Cronache dai social. Ormai se si vuole restare aggiornati su quanto succede al mondo e, soprattutto, se si desideri tastare il polso della situazione politica e sociale, bisogna seguire ciò che la gente scrive su Twitter ed altri social, dal presidente della Repubblica alla massaia di Voghera. Un aspetto assai importante è inoltre dato dai cambi di “stato” su Whatsapp, che forse costituisce più ancora dei veri e propri post sui principali social media, il reale sentimento (anzi come buffamente si usa dire oggi, il sentiment) della gente. Trattasi di esperimento di carattere sociologico e pure interessante; lo consiglio pure a voi, giusto per avere un quadro abbastanza fedele di come la pensino i vostri conoscenti, parenti ed amici sulle cose di questo mondo. In modo un po’ rozzamente schematico, pur riconoscendo che rozzezza e schematicità sono criteri ammessi nella società dei click, possiamo dividere gli utenti di questi servizi in tre grandi categorie.
Vediamo la prima, quella dei politically correct ad ogni costo: muore il famoso calciatore? Imperativo mettere nel proprio stato di Whatsapp la foto dello sportivo scomparso da poco, magari accompagnato dalle melensaggini del tipo “addio eroe”. Che non si sia mai stati fan dello stesso né tifosi della squadra nella quale egli militava non importa affatto, anzi, se giocava nella squadra che abbiamo apertamente detestato per decenni, meglio ancora: dimostreremo di stare super partes. Punteggio attribuibile per l’immaginetta con annessa frase ecumenica: 8. Pochissimi quelli che si sottraggano alla tentazione di appiccicarsi questo tipo di medaglietta e, se lo fate notare, s’incazzano pure. Che al bomber abbiano attribuito qualsiasi nefandezza finchè era in vita, non rileva assolutamente. Non aspettatevi, comunque, che tanta sensibilità e tanto sentimento riguardino vicende come quella degli otto pescatori italiani sequestrati da mesi in Libia e che qualcuno si sogni di mettere nel suo stato una foto degli incolpevoli pescatori, ma ciò non fa che rafforzare la teoria che sto, un po’ scherzosamente ma non troppo, enunciando. Per guadagnarsi la medaglia del primo tipo, quella degli addii di facile presa, bisogna che la materia venga trattata con assoluta superficialità, applicando il parce sepulto soltanto dietro suggerimento, più o meno occulto, dei media nazionali. Il mainstream dà l’input e noi ci scateniamo sui social, facendo il lavoro per loro. Al calciatore perdoniamo tutto, eventuali insulti verso l’Italia e gli italiani compresi, mentre quando muore un politico di parte avversa si leggono facilmente inaccettabili insulti concessi alla memoria.
Nella seconda categoria metterei invece i tanti che non sanno sottrarsi agli slogan generici del tipo “andrà tutto bene” oppure “stiamo uniti e sulla stessa barca”, anche quando si sia intimamente convinti che andrà tutto malissimo e sulla nostra barca non s’intenda farci salire alcun altro né si abbia la minima voglia di salire su quelle altrui. Tanta è la melassa che cola dalla categoria in questione che, temendo di rimanervi invischiato, passo subito oltre e v’illustro la mia idea di terza categoria, quella che raggruppa quelli che vogliono a tutti i costi far sapere che squisitezze mangino e quanto sia elegante la loro piscina (magari gonfiabile). Trattasi di pubblicazione a doppia azione. Da un lato si permette a chiunque di darsela da ricco e raffinato amante delle belle cose e, solo per questo, ci cadono a milioni, permettendo, per giunta, di fare schiattare d’invidia i propri, inevitabili nemici. Ovviamente, gli appartenenti alla categoria vi diranno di non avere alcun nemico, ed a nulla servirà eccepire loro che persino Gesù Cristo ne aveva e di così potenti da metterlo in croce. Niente: quelli della seconda categoria (alla quale attribuirei ovviamente il colore oro, anzi, gold) vi diranno che un piatto ben confezionato merita sempre una citazione speciale. Merita dunque tanta considerazione da sembrare normale rispondere ad ogni parola del (pur bravissimo e famoso) cuoco con il solo “sì chef, no chef” proferito a testa bassa, con una umiliante sottomissione che nemmeno più si riscontra nelle caserme. Lo chef ha sempre ragione ed ogni suo piatto merita immediata pubblicazione, mentre una porta fatta benissimo dal nostro falegname non si pubblica perché prosaica e volgave. Appartengono, di solito, alla stessa categoria quelle signore che ci tengano costantemente aggiornati sui loro piedini leggiadramente ondeggianti a bordo piscina, perché fa tanto glamour, ma pure i maschietti che nei loro profili gonfiano i muscoli in modo tale da permettere la visione totale dei loro imperdibili tatuaggi non sono da meno.
Oddio, semplice vanità, ma il troppo stroppia. La terza categoria ha il colore della grisaglia, ossia quella dei postatori seriali delle loro immense fatiche lavorative. Trattasi di persone al limite delle cure neuro-psichiatriche, che sentono l’urgenza insopprimibile di far vedere quanto essi lavorino, per i quali una foto scattata in ufficio in ore serali, esattamente come quella che li ritrae sulla via del lavoro alle sei di mattina, è istanza ufficiale di ricompensa sociale, perché loro lavorano mentre noi ci grattiamo la pancia sul divano e loro lavorano anche per noi scansafatiche. Anche agli stakanovisti è difficilissimo chiedere per quale diavolo di motivo ritengano di pubblicare circostanze delle quali non importa un accidente a nessuno. Tale e tanto potente è la loro opinione di sé stessi, che potrebbero addirittura uscirsene con la solita frase fatta: “Ragazzo, quando io lavoravo e producevo, tu andavi sulla bicicletta con le rotelline laterali”. Una volta risposi ad uno di questi fenomeni, che, ammesso che io fossi in età prescolare mentre lui già vivificava la società, che mentre io scorrazzavo su detta biciclettina ad equilibrio assistito (come si direbbe adesso) lui aveva già un bel contratto a vita da statale e che al mio papà i soldi per comprarmi la biciclettina rossa non li aveva regalati nessuno. Si offese e mi tolse il saluto, cosa della quale, devo confessare, mi feci subito una solida e definitiva ragione.
Ci sarebbero poi le sotto-categorie delle tre principali, come quella dei pubblicatori di foto di animaletti domestici mentre fanno una buffissima cacchina, figlioletti che si sbrodolano addosso la pur gustosa pappa, fioriture meravigliose dei loro giardini e/o balconi. Mali minori insomma, se non fosse che certe belle inquadrature del tipo e posizionamento della serratura sulla porta d’entrata e/o dei sensori antifurto sono assai gradite ai ladri (che purtroppo non possiamo escludere tra le centinaia di contatti telefonici che abbiamo in rubrica) così come non è consigliabilissimo, men che mai di questi tempi, quand’anche non fosse vietato, pubblicare foto di minorenni e magari in età “pericolosa”. Ma sono mali minori e ne scrivo sorridendo, perlopiù frutto di orgoglio o semplice leggerezza. Le indagini di mercato? Le ricerche sulle preferenze politiche degli italiani? Roba del passato. Tutto ciò lo offriamo noi stessi, a volte con effetti dirompenti, in modo gratuito ed aggiornandolo giorno per giorno. Basta essere buoni osservatori e persino un modestissimo analista ne trarrà benefici impensabili. Vado a cambiare la mia foto di profilo: ha oltre tre anni e non sia mai…