Prima le agenzie e la tv di Stato, poi il Ministero della difesa iraniano hanno confermato: vicino Teheran, presso Absard, è stato ucciso Mohsen Fakhrizadeh, considerato il padre del nucleare iraniano. Fakhrizadeh era noto tra gli esperti per il suo ruolo guida nel programma nucleare segreto Amad e SPND ed era stato nominato nel 2018 dal premier israeliano Netanyahu, quando presentò alla stampa ciò che il Mossad era riuscito a trafugare dall’Iran: migliaia di file sul programma nucleare clandestino del regime degli ayatollah, rivelando tra l’altro l’esistenza di un capannone usato a fini nucleari e mai dichiarato, non lontano dalla capitale.
Teheran punta l’indice contro Israele: il ministro degli esteri Zarif ha parlato di “serie indicazioni del ruolo israeliano”. Giura vendetta, su Twitter, il consigliere militare della Guida Suprema Ali Khamenei, Hossein Dehghan. Nessun commento dal presidente americano Trump, che però ha ritwittato la notizia dell’uccisione. Di sicuro, dopo l’uccisione di Soleimani, un altro colpo durissimo alle capacità e alle ambizioni militari iraniane.
Ora, premesso che non sappiamo e probabilmente non sapremo mai con certezza chi ha ucciso Fakhrizadeh, cosa ci dice la sua uccisione? Le indicazioni sono almeno due. La prima è che l’Iran, in tema di sicurezza, è un colabrodo. Il regime iraniano non è mai riuscito a proteggere gli scienziati coinvolti nei suoi programmi militari e nucleari clandestini e, solo negli ultimi giorni, non è riuscito a evitare che fossero eliminati, nel cuore del Paese, il numero 2 di al-Qaeda e, appunto, Fakhrizadeh. La vostra sicurezza è un colabrodo, nessuno è irraggiungibile, nessuno è immune, è il primo chiaro messaggio arrivato ai vertici del regime iraniano. D’altronde, come Atlantico Quotidiano ha riportato – unico sito di informazione in Italia – solo pochi giorni fa erano uscite le foto del comandante della Foza Qods per Asia e Caucaso mentre era in un ristorante in Turchia.
Il secondo messaggio sembra invece diretto alla nuova amministrazione Usa che il probabile vincitore delle presidenziali, il Democratico Joe Biden, sta mettendo in piedi in questi giorni. In questo caso, un messaggio duplice: indietro non si torna, al vecchio Jcpoa, l’accordo sul programma nucleare iraniano voluto nel 2015 dall’ex presidente Obama, non si può tornare. Quindi, una dichiarazione di sfiducia verso quelle figure, già chiamate da Biden a far parte della sua amministrazione in posti chiave, come il neo consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan, che sostengono fortemente il ritorno degli Stati Uniti nell’accordo con l’Iran. L’aspettativa che un’amministrazione Biden voglia ritornare al passato è alta e, per questo, meglio fare piazza pulita prima.
Per quanto riguarda i possibili autori, e mandanti, dell’uccisione di Fakhrizadeh, oltre a Israele vanno considerate anche le fazioni più oltranziste interne allo stesso regime iraniano. Non è escluso infatti che queste abbiano deciso di agire, prima dell’insediamento di Biden, per radicalizzare le posizioni politiche interne ed esterne, e prendere due piccioni con una fava: dissuadere il proprio governo dal riaprire il negoziato con Washington, ipotesi su cui il presidente Rouhani si è mostrato possibilista, e alimentare il risentimento nazionale per spianare la strada verso la presidenza dell’Iran ad un ultraconservatore vicino ai Pasdaran (le elezioni si terranno nel giugno 2021).