La scure si è abbattuta con gran fragore su una Francia già mortalmente ferita dall’epidemia di coronavirus e forse si capisce ora perché il presidente Macron abbia tralasciato i rigori del motore franco-tedesco e si sia messo assieme a Spagna e Italia a chiedere l’elemosina all’Ue (che però, per ora, fa quello che dicono Germania, Olanda e Austria e si gira dall’altra parte): il Pil del Paese è sceso del 6 per cento nel primo trimestre del 2020 secondo una prima stima della Banque de France. Rispetto alla crisi finanziaria del 2008, il calo di attività indotto dal contenimento è molto maggiore, a tratti drammatico e preoccupante per diversi analisti finanziari francesi, il tutto mentre a Bruxelles la parola “MES” non scompare dal lessico degli euroburocrati e si continua a progettare il futuro e probabile banchetto con ciò che resterà dei Paesi stremati ed indebitati dal Covid-19.
Il dato del -6 per cento è inquietante, si tratta del peggior calo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo un ultimo trimestre 2019 che era già risultato negativo. Alcuni settori, tra cui l’edilizia e i servizi di mercato, stanno registrando un calo di oltre la metà della loro attività a causa delle misure di contenimento per arginare l’epidemia di Covid-19 che in Francia ha provocato già oltre 10.000 decessi.
Nell’indagine condotta dalla Banque de France si tiene conto degli effetti delle misure di contenimento entrate in vigore il 17 marzo con l’obiettivo primario di fornire “il quadro più dettagliato possibile” del livello di attività per settore nella seconda metà di marzo. Il forte calo dell’attività produttiva, secondo il rapporto, ha causato una flessione vertiginosa del Pil nel primo trimestre del 2020 e se le cose continuano così nel secondo trimestre le cose potrebbero ancora peggiorare.
“Ogni quindicina di giorni di contenimento ci costa circa l’1,5 per cento del Pil annuale e l’1 per cento del deficit pubblico aggiuntivo”, ha spiegato il governatore della Banque de France, François Villeroy de Galhau, nel corso di un’intervista al canale francese RTL. “Considerato il calo del Pil dello 0,1 per cento nel quarto trimestre del 2019, la Francia è quindi entrata in una recessione – una recessione caratterizzata da due trimestri consecutivi di calo del prodotto interno lordo”.
L’indagine condotta dalla Banque de France tra il 27 marzo e il 3 aprile su oltre 8.500 imprese indica inoltre che l’attività economica complessiva ha subito un calo del 32 per cento durante i primi quindici giorni di marzo. I settori più colpiti sono stati l’edilizia, che ha perso circa tre quarti della sua normale attività e il commercio; i trasporti, l’alloggio e la ristorazione, hanno subito uno stop delle attività di circa due terzi.
Anche l’industria manifatturiera è stata colpita, con una perdita di attività di quasi la metà, così come gli altri servizi di mercato, con un calo di circa un terzo. Aggregati, questi settori, che insieme rappresentano il 55 per cento del Pil, hanno perso la metà della normale attività. I settori meno colpiti sono l’agricoltura e l’industria agroalimentare, la raffinazione e la produzione di energia, i servizi finanziari e immobiliari.
Per contrastare la crisi 130.000 imprese hanno già chiesto prestiti garantiti dallo Stato nell’ambito delle misure adottate per fornire loro uno “scudo monetario”. Palliativi forse che avranno l’effetto placebo di frenare la recessione ma che senza la ripresa anche graduale delle attività serviranno a poco se non a svuotare le casse dello stato ed indebitare ulteriormente i cittadini consegnandoli alle voraci e ciniche fauci degli euroburocrati.