Fumata nera a Madrid: il suicidio dei vincitori

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Fumata nera per Pedro Sánchez. Tre mesi dopo le elezioni, al termine di negoziati infruttuosi con la fazione estrema del blocco di sinistra (Unidas Podemos di Pablo Iglesias), il leader socialista non ha ottenuto la fiducia del Parlamento di Madrid e dovrà rimettersi in gioco in un nuovo round di trattative o, più probabilmente, in un altro giro elettorale a novembre. 124 voti a favore, 155 contrari, 67 astensioni tra cui quella decisiva della formazione di Iglesias.

Un paese senza governo, uno spettacolo ai limiti della decenza politica, l’eterna frattura delle sinistre incapaci di mettersi d’accordo sull’essenziale. Come si è arrivati a questo fallimento? Apparentemente si è trattato di una questione di poltrone, né più né meno. Secondo l’ultima versione ufficiale i socialisti, per ottenere quella maggioranza parlamentare che le urne non avevano accordato loro, offrivano a Podemos una vicepresidenza e tre ministeri di carattere sociale (Sanità, Pianificazione Urbana e Uguaglianza). Ma la sinistra radicale pretendeva competenze anche in materia di Lavoro e Finanze su cui Sánchez non è mai stato disposto a trattare.

Il presidente del governo in carica non ha mai nascosto la sua scarsa propensione ad un governo di coalizione con Iglesias, proponendo formule alternative come quella di un appoggio esterno ad un programma con accentuate tinte popolari o non meglio precisati patti di cooperazione. La presenza dello stesso Iglesias o di ministri del suo partito all’interno dell’esecutivo è da subito risultata indigesta alla cupola del PSOE, che ha cercato fino all’ultimo l’astensione di Ciudadanos o dello stesso Partito Popolare (pur senza crederci troppo) con l’obiettivo di riuscire a governare in solitario nonostante il minimo richiesto di 176 seggi fosse impossibile da raggiungere. Un peccato di presunzione di Sánchez o una serie di esigenze sproporzionate e irrealistiche da parte di Iglesias? Entrambi i fattori hanno determinato un esito per nulla scontato ma diventato sempre più probabile nelle ultime settimane, piene di messaggi contraddittori, di riunioni senza costrutto e di improvvisazioni preoccupanti. “Quelli di Podemos non hanno mai parlato di programmi, volevano tutto il governo”, si sono affrettati a dichiarare i portavoce di Sánchez non appena conclusa la votazione decisiva. “Abbiamo rinunciato a tutti i posti di potere, volevamo solo deleghe e competenze”, hanno replicato i grandi astenuti. È la seconda volta che Podemos impedisce la nascita di un governo a guida Sánchez, la prima nel 2016, e potrebbe essere anche l’ultima. Se si ripetessero elezioni Iglesias – già in calo di consensi – sarebbe certamente additato dai socialisti come il grande responsabile di questa sconfitta parlamentare, pagandone le conseguenze in termini di peso politico. Adesso si aprono due scenari: nuove consultazioni e un termine di due mesi per trovare un improbabile accordo, in assenza del quale si tornerebbe al voto.

In realtà la campagna elettorale è già cominciata. Il Partito Popolare accusava ieri Sánchez – paradossalmente (vista la sfiducia) ma non troppo – di essere disposto a concedere responsabilità di governo all’estrema sinistra pur di arroccarsi al potere, mentre sui banchi dei nazionalisti catalani si diffondeva lo sconcerto per un accordo sfumato che potrebbe aprire scenari a loro difficilmente favorevoli. Giornata luttuosa quindi per i socialisti, che sembrano incapaci di governare anche quando vincono le elezioni, e pericolo scampato per i loro avversari diretti e per coloro che vedono come il fumo negli occhi l’anomalia di un partito filo-chavista al governo in una democrazia occidentale.

Alcune considerazioni al margine:

  • nell’atteggiamento di diffidenza di Sánchez nei confronti di Podemos molto di più delle connotazioni ideologiche in se stesse hanno pesato la mentalità cospiratoria, le ripetute prove di slealtà istituzionale e i continui ammiccamenti del partito di Iglesias nei confronti del nazionalismo secessionista catalano: i socialisti non si fidano dei podemiti non perché siano troppo di sinistra ma in quanto carenti di senso dello stato;
  • se Sánchez ha corso il rischio di nuove elezioni è perché è convinto non solo di rivincerle ma di assestare un colpo definitivo alle pretese della sinistra alternativa incarnata dai suoi potenziali soci di governo: in quest’ottica la presenza di ministri di Podemos in posizioni di rilevanza all’interno dell’esecutivo significherebbe garantire a Iglesias una visibilità che le urne gli hanno recentemente negato e che quest’ultimo verosimilmente utilizzerebbe per creare una piattaforma di governo svincolata dalla guida del PSOE. Un rischio che i socialisti non possono correre in nessun caso in questo momento della loro storia;
  • la frammentazione del quadro politico, a destra e a sinistra, ha creato confusione in uno scenario come quello spagnolo abituato fin dalla transizione a un bipartitismo quasi perfetto e a un’alternanza automatica al potere: la presenza di Podemos da una parte e di VOX dall’altra hanno rotto questo equilibrio che bene o male aveva garantito quarant’anni di sviluppo economico e democratico al paese. Anche se non lo dichiarano apertamente, il ritorno al bipartitismo di governo è un obiettivo condiviso da socialisti e popolari e per raggiungerlo occorre passare per successive tornate elettorali che si incarichino di smussare più o meno gradualmente le ali estreme dell’arco politico nazionale;
  • il fallimento attuale della sinistra è figlio dell’improvvisazione con cui si procedette alla mozione di sfiducia contro Mariano Rajoy un anno fa: una coalizione in negativo formata da socialisti, anticapitalisti e nazionalisti con l’unico proposito di scalzare il Partito Popolare dal potere senza la minima base programmatica. Da qui un anno di navigazione a vista da parte di Sánchez, una vittoria elettorale risicata venduta come un trionfo e alla prima vera prova del fuoco la dimostrazione di una divisione difficile da ricomporre a breve termine.

E se invece da qui a settembre socialisti e podemiti trovassero un accordo per scongiurare il ritorno alle urne? Tutto è possibile, ovviamente, in uno scenario ai limiti del surrealismo. Pressioni non mancheranno, in un senso o nell’altro. Ma è difficile che l’esperienza di queste settimane possa essere cancellata in nome di un mero calcolo utilitaristico. Oggi la sinistra spagnola ha perso un’occasione storica per proporre una prospettiva di governo credibile, semplicemente perché in fondo e al di là della retorica questa prospettiva non esiste concretamente, almeno nelle forme attuali. A un centrodestra confuso e alla ricerca a sua volta di un’identità perduta non sembrava vero di assistere ieri al suicidio in diretta dei vincitori.

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