per le imminenti elezioni europee e le numerose amministrative in cui il partito di estrema destra concorre. Ciò che lascia maggiormente sbigottiti, è il ruolo assunto dalla piattaforma online: non più spazio di scambio di contenuti e idee come un tempo bensì quello di soggetto censore che decide cosa leggere e cosa no. Eppure nel codice di condotta predisposto nel 2016 dalla Unione europea per la lotta al cosiddetto hatespeech (definizione che ancora divide giuristi ed esperti del tema), con la collaborazione di alcuni tra i maggiori social network, tra cui Facebook, figura a chiare lettere l’esigenza di tutelare la libertà d’espressione anche per “le idee che sconcertano una parte di popolazione”. Come può il vaglio, quasi discrezionale, dei contenuti ritenersi conforme ad uno dei principi cardine della struttura della degli Stati europei nonché dell’Unione stessa? Chissà, l’unica certezza è l’approccio limitante della libertà d’espressione che ormai trova legittimazione puntuale nella lotta all’hatespeech.
Non è finita qui, il social, in vista delle prossime elezioni europee, in conformità con il codice contro la disinformazione, ha vietato la possibilità di produrre inserzioni politiche destinate ad un paese dell’Unione addirittura provenienti da altro Paese della stessa, tranne nel caso in cui l’inserzione venga autorizzata da rappresentati locali. Autenticazione richiesta anche per la pubblicazione di contenuti riguardanti temi quali ambiente e immigrazione. Solo sotto elezioni sapremo quanto influenzeranno i media (c’è già chi ha avanzato preoccupazioni inerenti la libertà di stampa) le nuove regole restrittive e se ci saranno magari “involontarie” censure o ulteriori restrizioni. Lo spauracchio fake news o la ferrea disciplina sui contenuti politici mettono su schermo la difesa imprescindibile delle istituzioni e del sistema europeo, così come il timore delle opinioni non conformi spiega l’appiattimento del confronto politico. Si affermava con cognizione di causa, soprattutto tra i liberali, che le basi di una democrazia fossero tanto solide quanto più forte la capacità di resistenza di essa alle idee estremiste e violente. Ora stiamo assistendo alla difesa dogmatica dell’Unione europea, del pensiero unico, che si esplica tramite controlli ferrei, filtri e regole, tantissime regole. Dio benedica la Costituzione americana, il Primo Emendamento, il freespeech e la libertà di espressione, ancora una volta.