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Flynn incastrato dall’FBI per sabotare Trump: i documenti che lo scagionano e inguaiano Comey e McCabe

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Qualche settimana fa l’Attorney General William Barr, riguardo l’indagine sulle origini del Russiagate condotte dal procuratore Durham, aveva parlato di “un intero schema di eventi per sabotare la presidenza o almeno avere l’effetto di sabotare la presidenza”. Di questo “schema di eventi” per sabotare la presidenza Trump fa certamente parte la vera e propria trappola tesa al generale Michael Flynn, per pochi giorni consigliere per la sicurezza nazionale e tra i pochi punti fermi della nuova amministrazione. Come sta emergendo in queste ore dai documenti che la difesa ha ricevuto dal Dipartimento di Giustizia, dopo una dura battaglia legale per ottenere le prove “a discolpa” tenute nascoste per anni, Flynn è stato preso di mira e deliberatamente incastrato dall’FBI. Ma di quanto segue troverete solo imbarazzati e imbarazzanti trafiletti sulla nostra stampa nazionale che all’epoca fece da megafono del caso qui in Italia.

Scioccanti, non si possono definire altrimenti le note scritte a mano da un agente dell’FBI, non identificato ma presumibilmente il capo della controintelligence Bill Priestap, dopo un incontro con il direttore dell’FBI Comey e il vice McCabe, il giorno stesso, il 24 gennaio 2017, in cui il generale fu interrogato alla Casa Bianca: “Qual è il nostro obiettivo? Verità/confessione o farlo mentire, così possiamo perseguirlo o farlo licenziare?”. “Se ci vedono fare giochetti, alla Casa Bianca saranno furiosi”, si legge in un’altra nota da cui traspare tutta la preoccupazione per le indicazioni che gli arrivano evidentemente dai suoi capi. L’ammissione di colpevolezza di Flynn, ottenuta a fine 2017 dal procuratore speciale Mueller nei modi che vedremo, si riferisce proprio alle false dichiarazioni rilasciate agli agenti dell’FBI Strzok e Pientka durante quell’interrogatorio.

Tra parentesi, ma nemmeno troppo, lo stesso Priestap si trovava a Londra a metà maggio 2016, presumibilmente nella stessa settimana dell’incontro fra il consigliere della Campagna Trump George Papadopoulos e il diplomatico australiano Downer. L’incontro in cui Downer avrebbe appreso della confidenza fatta dal professor Mifsud a Papadopoulos secondo cui i russi avevano del materiale “dirt” su Hillary Clinton. Ma ufficialmente l’indagine Crossfire Hurricane non verrà aperta fino al 31 luglio e l’FBI riceverà la “soffiata” da Downer solo a luglio…

Un altro documento mostra uno scambio di email del giorno precedente quello dell’interrogatorio, il 23 gennaio, tra Strzok, un agente non identificato e l’agente Lisa Page, in cui quest’ultima chiede come e quando ricordare a Flynn che può essere perseguito penalmente in caso di false dichiarazioni agli agenti, in particolare se secondo le procedure il consueto “1001 warning” dev’essere dato all’inizio dell’interrogatorio o se subito dopo una dichiarazione che gli agenti ritengono falsa. Nel primo caso, osserva Page, “allora sarebbe facile infilarlo casualmente, ‘naturalmente sa che per la legge federale è un reato…“. “Se non ricordo male, puoi dirlo in qualsiasi momento”, è la risposta dell’interlocutore non identificato.

È bene ricordare che siamo a soli quattro giorni dall’insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca e il Russiagate muoveva i primi passi. Da un paio di settimane era uscito sulla stampa il famigerato dossier Steele, che circolava a Washington già da settimane e di cui l’FBI era entrata in possesso tra luglio e settembre 2016. E in quei giorni, l’altro “caso” di pubblico dominio su cui si reggevano le accuse al presidente Trump di complicità con il Cremlino erano le conversazioni telefoniche che Flynn aveva avuto con l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak. Secondo Judicial Watch, sarebbe James Baker, direttore dell’Office of Net Assessment del Pentagono (l’ufficio che pagava il professor Stefan Halper, l’informatore che per conto dell’FBI incontrò sia Carter Page che Papadopoulos), la fonte anonima che ha passato a David Ignatius del Washington Post la telefonata tra Flynn e Kislyak. Per le fonti di intelligence citate dai quotidiani liberal, il generale poteva aver violato il Logan Act, una legge di fine ‘700, praticamente disapplicata perché di dubbia costituzionalità, che fa divieto ai cittadini americani di intromettersi nelle dispute e negli affari del governo Usa con governi stranieri. In realtà, come sarebbe emerso, e come anche il New York Times ha riconosciuto di recente, dalle telefonate non era emerso nulla di inappropriato e Flynn non era un cittadino qualsiasi, ma il consigliere per la sicurezza nazionale in pectore. Ed è prassi, anzi doveroso, che i membri del team del presidente eletto che ricopriranno ruoli di politica estera prendano contatti con rappresentanti di altri governi durante la transizione.

Leggendo queste note, i documenti e i messagi di testo che si sono scambiati gli agenti in quei giorni, quello che emerge è uno schema meticolosamente pianificato per indurre il generale a dire qualcosa di sbagliato o di impreciso, per poterlo perseguire per falsa testimonianza o almeno farlo licenziare. In una parola: per incastrarlo.

Il motivo era semplice: l’FBI non aveva trovato nulla di inappropriato nella sua condotta e, dunque, stava per chiudere l’indagine già 20 giorni prima di quell’interrogatorio in cui sarebbe stato incastrato. Come mostrano ulteriori documenti diffusi ieri sera, infatti, il team dell’FBI che conduceva l’indagine Crossfire Hurricane non aveva trovato alcuna prova che Flynn avesse infranto una qualunque legge o che stesse agendo sotto la direzione e il controllo della Russia, o coordinandosi con Mosca, in modo da rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale o una violazione della legge sulla registrazione degli agenti stranieri. “No derogatory information was identified in FBI holdings”, affermava il rapporto del 4 gennaio che chiudeva formalmente l’indagine su Flynn. L’FBI aveva chiesto una verifica sul generale anche ad un’altra agenzia, probabilmente la CIA, ma nemmeno da questa erano giunte derogatory information. L’FBI si era avvalsa anche di un informatore per spiare Flynn, ma ugualmente no derogatory information erano emerse. Né erano emersi contatti tra Flynn e due soggetti russi sotto sorveglianza. “Il team – si legge quindi nel rapporto – ha deciso che Flynn non è più un candidato adatto a far parte del caso-ombrello Crossfire Hurricane” e non ha raccolto “alcuna informazione sulla base della quale giustificare ulteriori sforzi investigativi”. “L’FBI chiuderà questa indagine”. Particolare curioso: le chiamate con l’ambasciatore Kislyak erano del 29 dicembre e sei giorni dopo l’FBI era pronta a chiudere l’indagine su Flynn…

Accade però che Peter Strzok, l’agente FBI che in estate aveva parlato dell’indagine Crossfire Hurricane come “polizza di assicurazione” nel caso in cui Trump fosse stato eletto, ordinò ad un collega non identificato, il “case manager”, di non chiudere l’indagine su Flynn, nonostante il rapporto aveva concluso che non c’erano basi legali o elementi di fatto per continuarla. “Hey if you haven’t closed RAZOR (il nome in codice dell’indagine spinoff su Flynn, ndr), don’t do so yet”, scrive Strzok in un messaggio alle 14.14 del 4 gennaio. “Rgr, I couldn’t raise earlier. Please keep it open for now”, e più tardi aggiunge: “7th floor involved” (il piano dei vertici FBI, Comey e McCabe). “Razor still open”, scrive subito Strzok a Lisa Page, allora sua amante e assistente del vicedirettore McCabe. Ha dichiarato di recente l’AG Barr: “Uno dei problemi con quello che è successo è stato proprio che hanno portato l’indagine ai piani alti, ed è stata condotta e sorvegliata da un gruppo molto ristretto di funzionari di altissimo livello… L’idea che si trattasse di qualcosa sette livelli sotto di lui (Comey, ndr) è semplicemente non vera”.

Ulteriori messaggi del 10 febbraio confermano che Strzok riscrisse personalmente il resoconto dell’interrogatorio a Flynn condotto insieme all’agente Pientka il 24 gennaio. Una bozza era stata redatta da Pientka quello stesso giorno, ma il rapporto riscritto da Strzok fu approvato da McCabe solo il 14 febbraio e inserito in archivio il 15. Tutto il tempo per apportare le opportune rifiniture…

Dunque, l’FBI non aveva alcuna giustificazione legale o legittimo motivo investigativo per svolgere quell’interrogatorio del 24 gennaio da cui, poi, emerse l’accusa di falsa testimonianza. Tra l’altro, si svolse al di fuori dei protocolli previsti per interrogare lo staff della Casa Bianca, come poi ammesso dallo stesso direttore Comey: la decisione di “mandare un paio di ragazzi” alla Casa Bianca per interrogare Flynn è stata “qualcosa che probabilmente non avrei dovuto fare, o forse con una amministrazione più organizzata”.

Ora Flynn, con l’aiuto del suo nuovo avvocato, Sidney Powell, sta cercando di revocare la sua ammissione di colpevolezza ed essere scagionato. Da qui i documenti di cui abbiamo parlato. La difesa sostiene che il 24 gennaio 2017 il generale non dichiarò il falso intenzionalmente, sbagliò a ricordare, e che fu costretto a dichiararsi colpevole dal team Mueller sotto la minaccia che, se si fosse rifiutato, avrebbero perseguito suo figlio.

A questo punto, altro che grazia presidenziale… Flynn può puntare al proscioglimento e alla completa riabilitazione.

“Dirty cop James Comey got caught!”, ha twittato ieri il presidente Trump, che più tardi in conferenza stampa ha risposto così ad una domanda sulla possibilità di un ritorno del generale Flynn alla Casa Bianca: “Certamente la considererei”. Magari, aggiungiamo noi, ancora come consigliere per la sicurezza nazionale.

“Questi ai vertici dell’FBI erano poliziotti sporchi… Il generale Flynn è stato trattato come nessuno in questo Paese dovrebbe essere trattato”, ha aggiunto il presidente. Ma è stato “essenzialmente scagionato” dai nuovi documenti. “Non è ancora ufficiale, ma quando leggi quelle note, come puoi fare qualcos’altro?”.