E siamo ancora al “Forza spread”. Dopo il fallimento dello spauracchio del fascismo, utilizzato costantemente nella campagna elettorale per le elezioni europee, parte delle opposizioni ha ricominciato ad invocare lo spread come mezzo per far saltare l’Esecutivo. Sia chiaro: non stiamo sottovalutando l’importanza di questo indicatore e gli errori commessi dal governo. L’eccesso di deficit per misure meramente assistenzialistiche e non per massicci tagli di tasse rimane una scelta imperdonabile, che probabilmente sarà pagata a carissimo prezzo. Se a queste misure si sommano i festeggiamenti per “l’abolizione della povertà” celebrati dai grillini dal balcone di Palazzo Chigi, la situazione si fa ancor più drammatica.
Tuttavia, a fronte di un momento così importante e anche pericoloso, ci pare inaccettabile che una certa sinistra e una parte di Forza Italia (ironia della sorte…) tifino per il rialzo dello spread e quindi per una grave crisi del Paese. Il tutto per liquidare il governo gialloblù e poi tornare in sella. Un po’ come accadde nel 2011, quando Berlusconi si dimise per cedere le redini dell’Esecutivo al neo senatore Mario Monti. Un governo tecnico che con una cura da cavallo salvò il Paese, ma con dei costi sociali altissimi.
Ciò che colpisce, in questa fase, sono i toni entusiastici di coloro che sperano in una procedura di infrazione e poi in un collasso economico-finanziario. Alcuni commentatori e tanti politici che detestano i gialloblù sembrano augurarsi tali sventure, ignorando le sofferenze e le privazioni che uno scenario del genere potrebbe causare a milioni di concittadini. La sete di potere e il desiderio irrefrenabile di umiliare i propri compaesani in Europa, descrivendoli come immaturi e straccioni, sembrano guidare le loro dichiarazioni, facendo riaffiorare la tipica divisività del nostro Paese. Un Paese che riesce a dividersi anche nei momenti decisivi in cui sarebbe necessario unirsi per un interesse più grande, che dovrebbe accomunare l’intera comunità nazionale. E che invece vede trionfare la divisività, una cronicità di lunghissimo periodo che sembra essere scritta nel Dna del nostro Paese.