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Gli ultimi autogol comunicativi degli odiatori di Salvini: demonizzandolo, ne rafforzano il messaggio

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La comunicazione di Matteo Salvini è perennemente sotto i riflettori. Commentatori, giornalisti e addetti ai lavori si sono interrogati più volte sulla sua strategia, i suoi obiettivi e la sua efficacia. Quel che è stato ignorato dai più, tuttavia, è il ruolo rivestito dai suoi avversari. Un ruolo essenziale che alimenta gran parte della sua narrazione e che, involontariamente, la rafforza. Tutti coloro che hanno demonizzato il leader della Lega, hanno infatti ottenuto l’effetto contrario: ne hanno potenziato il messaggio e gli hanno addirittura permesso di alzare i toni. Legittimando anche le prese di posizione più radicali.

L’ultimo episodio riguarda una vignetta di Vauro e illustra plasticamente il fallimento dei processi di demonizzazione. In questa illustrazione Salvini si spara involontariamente un colpo di pistola, confondendo l’arma da fuoco con il proprio cellulare. L’immagine è particolarmente cruda. Si vede un proiettile sfondare la testa del ministro degli interni, lasciando un grosso buco nel suo cranio. La descrizione è agghiacciante: “Selfie fatale: quando scambiò la pistola per il telefonino”. L’intento del vignettista è chiaro: umiliare Salvini e la sua intelligenza, facendo a pezzi la legge sulla legittima difesa. Il risultato, però, è un autogol. Il capo del Viminale, che sarebbe stato criticabile sotto molteplici aspetti e con un linguaggio ben diverso, attraverso una rappresentazione così feroce, diventa vittima. Vittima di una violenza verbale che non dovrebbe far parte della lotta politica e del dibattito pubblico. E da vittima può giustamente denunciare l’odio della sinistra più radicale e rivendicare la bontà delle sue scelte che, a fronte di un tale livore, diventano di buon senso. Addirittura condivisibili. La polarizzazione, sapientemente costruita da Salvini, ma allargata colpevolmente da una certa opposizione, è evidente. Da un lato chi insulta e incita alla violenza, dall’altro il leader della Lega che, pur non utilizzando sempre dei toni concilianti, appare un uomo moderato, rispetto all’astio dell’estrema sinistra.

I modi utilizzati da Vauro, da Toscani e da Gino Strada (ma la lista sarebbe lunga…) diventano così un boomerang perché permettono a Salvini di rafforzare il suo messaggio umanizzante e normalizzante. Nei confronti di un uomo ‘del popolo’ colpito da strali velenosi e appuntiti, poi, si innesca una sorta di solidarietà prepolitica. Proprio quel meccanismo che, in modi e tempi diversi, ha garantito a Berlusconi un consenso clamoroso, e che ora sembra essersi trasferito al Capitano. Grazie ai suoi odiatori ossessivo-compulsivi che si augurano di vederlo impiccato o trafitto da un proiettile, i suoi messaggi diventano condivisibili anche se contengono venature di intolleranza. La vittima, in questo caso, vince il carnefice. E più il carnefice aggredisce la vittima, più la vittima ottiene consenso. Il berlusconismo dovrebbe averlo insegnato. O forse no.