Giulio Milani (Transeuropa Edizioni) è uno degli editori più vivaci e sicuramente più capaci del panorama editoriale italiano. Negli ultimi anni si è confermato uno straordinario scopritore di talenti e un combattente del settore. La sua nuova iniziativa è destinata a far discutere. In occasione della Fiera del libro di Roma, Più Libri Più Liberi, che si svolge dal 4 all’8 dicembre alla Nuvola di Fuksas, metterà in atto un bookcrossing con distribuzione gratuita dei suoi libri. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti una chiacchierata con lui.
ADRIANO ANGELINI SUT: Allora, ci spieghi l’iniziativa del bookcrossing?
GIULIO MILANI: In Italia esiste un oligopolio, un cartello che mette insieme poche società editoriali che promuovono e distribuiscono – caso unico al mondo – anche le loro concorrenti. Si tratta di un conflitto di interessi macroscopico , che produce quello che io chiamo l'”editore ombra” degli indipendenti: il cartello che ci trattiene fino al 65 per cento dei profitti, ci costringe a tenere il prezzo dei libri ingiustamente elevato, comprime i salari degli addetti ai lavori e i guadagni degli autori, fa chiudere le librerie indipendenti, uniforma l’offerta libraria e culturale sulla base dei propri interessi, ovvero in relazione a quanto si è stabilito che sia il tema o il genere o il titolo o il modo di scrivere o l’autore di successo da inseguire. L’idea di prestare mille volumi della collana Wildworld a mille lettori forti , all’ingresso della fiera di Roma, col sistema del bookcrossing, nasce per protestare contro tutto questo e nello stesso tempo per far conoscere la nostra differenza di proposta e di atteggiamento complessivo attraverso il passaparola e il confronto diretto con il lettore, sul quale riponiamo la massima fiducia possibile.
AAS: Contemporaneamente c’è anche il lancio di una collana e di un manifesto, che avete ribattezzato gli Imperdonabili. Anche qui, sentiamo odore di sfida. Ce li spieghi?
GM: Nel nostro Paese esiste un ecosistema dove vive (ma non prospera) la cosiddetta specie letteraria protetta, una compagnia di giro dei soliti noti che cerca di difendersi dall’estinzione presidiando il maggior numero di posti di potere e di controllo: trasmissioni tv e radiofoniche che parlano di libri, festival e premi letterari, classifiche fasulle e fiere del libro perennemente in perdita dove si invitano tra loro, si premiano tra loro, si autocelebrano nella speranza di far percepire al pubblico l’odorino del cosiddetto capitale simbolico della cultura. Questa specie si difende, come tutti, dalla marea montante delle quasi ottantamila novità librarie all’anno prodotte da un sistema ormai al collasso, con una platea di lettori residuali, sempre più anziani, che decresce di anno in anno o premia soltanto libri e temi del catodo. Il problema è che, per difendere se stessi, questi affiliati scrivono libri che si difendono dal lettore, giudicandolo alla stregua di un bambino da educare con i buoni sentimenti, la morale, l’ordine rassicurante di una realtà addomesticata, mentre escludono sistematicamente quegli autori o quegli editori che non solo vivono il mondo del libro con la stessa passione e capacità, in certi casi perfino maggiore, ma che sarebbero in grado di produrre un’esperienza di lettura differente, più adatta alla nostra epoca selvaggia, paradossale, se non fosse che vengono appunto tenuti ai margini, resi periferici rispetto ai centri di potere occupati dall’oligopolio. Così viviamo in un Paese in cui gli editori e gli scrittori favoleggiano di copie che non hanno mai venduto, veicolando un’idea parziale del prestigio letterario, facendo pubblicità ingannevole nei confronti dei lettori e falsando una volta di più la libera concorrenza, come nel caso di Edoardo Nesi e la Nave di Teso rilevato dal Fatto quotidiano, oppure cercano di proiettare un’immagine da star system che tuttavia non esiste, visto che il reddito delle celebrità letterarie è per lo più aleatorio e nel Paese viaggia la ridottissima compagnia di giro di cui ho detto. Per ribellarci a tutto questo, e in seguito al licenziamento di Davide Brullo da Linkiesta per aver criticato delle scrittrici appartenenti alla specie letteraria protetta, è nato da poco un movimento che la scrittrice Veronica Tomassini ha battezzato come “Gli imperdonabili”: un movimento di scrittori, poeti, editori e soprattutto lettori che ha per obiettivo comune quello di tracciare un pensiero forte, libero, fuori dagli schemi, e nello stesso tempo trovare un linguaggio e una prospettiva differenti rispetto all’omologazione culturale e artistica del nostro Paese. Per farlo, penso a una società di scopo tra editori disallineati con il compito di realizzare una o più collane dove sperimentare nuovi temi, nuovi autori, nuove tecniche di comunicazione, promozione e distribuzione per rompere gli schemi prevalenti e gli equilibri dell’oligopolio.
AAS: Chi ti intervista è considerato un imperdonabile. Non ho mai fatto parte dei gruppetti letterari. Quei pochi che conoscevo nell’ambiente mi hanno quasi del tutto isolato. In primis per le mie posizioni contro l’Islam. Poi perché ho dichiarato guerra alla sinistra salottiera e delle belles lettres. Pensa che il mio ultimo romanzo “L’ultimo singolo di Lucio Battisti” (Gaffi) era candidato nel 2018 allo Strega. Tre sono i temi fondamentali del libro: la questione ebraica romana, il terrorismo nero e la musica. La Mazzucco, durante la presentazione del Premio che si tiene ogni anno al Tempio di Adriano in piazza di Pietra, nell’elencare i libri che in quell’edizione trattavano questi argomenti non ha mai citato il mio. Ecco, se c’è un mezzuccio con cui ancora oggi distruggono una persona è l’indifferenza. Da ciò che scrivi sui social mi sembra che ti stia capitando la stessa cosa…
GM: Ci provano, certo. Ma se riusciremo, come credo, a produrre un manifesto condiviso e a farlo pubblicare dovranno rispondere punto per punto alle nostre critiche e discutere delle nostre proposte, anche perché li chiameremo in causa con nomi e cognomi. Per quanto mi riguarda, la ricreazione è finita.
AAS: Dimmi un modo, o due se vuoi, o quanti te ne pare, con i quali poter rilanciare la narrativa italiana,
oggi, secondo me, vittima di scrittori narcisisti, editor con manie bonapartiste, parolai senza alcun talento, che si nascondono dietro il vuoto della militanza politica per confermare la loro incapacità di scrivere, e le loro paure di dire cose che non si possono dire. Per non sembrare insomma degli imperdonabili.
GM: La professione di impegno politico non è e non può essere un metro di giudizio estetico. Personalmente, come Pier Vittorio Tondelli , diffido da questa nozione di impegno. Anche essere devoti alla scrittura è una forma di impegno, l’esercizio di una idealità. Come gli altri imperdonabili, non mi sono sottratto al compito di scrivere a mia volta un manifesto di poetica, dove ho detto che dobbiamo ribaltare la prospettiva corrente e stabilire innanzitutto un nuovo patto col lettore, fondato sulla fiducia reciproca. Noi ci rivolgiamo a un lettore adulto, intelligente, curioso, ironico, sulle cui capacità abbiamo piena fiducia. Riteniamo che questo tipo di lettore sia maggioritario e che non legga perché gli scrittori e gli editori dell’oligopolio non sono oggi all’altezza delle sue richieste e necessità. Un metodo nuovo ha bisogno di una poetica innovativa con cui mostrare la propria differenza. Chiediamo allora una moratoria sull’affabulazione e sullo stilismo: l’autore deve scomparire dietro il vice-narratore, e ricomparire nel controllo sintattico, temporale e lessicale della prospettiva, poiché in questo movimento c’è il prestigio del gioco illusionistico. Lingua e struttura – le regole –, non devono attirare troppo l’attenzione su di sé, col rischio di diventare protagoniste del racconto e quindi scoprire le quinte della macchina illusionistica. La lingua deve essere al servizio della storia da raccontare, senza per questo diventarne serva: bisogna sottrarla, anzi, tanto al logorio dell’uso comune che all’omologazione della pratica editoriale. Postuliamo dunque l’abolizione dei gerundi subordinati e appositivi e dei participi passati con valore di subordinate avverbiali: sono il tipico corredo di una scrittura sciatta, sdata, schematica e ripetitiva; ne troviamo (cattivi) esempi un po’ dappertutto, e di conseguenza ne siamo prigionieri. Postuliamo la rarefazione degli aggettivi, che contraggono gli aspetti pittorici invece di dispiegarli, e dei nessi logico-causali, che danno troppe spiegazioni, risultano didascalici e non lasciano il lettore libero di effettuare la sua esplorazione del testo; postuliamo l’eliminazione dei dialoghi a nastro, disincarnati e senza un contesto, e la soppressione del narratore onnisciente, questa divinità in rovina. I vecchi automatismi di scrittura devono in conclusione fare spazio a nuove soluzioni tecniche che tengano conto delle esigenze di un lettore intelligente e attivo. Per questo lavoreremo a un vero e proprio decalogo che rivoluzionerà il modo di scrivere in prosa e consentirà al talento degli imperdonabili di fare il salto che serve per non avere rivali nel campo della narrativa italiana e internazionale.
AAS: Le Fiere del libro. Sorgono come funghi un po’ in tutte le città nella speranza che la gente acquisti e legga. Ma una cosa non capisco. Se io, lettore, devo andare a un Fiera dove acquistare dei libri, e mi fai pagare un biglietto di ingresso, in questi tempi di crisi economica non mi conviene andare direttamente in libreria dove magari trovo anche gli sconti, oppure, e qui nessuno mi perdonerà, non mi conviene acquistare su Amazon? Parliamo dell’utilità di queste fiere che considero veri e propri carrozzoni. Per non parlare dell’utilità che hanno per l’editore, magari un piccolo o medio editore che deve spendere cifre mostruose per affittare uno stand e che spesso, con le vendite di quei giorni, non ci copre nemmeno le spese.
GM: Io trovo le fiere del libro l’equivalente dei saloni del mobile, un’occasione mercantile assolutamente trascurabile: la linfa vitale della letteratura non scorre né nelle fiere né nei festival né nelle premiazioni. Le fiere, in particolare, sono momenti di pubbliche relazioni dove gli editori lavorano prevalentemente in perdita e gli autori solleticano il proprio ego con il gioco salottiero della presenze e del codazzo. Per il lettore possono avere un senso solo nel caso possano spuntare qualche sconto superiore ad Amazon, magari al termine della fiera, quando l’editore depresso butta fuori tutto pur di tornare a casa almeno con le spese di soggiorno pagate. In generale, potrei anche tollerare queste occasioni di incontro, il problema è che fiere e festival hanno preso il posto del dibattito letterario, che invece è scomparso quasi del tutto: le persone sarebbero felici di pagare un biglietto di ingresso se attribuissero un valore al libro e alla cultura, ma siccome oggi come oggi questi settori sono del tutto inutili al Paese, che va dalla parte opposta alle pretese degli intellettuali organici al sistema, sempre meno persone riconoscono questo valore e sono disposte a pagare per essere rampognate su quanto è triste, razzista, fascista e patologico il nostro Paese.
AAS: Sentiti libero di fare una chiosa. Di dire ciò che vuoi per poter squarciare ancora di più il velo d’ipocrisia che circonda l’ambiente letterario nazional-popolare. (Oddio, no, popolare forse non si può più dire perché se no viene subito in mente populista)
GM: L’ambiente non è nazional-popolare, perché di popolare non c’è nulla. Non esiste uno star system letterario, come ho spiegato si tratta di una percezione completamente fasulla, creata ad arte per difendere il tempio. In realtà l’ambiente è elitario, classista, è come se il sistema urbano-borghese della cultura avesse ereditato le tare dell’aristocrazia. Gli Imperdonabili devono fare qualcosa per rompere questo schema di gioco, democratizzare gli accessi e nello stesso tempo valorizzare il talento individuale. Non è difficile, basta mettere insieme competenza, idealità e contenuti.