Dopo il 4 marzo e soprattutto dopo la formazione del governo giallo-blu la fisionomia del centrodestra è cambiata radicalmente. L’alleanza tradizionale tra FI, Lega e An-FdI si è fortemente trasformata. Infatti Forza Italia ha perso il ruolo di polo aggregatore per diventare una forza secondaria. Dopo il sorpasso elettorale della Lega e il lascia passare di Berlusconi, Salvini è al governo con il Movimento 5 Stelle e ha occupato il centro della scena. Dall’altra parte gli azzurri arrancano con un’opposizione debole che non riesce a fare presa sugli Italiani.
Il centrodestra, la più grande intuizione politica di Silvio Berlusconi, nato nel 1994 dopo gli scandali di Mani Pulite è sulla via del tramonto. Ripercorrerne brevemente la storia può aiutare a comprendere l’importanza del fenomeno che molti commentatori sembrano sottovalutare.
Il centrodestra e la destra nel corso della Prima Repubblica, in seguito ai tragici trascorsi del ventennio fascista e della Resistenza, non avevano mai avuto cittadinanza in Italia. Il partito su cui si fondavano tutte le coalizioni governative, la Dc, era una forza centrista. E i pochi esecutivi che perseguivano istanze più ‘di destra’ erano in fin dei conti centristi, per via della scarsa rappresentanza di forze come il Pli. Nel 1994 Berlusconi con grande fiuto politico, aveva sdoganato la destra post-fascista, avvicinandola sempre più al governo, ed era riuscito a trovare un accordo con la burrascosa Lega nord. Dopo la celebre discesa in campo, si era alleato al Nord con gli allora lùmbard e al Sud con il partito guidato da Fini. E così aveva creato il centrodestra italiano. Nonostante le contraddizioni dell’alleanza (basti ricordare i conflitti tra Bossi e Fini), il Cavaliere era riuscito a vincere le elezioni. Con sorti alterne questo accordo aveva retto, eccezion fatta per le elezioni del 1996 in cui la Lega si era staccata dalla coalizione, correndo da sola. Quest’alleanza aveva disegnato lo scacchiere politico italiano in modo chiaro e definito. Da una parte la sinistra postcomunista, e dall’altra il centrodestra a trazione forzista in cui la Lega e gli ex missini erano relegati in secondo piano.
Ventiquattro anni dopo questo scenario si è totalmente modificato. Con il sorpasso leghista alle elezioni del 4 marzo (17,4 per cento a 13,0 per cento), Salvini ha rovesciato il centrodestra dall’interno, diventandone di fatto il dominus. Dal forza-leghismo si è passati al leghismo-forzista, in cui il secondo termine va sempre più scomparendo come confermato dai recenti sondaggi. Secondo alcuni dati elaborati dall’Istituto Cattaneo dopo le elezioni, il peso della Lega rispetto ai principali partiti di centrodestra è pari al 49 per cento, e quello di Forza Italia vale solo il 39. Nel 1994 lo stesso dato era 19,5 per cento a 49,1 per cento per FI (il restante 31,4 era di An). E a guardare le recenti intenzioni di voto queste tendenze potrebbero farsi ancor più preoccupanti per il partito del Cavaliere.
Ma oltre alle rilevazioni numeriche parlano i fatti che vedonogli azzurri costretti ad una certa marginalità. Oscillando tra una timida opposizione (si pensi alle critiche al Dl dignità) e inseguendo alcune proposte leghiste, la legittima difesa, i forzisti sembrano essersi arresi allo strapotere salviniano. Ma probabilmente l’errore è strategico perché – e questo potrebbe rivelarsi fatale per il futuro di Berlusconi – Salvini dal ministero degli Interni sta ottenendo dei successi mediatici e politici notevoli, proseguendo la campagna elettorale permanente di cui è maestro. Il Cavaliere, forse sottovalutando le capacità del Capitano leghista, aveva ritenuto che una compagine di homines novi si sarebbe schiantata alla prova del governo. Al contrario, almeno per ora, il leader della Lega ha superato brillantemente l’ostacolo e sta egemonizzando l’intero esecutivo. Grazie alla sua risolutezza e alla sua macchina comunicativa Salvini è riuscito a prendersi il governo diventandone il rappresentante più autorevole. Conte e anche Di Maio, almeno fino ad ora, sono stati spettatori non paganti dello show del leghista.
L’opposizione di Forza Italia langue, priva di un posizionamento chiaro dal quale progettare una strategia di lungo periodo alternativa allo strapotere della Lega. Le nomine di Tajani a vicepresidente del partito e di Galliani a coordinatore dei dipartimenti di FI non bastano. Sia per una questione banalmente anagrafica (il primo è stato uno dei fondatori di Forza Italia) sia perché serve una cesura radicale che ridisegni totalmente la struttura e l’identità del partito. Soprattutto perché in passato dove mancava l’organizzazione, c’era la forza unificante del leader che, però, si è progressivamente ridotta. Al Cavaliere servirebbe un colpo di reni in grado di fare uscire FI dallo stallo. Magari con quella follia creativa che gli aveva permesso di trionfare nel 1994. Un passo indietro per proiettarsi nel futuro.