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Goldwater, Trump e l’America Profonda

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Il 16 giugno del 2015 Donald Trump entrava ufficialmente nella corsa per diventare il 45° presidente degli Stati Uniti. A quattro anni di distanza, le radici del pensiero di Trump e della sua amministrazione restano ancora valutate superficialmente. Spesso la difficoltà nel comprendere si unisce alla denigrazione: il presidente statunitense sarebbe privo di strategia e visione, colluso se non squilibrato, o quantomeno espressione di una America inaudita, e quindi difficile da inquadrare.

In realtà, esclusa parzialmente la forma, l’amministrazione Trump non si sta discostando in misura sensibile dalla cultura politica americana tradizionale e, in particolare, da quella del conservatorismo americano. Lo stesso presidente condivide numerosi punti fermi del pensiero conservatore, anche se spesso esprime i concetti in maniera semplicistica e poco convenzionale. In questo quadro, risultano particolarmente interessanti le similitudini tra Donald Trump, la sua amministrazione e Barry Goldwater (1909-1998), una delle figure che maggiormente hanno influenzato il pensiero conservatore negli Stati Uniti.

Uno stile colorito – Il primo elemento che contraddistingue entrambi è l’approccio al dibattito. Durante il suo primo mandato da senatore (1953-1959), Goldwater si distinse per il suo stile aggressivo e colorito. Del resto, prima delle elezioni del 1952, il senatore dell’Arizona confidò a un amico che era convinto di vincere in quanto riteneva che “… a guy running for office who says exactly what he really thinks would astound a hell of a lot of people around the country”. Il suo stile diretto fece breccia tra gli elettori. A distanza di decenni, Donald Trump adotta un approccio simile, facendo dell’essere sempre diretto e spontaneo un tratto distintivo del suo porsi, senza temere di approdare ai lidi del politicamente scorretto. Ciò ha permesso a Trump di emergere nell’agone politico fino a vincere, a dispetto delle previsioni, le presidenziali del 2016. In un’America polarizzata, tuttavia, tale approccio ha diviso ulteriormente l’opinione pubblica: Trump si odia o si ama. Per le posizioni mediane, che pur esistono, rimane poco spazio.

Lo svantaggio di tale approccio è che sia Trump che Goldwater hanno più volte suscitato aspre reazioni con le loro affermazioni e spesso la spontaneità si è ritorta contro di loro. Di Goldwater, ad esempio, resta famosa l’infelice frase: “You know, I haven’t got a really first-class brain”. Inoltre, le esternazioni di Goldwater a favore di un utilizzo limitato delle armi nucleari, ad esempio come “defolianti in Vietnam”, non lo favorirono dal punto di vista dell’immagine. Anche questo aspetto lo avvicina a Trump, che più volte è finito sotto i riflettori per aver trattato con troppa disinvoltura l’arma nucleare. In un’epoca segnata dai social media, difficilmente verrà dimenticato il tweet di The Donald in merito alle dimensioni del suo “bottone nucleare”.

Le accuse di estremismo e instabilità mentale – Nonostante attualmente i toni delle campagne politiche si siano fatti più accesi, colpi bassi non venivano certo risparmiati anche in passato. In occasione della campagna presidenziale del 1964, infatti, Fact pubblicò due articoli che sostenevano l’inadeguatezza psicologica dell’allora candidato repubblicano Goldwater a reggere la presidenza degli Stati Uniti. Donald Trump sta incontrando un destino simile. L’ultimo ad accusarlo di essere psicotico è stato David Letterman che, tuttavia, lo ha ospitato più di trenta volte al suo show. Inoltre, sono stati pubblicati numerosi articoli e interviste sulla presunta instabilità mentale di Trump, tra cui il libro “The Dangerous Case Of Donald Trump. 27 Psychiatrists and Mental Health Experts Assess a President”, che ha anche riscosso un buon successo nelle vendite.

Inoltre, Goldwater, come Trump, è stato accusato di estremismo nelle sue posizioni, considerate troppo a destra nello spettro politico. La famosa frase di Goldwater, “I would remind you that extremism in the defense of liberty is no vice. And let me remind you also that moderation in the pursuit of justice is no virtue”, gli venne ritorta immediatamente contro durante la campagna del 1964 in quanto considerata manifestazione palese del suo estremismo ideologico.

Il parallelismo è assai marcato, come si può notare anche dalle seguenti citazioni:

  • «[Goldwater is a] fascist who is threatening to take over this country by dividing the American people against one another.” – James V. Diprete Jr., sindaco repubblicano, 1964;
  • “The stench of fascism is in the air” – Pat Brown, allora Governatore democratico della California, 1964;
  • “By the time the convention opened, I had been branded as a fascist, a racist, a trigger-happy warmonger, a nuclear madman and the candidate who couldn’t win” – Barry Goldwater, 1964.

Simili affermazioni sono state fatte per Donald Trump, tanto da sinistra – come è lecito aspettarsi – quanto talvolta anche da destra. Stampa ed esperti, ovviamente, non si sono astenuti. Volti nuovi, tattiche già viste.

La vena populista e anti-establishment – Un altro errore di valutazione che viene sovente commesso è quello di accusare Trump di populismo quasi come se rappresentasse un’eccezione nella storia e nella cultura politica del Paese a Stelle e Strisce. In realtà, anche volendo rimanere confinati al Novecento, si ritrovano vari candidati populisti, più o meno di successo. Ronald Reagan presentava accentuati tratti populisti e il movimento che ha portato alla presidenza sia lui che Donald Trump affonda le sue radici sino alla campagna presidenziale di Barry Goldwater.

Goldwater, infatti, si alienò rapidamente l’establishment dentro e fuori il partito repubblicano. La corrente più liberal del GOP, i cosiddetti Rockefeller Republicans, rimasero ostili al candidato presidente in quanto lo consideravano troppo a destra rispetto alla loro idea di Partito Repubblicano. Questi elementi confidavano di recuperare il controllo del partito dopo la sconfitta di Goldwater. Al contrario, il messaggio di Goldwater sarà ripreso da Nixon e farà già riferimento ai forgotten Americans di Trump. Lo stesso Reagan corse e vinse su una piattaforma che ricordava molto da vicino quella di Goldwater.

In sostanza, la volontà di restituire il potere da Washington al popolo, annunciata da Trump nel discorso inaugurale della sua presidenza, i suoi appelli contro l’establishment che “protegge se stesso ma non i cittadini” statunitensi, il richiamo alla working class, sono tutti temi che si riallacciano alla rivolta populista inaugurata da Goldwater. Lo scollamento e l’avversione di una grande parte dei cittadini americani nei confronti dell’establishment al potere non è stata provocata dalla campagna di Trump, ma è una costante profonda nella storia americana e già emersa con forza fin dalla campagna presidenziale di Goldwater.

Assonanze ideologiche – Rilevanti sono anche le assonanze ideologiche tra Goldwater e Trump. Insieme al rigetto dell’establishment e al messaggio populista si possono evidenziare altri punti in comune.

Goldwater si batté con forza per limitare il Governo Federale, con particolare ostilità verso quanto introdotto con il New Deal rooseveltiano. Goldwater pose particolare enfasi sul rispetto della Costituzione americana per quanto concerneva i poteri del Governo Federale di imporre regolamentazioni agli Stati. In tale prospettiva, l’amministrazione Trump è impegnata a ridare alcuni poteri assunti dal Governo Federale agli Stati, come ad esempio nel campo dell’educazione. Inoltre, l’amministrazione del 45° presidente degli Stati Uniti si è lanciata in uno sforzo importante di deregulation, con l’obiettivo di eliminare almeno due vecchie regolamentazioni ogni nuova introdotta.

Tuttavia, per Goldwater, come per Trump, il ridimensionamento del Governo Federale non doveva interessare il comparto militare. Goldwater era convinto che la pace sarebbe stata preservata solo attraverso la forza militare. Così come Trump, Goldwater spinse, per tutta la sua carriera, affinché le Forze Armate avessero a disposizione gli strumenti necessari a preservare la superiorità americana, impostazione adottata anche dall’amministrazione Trump che ha costantemente incrementato il budget destinato alla difesa. Nel bilancio 2020 proposto da Trump figurano tagli a tutti i dipartimenti federali con esclusione di difesa, commercio, sicurezza nazionale e veterani.

Posizioni simili tra Goldwater e Trump si rilevano anche sul tema della tassazione. Nel libro-manifesto di Goldwater The Conscience of a Conservative si ritrovano molti elementi della filosofia sottostante il taglio delle tasse voluto dal presidente Trump.

Infine, l’enfasi sulla “libertà sotto un governo limitato dalle leggi di natura e dalla natura di Dio”, una libertà ordinata, come sostenuto già da Edmund Burke nel XVIII secolo, una libertà da costruirsi prima a casa che fuori e l’enfasi sull’eguaglianza di fronte alla legge ma non tra persone, ognuna con le sue peculiarità, essenziali differenze e qualità, sono tutti temi di un’America profonda ripresi da Goldwater e dall’amministrazione Trump.

Lo stesso futuro? – Goldwater, nonostante la sconfitta, fu il primo repubblicano a conquistare le roccaforti democratiche del “Profondo Sud” del Paese, alienandosi, però, la minoranza di colore. In un’America in evoluzione la sfida del Partito Repubblicano, per poter rimanere competitivo rispetto al Partito Democratico, sarà quella di recuperare le minoranze così come la generazione dei giovani disillusi e spostati su posizioni liberal, rinverdendo i principi sempre validi che trovano il loro fondamento nei classici del pensiero conservatore.

Barry Goldwater è stato il primo “great modern conservative of the modern era” (P. J. Buchanan). George Will, noto commentatore politico, ha riassunto magistralmente l’impatto di Goldwater sulla vita politica statunitense sostenendo che pur avendo perso le elezioni del 1964 aveva vinto il futuro. Anche a Donald Trump, che a differenza di Goldwater ha vinto le elezioni, spetta oggi il difficile compito di preparare il Partito Repubblicano a vincere nuovamente il futuro.