La solida convinzione di molti protagonisti della Seconda Repubblica (e pure della cosiddetta Terza, c’è da temere) è che si possa – anzi si debba – fare politica senza idee e senza discussione politica. Liberi di fare tutto, insomma: tranne che aprire un sano e limpido scontro di idee, di opzioni, di alternative.
Scontro che – nei grandi partiti occidentali – è unificante, non divisivo: perché anche la posizione sconfitta trova una sua legittimazione nell’essere stata formalmente e pubblicamente espressa, e può a maggior ragione accettare la prevalenza della posizione maggioritaria.
Quattro anni fa, dedicai un piccolo libro a proporre un programma liberale al centrodestra (per evitare il Nazareno) e soprattutto ad avanzare l’ipotesi delle primarie: non come feticcio, non come soluzione miracolistica (figuriamoci!), ma come il modo più sano di dare ingresso a una discussione basata su opzioni politiche alternative per costruire il futuro.
Quel piccolo libro fu idealmente dato alle fiamme (in primo luogo dagli zelanti media “d’area”, sempre più realisti del re), e l’ancora più piccolo autore fu isolato e identificato come reprobo.
Oggi, essendosi il corpo di Forza Italia disabituato alle idee e alla discussione politica, le primarie le ha fatte Salvini nelle urne, e dal suo punto di vista ha fatto benissimo. Ed è un po’ triste vedere quello che fu il maggior partito del centrodestra diviso tra ansie esclusivamente aziendali e dirigenti (casuali, prepotenti, improvvisati) già pronti all’Anschluss salviniano. Senza idee e senza politica, nell’una e nell’altra ipotesi.